Gli affondi di don Franco: il vescovo degli immigrati diventa cardinale

Conosciuto come il vescovo degli immigrati, o più semplicemente come "don Franco", diventerà presto cardinale.

Don Franco
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5 Gennaio 2015 - 17.22


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Per chi lo conosce da vicino, Francesco Montenegro è una persona molto semplice, a tratti anche umile, lontano da uno stile prettamente curiale, che per le strade di Agrigento si muove perfino in motocicletta. Uno stile che si sposa molto bene con quello di papa Francesco che lo ha scelto tra i nuovi cardinali che verranno nominati al concistoro del 14 febbraio prossimo.

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L’immigrazione è tra i suoi principali impegni di pastore: tanti i migranti accolti tra quelli che in questi anni sono arrivati in Sicilia. Dal 2013 è presidente della Commissione episcopale siciliana per le migrazioni e della Fondazione Migrantes (dopo essere stato per cinque anni, dal 2003 al 2008, presidente della Caritas Italiana). Numerosi i suoi forti appelli per una maggiore sensibilità politica e sociale nei confronti dell’immigrazione, tra cui quello all’Europa e all’Italia per attivare gli strumenti più idonei a garantire una vera integrazione andando al di là della semplice permanenza nei centri di accoglienza.

“Se io fossi un migrante di 20-30 anni che deve stare tutta la giornata senza far niente ad aspettare una risposta sul proprio futuro – aveva detto in una recente intervista -, dopo alcuni giorni mi incattivirei anche io! Sono dei ragazzoni che avrebbero voglia di fare qualcosa con i nostri ragazzi e non gli è permesso. Sono però costretti a stare dentro i centri di accoglienza senza far niente per mesi, a guardare la strada e il cielo. E pretendiamo pure che diventino lindi e pinti? Questa sarebbe accoglienza?”.

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Il vescovo di Agrigento ha puntato il dito anche su una certa politica pronta a speculare e strumentalizzare sul tema dell’immigrazione. “Protestare in piazza contro gli immigrati fa comodo ed è una carta vincente per alcuni politici – ha affermato – Per questi politici è importante cavalcare la storia dell’immigrazione. Perché quelli della Lega o altri politici non dicono ‘andatevene’ anche ai calciatori di colore che scendono in campo? O magari alle badanti che tengono i nostri bambini?”.

L’arcivescovo, recentemente ha affrontato anche il tema dell’Isis: “E’ possibile che ci siano infiltrati Isis sui barconi in arrivo dal nord Africa, il mondo è sempre un miscuglio di bene e di male. Bisogna esser capaci di fare dei buoni controlli e di saper filtrare. Quando sono partiti i nostri migranti verso l’America o altri Paesi, noi abbiamo esportato i mafiosi. E’ stato un rischio anche allora. Forse dovremmo essere meno colonizzatori e cercare di investire in quelle terre pensando anche al bene di quella gente e non soltanto ai nostri interessi”.

“L’Europa si regge non sui volti degli uomini, ma sull’economia. Il rischio quando si parla di immigrati è che diventino statistiche, numeri e fino a qualche tempo fa anche criminali, invece che uomini e donne che vivono – aveva detto anche nel suo intervento al convegno sulle politiche europee sull’immigrazione al Palazzo dei Normanni di Palermo -. Mi chiedo perché bisogna morire perchè al fenomeno migratorio sia data attenzione. Ci siamo sconsolati per i 300 morti del naufragio del 3 ottobre a Lampedusa, quelle vittime sono diventate famose, ma gli oltre 20mila morti in fondo al mare restano sconosciuti. Molti di loro sono morti con le mani giunte, pregando”.

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Un affondo preciso lo ha lanciato anche sui Cie. “I Cie devono essere chiusi, non devono esistere perchè non consentono una vita dignitosa. Bisognerebbe utilizzare i soldi investiti per i Cie per rafforzare le politiche d’integrazione. Lampedusa (che rientra nella diocesi da lui guidata, ndr) è il simbolo della fallimentare politica in tema di immigrazione portata avanti nel nostro Paese. Ma Lampedusa, un’isola che spesso a causa delle cattive condizioni meteo, rischia di rimanere isolata, non può diventare luogo di accoglienza”.

Un altro monito alla politica internazionale e nazionale in occasione della Giornata mondiale del migrante. “La cooperazione internazionale, la collaborazione fra gli Stati, l’approvazione di nuove normative, sono tutti percorsi che possono tutelare i migranti e, al tempo stesso, favorire la rinascita dei Paesi da cui essi provengono.

L’Europa non può chiudersi in se stessa, come in una fortezza pensando di tutelarsi così per il proprio futuro che, invece, è solo globale e si costruisce soltanto insieme. Purtroppo l’Europa nell’anno appena trascorso ha diminuito gli aiuti allo sviluppo e alla cooperazione internazionale e, in essa, l’Italia lo ha fatto di oltre il 20%. Non si può predicare sviluppo e poi ridurre gli strumenti e i mezzi di cooperazione internazionale”.

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