Bolzaneto, l’Italia è il Paese della tortura
Top

Bolzaneto, l’Italia è il Paese della tortura

La Cassazione conferma l’impianto della sentenza di secondo grado. Assolti i carabinieri, condannati tutti gli altri. [Checchino Antonini]

Bolzaneto, l’Italia è il Paese della tortura
Preroll

redazione Modifica articolo

14 Giugno 2013 - 17.53


ATF
di Checchino Antonini

«L’Italia è un Paese in cui si pratica la tortura, ma si fa finta che non sia così», sbotta Lorenzo Guadagnucci uscendo dal Palazzaccio. Da pochi istanti è stata pronuciata la sentenza di Cassazione per i massacri e gli abusi commessi a Bolzaneto nel 2001. La Quinta sezione penale del Palazzaccio mette un paletto definitivo alle violenze avenute nella caserma di Bolzaneto, durante il G8 di genova, confermando 7 condanne e concedendo 4 assoluzioni. Oronzo Doria, Franco, Trascio e Talu, sono i nomi degli agenti assolti. Mentre sono state confermate le condanne – inflitte dalla Corte d’appello di Genova il 5 marzo 2010 – per l’assistente capo della polizia Luigi Pigozzi (3 anni e 2 mesi), che divaricò le dita delle mano di un detenuto fino a strappare la carne, gli agenti di polizia penitenziaria Marcello Mulas e Michele Colucci Sabia (1 anno) e il medico Sonia Sciandra.

Pene confermate a un anno per gli ispettori della polizia Matilde Arecco, Mario Turco e Paolo Ubaldi che avevano rinunciato alla prescrizione. Anche nei confronti di Amenza i giudici della Suprema Corte hanno cancellato la condanna per il reato di minaccia. Ma la quinta sezione penale del Palazzaccio – presieduta da Gaetanino Zecca – ha fatto di più, riducendo i risarcimenti nei confronti delle vittime delle violenze. Il verdetto, infatti, stabilisce che i danni subiti dai manifestanti, dovranno essere rideterminati da un giudice civile «per assenza di prova».

Ad attendere la sentenza, assieme ai loro legali, c’erano alcune vittime di Bolzaneto e della Diaz, alcuni reduci di quel luglio più qualche sparuto militante più giovane.

C’è Marco Poggi, l’“infame”, lui ci scherza su ma da quando ha deciso di testimoniare sugli orrori del carcere provvisorio per le retate del G8 non ha più lavorato come infermiere penitenziario. Solo 8 anni dopo avrebbe potuto fare il suo mestiere ma in un Opg. Da allora fa il sindacalista. Di Bolzaneto ricorda gli occhi strabuzzati del ragazzo coi rasta a cui il medico della prigione strappò via il piercing così, per sfregio. Vide dar calci e pugni sulle reni. Li sentiva cantare Facetta nera, gliela facevano sentire agli “ospiti” anche dai finestroni, con i telefonini. Lì dentro c’è era gente come Lorenzo di Roma, che aveva 21 anni, e lo pescarono il sabato 21, in corso Torino mentre era con alcuni amici, non stava facendo nulla se non prendere parte a un corteo contro il G8. Uscì da Bolzaneto con le costole incrinate e tantissima paura. Da allora non gli va mica di farsi vedere in giro. Evandro, torinese, era più anziano di diciotto anni. Fu preso quando spezzarono il corteo del sabato mentre fuggiva in una via laterale e poi nella rampa di un garage. E giù cazzotti sul muso e quella manganellata a freddo all’ingresso del carcere di Alessandria.

«Non ho ancora sentito una parola da parte del presidente della Repubblica e dei ministri. Dopo due sentenze su quello che è successo a Genova ci aspettiamo le scuse da parte dello Stato – dice Enrica Bartesaghi, presidente del comitato Verità e giustizia per Genova e madre di una ragazza picchiata alla Diaz e inghiottita da Bolzaneto – chi è stato coinvolto in questa vicenda faccia un passo indietro».

Quelli accaduti nel luglio 2001 nella caserma di Bolzaneto a Genova sono “soprusi” e “vessazioni” assolutamente “inqualificabili”, aveva detto il pg di Cassazione, Giuseppe Volpe, nella sua requisitoria davanti ai giudici della quinta sezione penale della Suprema Corte.

Nella caserma di Bolzaneto vi era la “percezione inevitabile di ciò che si stava verificando – ha detto Volpe – soprusi, violenze, vessazioni” e “correttamente la Corte d’appello di Genova ha tenuto conto di questo a differenza del primo giudice che si limitò a valutare una percezione de visu”. In primo grado, infatti, nel luglio 2008, vennero pronunciate 30 assoluzioni e 15 condanne.

Leggi anche:  A Napoli un altro ragazzo muore a 18 anni mentre l’empatia evapora dal mondo

Tale verdetto venne ribaltato in appello, il 5 marzo 2010, quando tutti gli imputati vennero ritenuti responsabili di quanto accaduto: per 7 ci fu la condanna penale, per 37 fu dichiarata la prescrizione del reato, ma per tutti venne stabilita la condanna a risarcire le vittime. Il pg Volpe, quindi, ha rilevato come chi a Bolzaneto rivestiva in quei giorni “posizioni di garanzia” sia responsabile di “omissioni, che hanno consentito il verificarsi degli eventi delittuosi. La percezione di ciò che avveniva era resa possibile anche dal contesto, dagli odori e dalle urla”.

Il pg aveva chiesto di confermare le condanne ma di ridurre i risarcimenti stabiliti dai giudici d’appello per i no-global vittime delle violenze avvenute nella caserma di Bolzaneto nei giorni del G8 di Genova del 2001. In primo grado, infatti, furono 30 gli imputati assolti (15 i condannati): per questi numerose parti civili non presentarono appello, come invece fece la Procura, ottenendo in secondo grado il ribaltamento del primo verdetto, con 7 condanne e 37 prescrizioni del reato. In appello tutti i 44 imputati (poliziotti, carabinieri, agenti e medici della penitenziaria) assieme ai ministeri di Interno, Giustizia e Difesa (responsabili civili nel processo), vennero condannati a risarcire i no-global che subirono violenze a Bolzaneto, caserma che nei giorni del G8 di Genova (20-22 luglio) venne trasformata in un penitenziario provvisorio per le maxi retate di quei giorni. Le parti civili che non presentarono appello, secondo Volpe, che nella sua requisitoria ha citato ampia giurisprudenza su questo tema, “non hanno interesse ad avere risarcimenti”.

«Così è stato – spiega Vittorio Agnoletto, che fu portavoce del Genoa social forum in quel 2001 tremendo – le modifiche sono avvenute solo su questioni formali. Ora che è concluso l’iter giudiziario dovrebbero entrare in scena l’Ordine dei medici e i comandi delle forze dell’ordine per i provvedimenti disciplinari contro i condannati». Resta, tanto per Agnoletto, quanto per Simonetta Crisci, una delle avvocate di parte civile, lo scandalo dell’assenza del reato di tortura. Inammissibile, per la Cassazione, il ricorso della procura genovese che aveva posto la questione di legittimità costituzionale sul mancato adeguamento dell’Italia ai principi della Convenzione europea che sanciscono l’imprescrittibilità di ogni reato commesso in violazione della norma che pone il divieto di trattamenti inumani e degradanti. «Se ci fosse stato quel reato Bolzaneto non lo ricorderemmo per tutto questo – riprende Agnoletto – se la politica fosse intervenuta dopo non ci sarebbero stati gli omicidi di Aldrovandi, Cucchi, Uva ecc… perché un reato imprescrittibile funzionerebbe deterrente».

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI

Secondo i pm nella caserma sono state “inflitte alle persone fermate almeno quattro delle cinque tecniche di interrogatorio che, secondo la Corte Europea sui diritti dell’uomo, chiamata a pronunciarsi sulla repressione dei tumulti in Irlanda negli Anni Settanta, configurano ‘trattamenti inumani e degradanti'”. Nelle motivazioni della sentenza, vengono elencati numerose violenze che risultano provate ai danni dei manifestanti trattenuti (tra cui alcuni di quelli provenienti dalla scuola Diaz): “lunghe attese prima di essere accompagnati ai bagni” al punto da doveri urinare addosso, “distruzione di oggetti personali”, “insulti di ogni tipo, da quelli a sfondo sessuale, diretti in particolare alle donne […], a quelli razzisti […] a quelli di contenuto politico” e varie minacce, “spruzzi di sostanze urticanti o irritanti nelle celle”, “percosse in tutte le parti del corpo, compresi i genitali […] inferte con le mani coperte da pesanti guanti di pelle nera e con i manganelli” anche senza motivo, l’obbligo di assumere posizioni scomode o vessatorie, anche nei confronti di manifestanti feriti, per lunghi periodi e senza motivazioni valide. I giudici commentano anche il fatto che l’assenza di uno specifico reato di tortura nell’ordinamento italiano ha costretto i pubblici ministeri a riferirsi al reato di abuso di ufficio, non adeguato alle condotte degli accusati ritenuti colpevoli, pur essendo le loro azioni “pienamente provate” e potendo esse “ricomprendersi nella nozione di “tortura” adottata nelle convenzioni internazionali”. Nel testo delle motivazioni si legge che: «L’elenco delle condotte criminose poste in essere in danno delle persone arrestate o fermate transitate nella caserma di Bolzaneto nel giorni compresi tra il 20 e il 22 luglio 2001 consente di concludere, senza alcun dubbio, come ci si trovi dinanzi a comportamenti che rivestono, a pieno titolo, i caratteri del trattamento inumano e degradante e che, quantunque commessi da un numero limitato di autori, che hanno tradito il giuramento di fedeltà alle leggi della Repubblica Italiana e, segnatamente, a quella che ne costituisce la Grundnorme, la Carta Costituzionale, e in una particolare (e si spera irripetibile) situazione ambientale, hanno, comunque, inferto un vulnus gravissimo, oltre a coloro che ne sono stati vittime, anche alla dignità delle Forze della Polizia di Stato e della Polizia Penitenziaria e alla fiducia della quale detti Corpi devono godere, in virtù della meritoria attività quotidiana svolta dalla stragrande maggioranza dei loro appartenenti, nella comunità dei cittadini». « Purtroppo, il limite del presente processo è rappresentato dal fatto che, quantunque ciò sia avvenuto non per incompletezza nell’indagine, che è stata, invece, lunga, laboriosa e attenta da parte dell’ufficio del pm, ma per difficoltà oggettive (non ultima delle quali, come ha evidenziato la Pubblica Accusa, la scarsa collaborazione delle Forze di Polizia, originata, forse, da un malinteso “spirito di corpo”) la maggior parte di coloro che si sono resi direttamente responsabili delle vessazioni risultate provate in dibattimento è rimasta ignoto».

Leggi anche:  A Napoli un altro ragazzo muore a 18 anni mentre l’empatia evapora dal mondo

Nelle motivazioni si riporta anche che dopo la morte di Carlo Giuliani il venerdì pomeriggio era stato deciso che i carabinieri presenti a Genova non avvrebbero più svolto servizio in strada, per cui il sabato furono mandati a Bolzaneto. Secondo alcune testimonianze, rese nel processo e riportate nelle motivazioni, la condizione dei manifestanti trattenuti durante il periodo in cui di guardia alle celle vi erano i carabinieri (dal sabato sera all’alba di domenica) era meno vessatoria e si erano registrate meno violenze (per la giornata di sabato una relativa intermittenza del trattamento vessatorio accompagnato in diverse occasioni da un atteggiamento, definito più umano dalle stesse parti lese, tenuto dagli appartenenti all’Arma, i quali sono intervenuti in diverse occasioni, per quanto hanno potuto, al fine di impedire le vessazioni), oltre al fatto che ai detenuti era stato concesso di sedersi ed era stata data dell’acqua, mentre vi erano stati dei battibecchi tra dei poliziotti che volevano entrare nella zona delle celle e carabinieri che avevano l’ordine di non farli passare.

IL PROCESSO DI PRIMO GRADO

Il 14 luglio 2008, al termine di un processo dopo oltre 9 ore di camera di consiglio, la Prima sezione penale del tribunale di Genova, pronunciò una sentenza di condanna per 15 imputati e 30 assoluzioni tra poliziotti, funzionari della questura, medici e poliziotti della penitenziaria, comminando pene variabili fra i 5 mesi e i 5 anni per complessivi 23 anni e 9 mesi di reclusione. I reati contestati agli imputati, a vario titolo, erano abuso d’ufficio, violenza privata, falso ideologico, abuso di autorità nei confronti di detenuti o arrestati, violazione dell’ordinamento penitenziario e della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Il tribunale aveva condannato Alessandro Perugini, all’epoca numero due della Digos di Genova, il funzionario di polizia con il grado più alto nella struttura, e l’ispettore Anna Poggi, rispettivamente a 2 anni e 4 mesi di reclusione ciascuno; Daniela Maida, ispettore superiore ad 1 anno e 6 mesi di reclusione; Antonello Gaetano, a 1 anno e 3 mesi, gli ispettori della polizia di Stato Matilde Arecco, Natale Parisi (poi deceduto), Mario Turco e Paolo Ubaldi ad 1 anno di reclusione ciascuno. Massimo Luigi Pigozzi, assistente capo della polizia a 3 anni e 2 mesi di reclusione; Barbara Amadei a 9 mesi, Alfredo Incoronato a 1 anno, Giuliano Patrizi a 5 mesi. Sono inoltre stati condannati i medici Giacomo Toccafondi ad 1 anno e 2 mesi di reclusione e Aldo Amenta a 10 mesi. La pena più alta, 5 anni, è stata inflitta a Biagio Gugliotta, ispettore della polizia penitenziaria responsabile della sicurezza del carcere di Bolzaneto a cui i giudici hanno lasciato la contestazione del reato di abuso d’ufficio doloso. I pm Patrizia Petruzziello e Ranieri Vittorio Miniati avevano chiesto condanne per oltre 76 anni complessivi di carcere con pene variabili da 6 mesi a 5 anni e 8 mesi e una sola assoluzione. Il tribunale di Genova aveva condannato i ministeri della Giustizia e degli Interni, responsabili civili, al risarcimento di numerose parti civili in solido con alcuni degli imputati condannati. Tra gli imputati assolti c’era il colonnello di polizia penitenziaria Oronzo Doria, ora generale, per il quale i pm avevano chiesto una condanna a 3 anni e 6 mesi. Sono stati inoltre assolti tutti i carabinieri imputati. Confermata per Giuseppe Fornasiere ufficiale della polizia penitenziaria l’assoluzione come avevano chiesto i pm.

Leggi anche:  A Napoli un altro ragazzo muore a 18 anni mentre l’empatia evapora dal mondo

LA SENTENZA DI APPELLO

La sentenza d’appello è stata pronunziata il 5 marzo 2010 dopo oltre 11 ore di camera di consiglio. La corte d’appello ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado. Confermata la sentenza di primo grado a carico di quattro imputati mentre ha dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per altri 28 imputati tra i quali Alessandro Perugini, ex vicecapo della digos della questura di Genova ai tempi del G8. Tutti, comunque, sono stati dichiarati responsabili dei reati ai soli effetti civili e condannati in solido al risarcimento del danno con i rispettivi ministeri. In riforma della sentenza di primo grado sono stati condannati anche quattro imputati per un totale di 6 anni e 6 mesi di reclusione. A tutti e quattro sono stati applicati i doppi benefici anche se devono rispondere in solido del risarcimento danni a favore di alcune parti civili. Un passaggio della sentenza è illuminante su quanto accadde, i cori fascisti e le suonerie dei telefonini di alcuni agenti inneggianti al fascismo.

Scrivono i giudici: «Richiamarsi platealmente al nazismo e al fascismo, al programma sterminatore degli ebrei, alla sopraffazione dell’individuo e alla sua umiliazione, proprio mentre vengono commessi i reati contestati o nei momenti che li precedono e li seguono, esprime il massimo del disonore di cui può macchiarsi la condotta del pubblico ufficiale».

Amnesty International, all’epoca, ha sottolineato l’importanza della sentenza, che riconosce che a Bolzaneto vi furono «gravi violazioni dei diritti umani». È stato fatto notare da diversi media che la prescrizione sarebbe stata impedita se l’Italia avesse già introdotto nel suo sistema penale il reato di tortura, come da obblighi derivanti dalla firma della Convenzione ONU contro la Tortura del 1988.

L’avvocatura dello Stato, ritenendo eccessive le somme liquidate alle parti civili (comprensive di spese legali), ne ha sospeso il pagamento e ha fatto ricorso alla corte di Cassazione per chiedere la sospensione delle condanne civili. La quinta sezione penale della Cassazione ha tuttavia rigettato il ricorso, ritenendo legittimi i risarcimenti.

Native

Articoli correlati