Libia: i barconi non portano terroristi

A parlare un ufficiale di marina dell'Ue che ha seguito da vicino sia Mare Nostrum che Triton.

Libia: i barconi non portano terroristi
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17 Febbraio 2015 - 22.14


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di Maurizio Molinari

“I gommoni e i barconi che trasportano le migliaia di migranti soccorsi in questi giorni nel Mediterraneo non sono un vettore per far arrivare da noi terroristi o per permettere ai cosiddetti foreign fighters (combattenti al servizio degli estremisti islamici) di tornare in Europa”. A smentire questa ipotesi ci pensa un ufficiale di una marina europea che spiega come semmai il traffico di migranti sia una delle fonti di finanziamento del terrorismo internazionale ma non un mezzo per far arrivare da noi individui potenzialmente pericolosi. “D’altronde se un terrorista vuole essere sicuro di raggiungere l’Europa per compiere attentati, perché farlo su carrette del mare a rischio della propria stessa vita”?

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L’ufficiale, che preferisce restare anonimo, ha seguito da vicino l’operazione italiana di pattugliamento del Mediterraneo Mare Nostrum, così come da vicino segue l’impegno dell’agenzia Frontex con Triton. A Redattore Sociale lancia un monito molto chiaro: “Se interveniamo adesso per gestire la crisi nel Mediterraneo avremo sì dei costi, ma tali costi saranno infinitesimali rispetto a quello che dovremo pagare, sia in termini finanziari che in termini umani, se aspetteremo cinque o dieci anni e lasceremo incancrenire la situazione”.

Bombardare o non bombardare? Sulla polemica di queste ore riguardo l’opportunità di un intervento militare Onu per bloccare l’avanzata del califfato dell’Isis in Libia, l’esperto ha le idee chiare: “Un intervento militare sarebbe solo la prima delle quattro fasi di un’operazione di peace building, ovvero costruzione della pace. L’intervento militare andrebbe a smantellare le forze dello Stato islamico, che per ora non sono imponenti, ma poi bisognerebbe procedere al controllo del territorio liberato e alla ricostruzione di infrastrutture, forze di polizia, di un sistema giuridico ecc…”. Secondo l’ufficiale, se non si adottasse un approccio organico di questo tipo, sarebbe come immaginare uno sbarco in Normandia o un attacco al Giappone degli alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, senza un successivo Piano Marshall. “Se la Giordania, con tre giorni di bombardamenti, è riuscita a smantellare il 20% delle strutture militari dell’Isis – prosegue la fonte – e se gli hacker di Anonimous sono riusciti ad oscurare la maggior parte dei loro siti di propaganda, vi immaginate con che rapidità si potrebbe vincere la battaglia contro il califfato se solo la comunità internazionale volesse seriamente intervenire in maniera organica”?

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Triton o Mare Nostrum? E su un’altra contrapposizione che ha fatto riempire di inchiostro le pagine dei giornali, l’ufficiale spiega come le cose non siano cambiate poi più di tanto in termini operativi fra l’una e l’altra missione: “L’unica differenza è che Triton ha meno risorse a disposizione, ma de facto, con meno unità, continua a svolgere lo stesso lavoro di Mare Nostrum, spingendo i propri pattugliamenti ben al di là delle trenta miglia pattuite e avvicinandosi, quando c’è bisogno di soccorrere i migranti in procinto di affondare, a pochi chilometri dalle coste libiche. Però – sottolinea il marinaio – il fatto che il governo italiano sia stato in grado di richiamare l’Europa alle sue responsabilità è positivo. Meno positivo è invece il fatto che gli equipaggi delle navi di Triton cerchino di ottenere gli stessi risultati di Mare Nostrum ma, non riuscendoci, possano per questo risultare demotivati. Triton avrebbe bisogno di più unità da pattugliamento costiero, con più Stati Membri a sostenere le sue attività”.

Una nuova missione che affianchi Triton. Secondo l’ufficiale, a fianco di Triton servirebbe un’altra missione con navi d’altura, quelle delle cosiddette blue-water navies, Unità capaci di pattugliare in alto mare per settimane, con qualunque condizione meteo, senza soluzione di continuità; perché solo così, secondo la fonte, si potrebbe sorvegliare l’alto mare e garantire a tutti la sicurezza della navigazione, il rispetto del diritto internazionale ed il contrasto di ogni reato commesso. “Queste navi sarebbero attrezzate per i soccorsi ma anche per far fronte a situazioni come quelle verificatesi negli ultimi giorni, quando le motovedette che hanno soccorso i migranti sono state fatte oggetto di minacce da parte degli scafisti armati. Non si può – spiega l’ufficiale – pattugliare l’alto mare con unità costiere adatte solo al soccorso dei migranti per poi essere ostaggio dei ricatti dei trafficanti: le navi d’altura, armate e dotate anche di elicotteri, hanno invece tutte le predisposizioni per consentire ai loro equipaggi di non essere umiliati in tali situazioni ma di reagire in modo da assicurare alla giustizia chi è dedito a odiose attività criminali come la tratta di esseri umani”.

Più impegno di tutti i paesi del Mediterraneo. L’ufficiale sottolinea poi come sia necessario un progressivo impegno congiunto da parte dei più importanti Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e quindi di Spagna, Francia, Italia, Grecia e Turchia ma anche di Marocco, Algeria, Tunisia ed Egitto.
Questa però, secondo la fonte, è solo una delle due facce della medaglia: “L’altra faccia è il fatto che, se si vuole davvero affrontare seriamente il problema dei flussi migratori, non bisogna pensare solo al mare per il Search and Rescue (operazioni di soccorso e salvataggio dei migranti n.d.r.), ma considerare tali pattugliamenti necessari per contrastare ogni illegalità ed innalzare, oggi più che mai, la sicurezza ed il controllo di tutto il bacino del Mediterraneo, anche in funzione antiterrorismo”.

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“Bisogna ricordare – spiega la fonte – che potenziare le capacità dei soccorsi in mare non affronta alla radice il problema di perché i migranti partono ma, al massimo, limita il numero dei morti in periodi di emergenza, mentre fondamentale ed urgente è l’intervento della comunità internazionale nei paesi di origine, di transito e di raccolta di chi decide di emigrare: se non si combattono le cause per cui i migranti partono e rischiano la vita, se non si coopera con i paesi di origine e di transito, se non si migliorano le condizioni di vita della gente in quei paesi, potremo salvare quante persone vogliamo in mare, ma ce ne saranno sempre altre che le organizzazioni criminali saranno pronte a far partire”, spiega l’ufficiale.

Infine, tornando al discorso dei costi per affrontare la situazione, il nostro esperto ci lascia con una riflessione che definisce cinica ma realistica: “in un’epoca caratterizzata dalla progressiva globalizzazione, le nazioni che hanno raggiunto un più alto livello di benessere sociale e che godono di una evidente stabilità economica, dovrebbero investire di più, per motivi etici e morali, negli aiuti e nella gestione delle crisi che interessano le nazioni più bisognose; se ciò non viene deciso per i citati motivi etici, dovrebbe comunque essere posto in essere se non altro per ovvia convenienza; infatti una crisi non prontamente gestita al suo manifestarsi, richiederà investimenti molto maggiori se si lascia incancrenire la situazione; non sarà nel tempo possibile convivere con gli effetti sempre più nefasti prodotti sulla comunità internazionale; quando finalmente si deciderà l’intervento, questo richiederà molte più risorse e più tempo. Un esempio evidente sotto gli occhi di tutti è rappresentato dalla Libia: era possibile, già nel 2011, affrontare responsabilmente la gestione della crisi, con impegno relativamente limitato; oggi il livello di pericolosità e di minaccia alla libera e serena convivenza ha superato ogni limite e gli sforzi necessari per riportare la situazione sotto controllo saranno decisamente molto più ingenti, soprattutto se certi interessi di qualche influente nazione non cederanno il passo al Bene Comune.

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