La storia del Teatro Valle Occupato, la legalità e il conformismo

Bisogna ringraziare i ragazzi del Teatro Valle Occupato. Per averlo salvato, per averci salvato dal conformismo ottuso e legalitario senza futuro. [Antonio Cipriani]

Antonio Cipriani
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12 Agosto 2014 - 23.01


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di Antonio Cipriani

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Che cosa ci insegna la storia del Teatro Valle Occupato? Che il concetto di legalità non è assoluto. Che il conformismo – come l’obbedienza – non è una virtù, e che questa democrazia asimmetrica, che garantisce i valori del neoliberismo, non deve rappresentare un dogma al quale legare a doppio nodo un principio svuotato della sua essenza come quello attuale della legalità. Il punto è proprio questo: di fronte all’ingiustizia sociale e culturale, di fronte alla deriva della distruzione di ogni bene comune a favore della privatizzazione di spazi e saperi, occorre non adeguarsi e smetterla di assecondare con conformismo scelte politiche figlie delle logiche del mercato.

Scrivo queste poche righe, sorpreso per il fatto che un’esperienza così importante e interessante, fuori dagli schemi, sia relegata a livello di un vago senso formale di legalità. Ossia, che anche chi dovrebbe ringraziare questi ragazzi per aver salvato un teatro del genere, per averlo aperto alla città, averlo reso luogo di confronto, per averlo difeso dalla barbarie della speculazione, li attacca. O ignora cause e percorsi e ragiona sul fatto che politica e leggi devono essere rispettate ecc. ecc. .

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Rispettate al Valle, ma non in Campania dove vengono tolti i presidi istituzionali dai territori ad alta penetrazione mafiosa. Non quando i teatri, i cinema, i luoghi di incontro pubblici, giorno dopo giorno, vengono sottratti ai cittadini e privatizzati. Come se, anche a sinistra, fosse meglio fare due passi in un supermercato realizzato dove c’era un teatro, o in un grattacielo dove era un parco, piuttosto che impegnarsi per evitare queste forme di degrado sociale e culturale.

Credo sia in questo conformismo da assuefazione il problema. Chi vuole il Valle senza occupanti e crede alle verità della televisione sul Tav, è lo stesso che accetta la monnezza o le case a schiera a Villa Adriana, o che vede cementificare ogni luogo del suo paese senza battere ciglio; che si lamenta ma subisce, rispetta la legalità della ricchezza che impone decoro ai poveri e lascia la libertà di fare tutto ciò che vuole a chi ha i quattrini. E quando c’è un’alluvione pensa che la colpa sia delle bombe d’acqua e non dell’ingordigia degli speculatori che non rispettano i territori, la loro storia e vocazione.

Legalità è una parola vuota se non è connessa con giustizia sociale, uguaglianza, rispetto dei diritti di tutti. Altrimenti somiglia a un manganello, da usare come e quando fa comodo. Io, per esempio, preferisco l’illegalità di chi ha riaperto la buca del Teatro Valle, luogo meraviglioso per la lirica, e risistemato i camerini di Eduardo usati fino a tre anni fa come deposito, alla legalità di chi con la potenza economica delle multinazionali e l’appoggio delle istituzioni intendeva passarci sopra con la ruspa. Preferisco i No Tav che portano conoscenza del territorio e illegalità sana, ai soldi delle mafie investiti anche per le grandi opere inutili, che arricchiscono pochi, finanziano campagne elettorali, inquinano quindi le scelte democratiche.

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Per me questa democrazia rappresentativa non può bastare. Fallisce nel momento stesso in cui si è incanalata in un unico sistema di valori declinato verso destra o verso sinistra, ma fortemente intrecciato agli interessi del capitale, in una narrazione del Paese, da parte dei media, accondiscendente. Occorre fare altro, per lo meno non spegnere lo spirito critico, restare vigili, partecipare e difendere i diritti di chi non ha voce e non ha potere né rappresentanza. Di chi è chiamato a votare una volta e a obbedire in silenzio tra un voto e l’altro. Di chi è bombardato da una pioggia d’informazioni che disegnano i contorni delle vicende con una precisione chirurgica, in uno stato d’emergenza come regola.

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