L’ora X potrebbe scattare in qualunque momento. Top secret. Le basi militari Nato della Sicilia si preparano con grande riserbo. Non è possibile cogliere alcun segnale, indizio, prova di una mobilitazione. È chiaro che sono state date disposizioni ferree, altrettanto chiaro che non si può programmare un intervento militare così complesso senza una preparazione accurata.
Stando ai precedenti – Iraq 1 e Iraq 2, Libia – dovrebbero essere le basi aeree quelle maggiormente impegnate, e cioè Birgi e Sigonella. In occasione dell’intervento militare in Libia da Birgi partivano gli aerei francesi ed inglesi. Gli Usa diedero appoggio logistico e impegnarono la loro flotta navale per impedire eventuali rappresaglie e non solo. Fu necessario chiudere o limitare, a seconda dei casi, il traffico aereo dell’aereoporto civile di Trapani. Disagi si sono registrati anche nell’aeroporto di Catania-Fontanarossa.
Nel corso degli interventi in Iraq anche l’aeroporto di Palermo fu impegnato, nelle ore notturne venne chiuso al traffico per potere ospitare velivoli militari diretti in Iraq o in arrivo dal teatro di guerra. Niente a che vedere, tuttavia, con l’intervento in Siria sia per la qualità dell’impegno richiesto, quanto per il coinvolgimento di molti soggetti e la contrarietà espressa da Paesi, come Iran, Russia e Cina (l’Iran ha minacciato ritorsioni).
Il maggior peso del conflitto, tuttavia, dovrebbe essere sostenuto dalla Turchia, paese confinante con la Siria, che ospita milioni di profughi siriani e che ha vissuto gli orrori della guerra civile come “testimone” oculare. Che le decisioni siano state prese e si attenda solo lo start up, è indubbio. Il segretario di Stato, John Kerry, ha confermato che nel recente raid aereo compiuto su un quartiere di Damasco, che sarebbe costato la vita a centinaia di bambini, è stato usato il gas nervino. Non ci sono dubbi, ha affermato Kerry, il gas nervino è stato usato su larga scala, un episodio moralmente osceno. Non sarebbe stata accertata la responsabilità del raid – i ribelli o il regime – ma Kerry anche su questo non sembra nutrire dubbi: solo il regime ha in custodia armi chimiche ed ha mezzi e risorse per usarle.
Gli Usa non hanno annunciato l’intervento, ma le parole di Kerry lo hanno reso plausibile e, sotto molti aspetti, ormai improrogabile e necessario. Francesi ed inglesi avevano già preso posizione, ed è improbabile che l’abbiano fatto senza essersi consultati con gli Usa. Navi da guerra americane si sono avvicinate alle coste siriane, dove – com’è noto – si trova una base navale russa. Sia i russi quanto gli iraniani possiedono missili a media e lunga gittata.
Assai improbabile, da escludere, una rappresaglia russa. I cinesi manifestano dissenso, ma si limitano a questo. L’Iran costituisce invece un’incognita, anche se le recenti consultazioni hanno premiato l’ala riformista. L’allargamento del conflitto dovrebbe interessare i paesi arabi più instabili, e cioè l’Egitto, la Tunisia, il Libano, ovunque gli iraniani esercitano una influenza politica e militare attraverso le fazioni islamiste.
Ci si attende dunque una recrudescenza dei conflitti locali, ed un esodo di uomini, donne e bambini dalle zone di guerra. La Sicilia, dunque, sarà coinvolta nel conflitto, sia come base operativa, quanto come approdo del popolo in fuga. Di recente, com’è noto, in Sicilia c’è stato un rafforzamento dei presidi militari Usa con l’arrivo di un contingente di marines, e di venti droni, ospitati a Sigonella. Il Muos di Niscemi, sistema satellitare di ascolto e collegamento, è ancora in fase di realizzazione. Le basi turche alleggeriscono l’impegno militare siciliano, mentre la flotta navale Usa dovrebbe costituire un presidio di interposizione per eventuali ritorsioni.
Il governo italiano non ha assunto una posizione netta. Lunedì sera, anzi, da Roma sono arrivati segnali contraddittori. Da Palazzo Chigi – successiva all’incontro fra Letta e Alfano – è stata diramata una nota in cui si afferma che “in Siria si è superato il punto di non ritorno”, dalla Farnesina, invece, per bocca è venuta una frenata: impensabile un intervento militare in Siria senza il placet delle Nazioni Unite, dove, com’è noto, la Russia ha posto un veto in Consiglio di sicurezza.
Linea poco chiara, dunque, anche per ragioni oggettive: c’è la necessità di far cessare l’orrenda guerra civile che con il gas nervino ha raggiunto punte intollerabili di crudeltà ed evitare un conflitto di proporzioni mostruose.
Anche in occasione dell’intervento militare in Libia, che vide la Sicilia impegnata come piattaforma operativa, la posizione italiana non fu affatto lineare, tutt’altro. Dapprima ci si oppose fermamente (Berlusconi aveva firmato un trattato di pace con Gheddafi), poi si consentì l’operatività delle basi aeree siciliane, quindi si diede l’ok agli aerei militari italiani, ai quali però si ordinò, successivamente, di non usare le armi in dotazione.
Un’escalation che fu spiegata con gli interessi italiani in Libia, minacciati dall’attivismo francese. Palazzo Chigi e la Farnesina, oggi, sono forse meno lontani di quanto si pensi: l’Italia vorrebbe la copertura Onu, ma fa parte della Nato ed è in questa sede che dovrà assumere le sue decisioni insieme agli altri partner. Secondo le ultime notizie, comunque, gli Stati Uniti non avrebbero assunto una decisione definitiva. Un incontro con i russi, previsto all’Aja, è stato rinviato per volontà di Washington, segno che la Casa Bianca deve definire la sua strategia militare nel conflitto.
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