Milano, i riot che asfaltano il movimento
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Milano, i riot che asfaltano il movimento

Erano trentamila le persone in marcia al corteo contro l'Expo di Milano. I black bloc hanno preso la piazza, la polizia ha reagito, ma questa volta evitando il contatto.

Milano, i riot che asfaltano il movimento
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2 Maggio 2015 - 16.11


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Erano trentamila le persone in marcia al corteo contro l’Expo di Milano. Molti i manifestanti che hanno messo a ferro e fuoco parte della città. I black bloc hanno preso la piazza, la polizia ha reagito, ma questa volta con intelligenza evitando il contatto. Per i No Expo l’esposizione universale è cominciata nel peggiore dei modi.

[url”Milano, i riot che asfaltano il movimento”]http://ilmanifesto.info/milano-i-riot-che-asfaltano-il-movimento/[/url]

[b]di Luca Fazio[/b]

Le fiamme si sono appena spente, c’è ancora tanto fumo per le strade di Milano. A freddo, una volta dato sfogo al pre-ve-di-bile sde-gno, qual-cuno dovrà pur avere il corag-gio di ammet-tere una cosa piut-to-sto sem-plice, che ovvia-mente non nasconde il pro-blema, anzi, ne pone più di uno: è andata esat-ta-mente come doveva andare. Lo sape-vano tutti, era pre-vi-sto da mesi. Non è stata una festa la May-Day 2015 e forse il peg-gio deve ancora acca-dere. In que-sto momento ci sta pure la reto-rica della “Milano ferita”, però sarebbe più utile cer-care di abboz-zare qual-che ragionamento.

I fatti sono noti, è stata la mani-fe-sta-zione più spiata e foto-gra-fata degli ultimi anni. Una parte del cen-tro sto-rico di Milano, quella intorno a piaz-zale Cadorna — era pre-vi-sto anche quello — è stata attac-cata con una furia che non si era mai vista. Auto-mo-bili date alla fiamme, fine-strini man-dati in fran-tumi con una rab-bia dispe-rata al limite dell’autolesionismo, lanci di bot-ti-glie con-tro la poli-zia, vetrine infrante, accenni di bar-ri-cate, negozi sfa-sciati. Silen-zio assor-dante, rumori di cose che si spac-cano, nuvole di lacri-mo-geni e adre-na-lina che sale quando poli-ziotti e cara-bi-nieri si inner-vo-si-scono e sem-brano dav-vero inten-zio-nati a fare sul serio.

La con-fu-sione è tanta, ci sono stati fermi ma non è chiaro quanti, si dice una decina di ragazzi. Ci sareb-bero undici feriti tra gli agenti.

Lo spet-ta-colo è deso-lante, sem-brano imma-gini di un film girato in un altro paese, e ne sono stati già fatti di ragio-na-menti sulla rab-bia cieca di chi si limita a spac-care tutto per cer-care di resi-stere in qual-che modo in un con-te-sto dove è facile sen-tirsi tagliati fuori. A vent’anni soprattutto.

Sono delin-quenti? Può darsi, poi si sfi-lano l’impermeabile col cap-puc-cio — per terra ce ne sono decine — e hanno facce da ragaz-zini qua-lun-que. Sono vio-lenti? Sicu-ra-mente, vio-lenti che si acca-ni-scono sulle cose e non sulle per-sone. Lo scon-tro con la poli-zia è solo mimato, vir-tuale come un video-gioco: viste le forze in campo gli incap-puc-ciati non potreb-bero nep-pure pen-sare di avvi-ci-narsi. La loro vio-lenza è anche stu-pida e vigliacca. Un’auto inu-til-mente spac-cata, mica tutte Fer-rari, signi-fica una per-sona col-pita alle spalle e con l’aggravante della casua-lità. Anche i “black bloc” hanno una mac-china par-cheg-giata da qual-che parte.

A pro-po-sito. Qual-che com-men-ta-tore poco razio-nale, non l’editorialista di Libero o de il Gior-nale, a caldo ha detto che la poli-zia ha lasciato fare e che dovrà rispon-dere della gestione della piazza.

Molto sem-pli-ce-mente, invece, la poli-zia ha agito con grande fred-dezza e intelligenza.

Non c’è stato alcun con-tatto con i mani-fe-stanti. Non si è fatto male nes-suno. Ci sono decine di auto-mo-bili sfa-sciate e pro-ba-bil-mente un conto salato da pagare per tutti quei gruppi orga-niz-zati che invece sono stati almeno capaci di “por-tare a casa” un cor-teo deter-mi-nato. Molto nume-rosi, almeno tren-ta-mila, a tratti anche felici di esserci. Per nulla spa-ven-tati, tan-to-meno sor-presi, per quello che stava acca-dendo nelle retrovie.

La poli-zia poteva evi-tare lo “sfre-gio alla città”? Forse sì, se il mini-stro degli Interni avesse deciso di rispol-ve-rare il metodo Genova e dare la cac-cia ai ragaz-zini che si sono masche-rati da blocco nero. Adesso che (forse) è tutto finito si può azzar-dare la domanda: sarebbe forse stato meglio se ci fosse scap-pato il morto? Anche quello era pre-vi-sto che non dovesse acca-dere, e meno male.

Ange-lino Alfano, almeno oggi, non si deve dimet-tere, le regole di ingag-gio erano que-ste, la poli-zia non voleva il con-tatto con il blocco nero.

A pro-po-sito. Ana-li-sti e die-tro-logi se ne fac-ciano una ragione. I cosid-detti “black bloc” non ven-gono da Marte, non si sono “infil-trati” nel cor-teo e non sono nem-meno al soldo della spec-tre. Ci sono, sono un pro-blema e biso-gnerà tenerne conto. Erano nel cor-teo, den-tro, nem-meno in fondo. Gli spez-zoni della mani-fe-sta-zione hanno dovuto gio-co-forza tol-le-rarli e cer-care di tute-lare il cor-teo da una rea-zione della poli-zia che a un certo punto sem-brava scontata.

La May-Day era con-tro il blocco nero? Que-sto movi-mento, que-sta piazza, che è pur sem-pre il mas-simo che oggi si possa espri-mere, non ne aveva la forza. Né mili-tare, né poli-tica. Que-sto è un limite.

Ecco per-ché que-sto primo mag-gio è “poli-ti-ca-mente” disastroso.

Un’altra nota, non mar-gi-nale. Quella di ieri, al netto di tutti i dispo-si-tivi di pro-te-zione che il cor-teo stesso ha messo in atto, era una piazza peri-co-losa. Eppure lì den-tro hanno tro-vato posto ragaz-zini e ragaz-zine smar-riti alla prima mani-fe-sta-zione, per-sone asso-lu-ta-mente non vio-lente, decine di bande musi-cali che hanno con-ti-nuato a suo-nare a festa. Si sono viste anche le solite vec-chie volpi con la coda tra le gambe che non par-lano più la stessa lin-gua delle piazze. Ma è come se incon-scia-mente ci si stesse abi-tuando a con-si-de-rare che ormai è nelle cose aspet-tarsi un con-flitto sem-pre più aspro e con accenti dispe-rati, senza obiet-tivi e tan-to-meno prospettive.

Banal-mente: que-sta stessa piazza, dieci anni fa, sareb-bero state due. I cat-tivi die-tro a pren-derle, gli altri davanti con le loro buone ragioni.

Gli “altri”, adesso, devono fare i conti con la realtà.

D’ora in poi, come gover-nare la piazza, ammesso che ci siano altre occa-sioni altret-tanto impor-tanti, diven-terà un pro-blema quasi insor-mon-ta-bile. Per-ché la gior-nata di ieri signi-fica che nes-suno a Milano, e anche altrove, ha più l’autorevolezza di poter deci-dere come si deve stare in un corteo.

Que-sto è un pro-blema poli-tico: a poste-riori, è chiaro che non si può accet-tare con leg-ge-rezza la con-vi-venza con chi ha come uno unico obiet-tivo quello di spac-care tutto e basta.

Quanto al futuro, pos-siamo dire che sull’opportunità di cedere fette di sovra-nità a chi non vive e non lotta in que-sta città (e che certo non ne pagherà le con-se-guenze) è bene aprire un dibat-tito una volta tanto sincero.

I ragazzi e le ragazze del “blocco nero” si sono sfi-lati le felpe e sono a casa che si godono lo spet-ta-colo dell’informazione main-stream, hanno vinto.

Qui a Milano, a lec-carsi le ferite, rimane un movi-mento che rischia di essere asfal-tato per i pros-simi anni a venire. La poli-zia, che oggi è sotto botta, potrebbe anche deci-dere che il limite è stato supe-rato. Que-sta mat-tina le “auto-rità” si guar-de-ranno negli occhi durante una seduta straor-di-na-ria del Comi-tato per l’ordine e la sicurezza.

E qui a Milano è già comin-ciata una cam-pa-gna elet-to-rale che, anche alla luce di quello che è suc-cesso, non pro-mette nulla di buono. L’Expo ha ancora sei mesi di vita, i No Expo hanno comin-ciato nel peg-giore dei modi.

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