Sono le 11:47 del 29 maggio. L’ANSA dà la notizia della scomparsa dell’84enne Franca Rame. L’Italia si stringe attorno al dolore dei cari e, soprattutto, attorno al marito – e Premio Nobel per la Letteratura – Dario Fo. I Tg nazionali si affrettano a preparare dei servizi commemorativi, per le prime edizioni a disposizione. Ma il Tg2 spicca tra tutti. Sono le 13:13 e viene mandato in onda il servizio di Carola Carulli. Uno dei più discussi della storia recente della Rai.
«Una donna bellissima, amata a e odiata: tra chi la definiva attrice di talento che sapeva mettere in gioco la propria carriera teatrale per un ideale di militanza politica totalizzante, chi invece la vedeva come la pasionaria rossa che approfittava della propria bellezza fisica per imporre attenzione. Finché il 9 marzo del 1973 fu sequestrata e stuprata. Ci vollero 25 anni per scoprire i nomi degli aggressori, ma tutto era caduto in prescrizione. Da questa esperienza durissima la Rame riuscì a trarne un testo che portò a teatro».
Il sito Globalist lancia per primo l’allarme, il grido d’indignazione. Il servizio pare proporre una concatenazione logica tra il fatto di “essere attraente” e lo stupro del ’73. Senza contare il mancato riferimento – concreto – agli aggressori. Ovvero ai 5 esponenti dell’estrema destra che, sobillati da alcuni ufficiali della Divisione Pastrengo dei Carabinieri, picchiarono e stuprarono a turno l’allora 43enne comunista. Globalist si pone una domanda quantomeno legittima, sia tenendo conto della natura politica degli aggressori sia tenendo conto dell’attuale momento politico che vive l’Italia e, più in particolare, la capitale: «hai visto mai che alla vigilia del ballottaggio per il sindaco di Roma si dia fastidio ad Alemanno?».
Il Web esplode di rabbia, capitanato dalla redazione di www.zeroviolenzadonne.it che vede nell’omissione della matrice fascista dell’aggressione alla Rame, «una scelta ben precisa di cui ci stupiamo». Persino una testata mainstream come Repubblica – certamente meno abituata a captare l’umore della piazza virtuale, a differenza di testate minori – coglie l’indignazione dilagante e pubblica il servizio incriminato. Emblematico il commento di un utente: «sarebbe stato preferibile tacere addirittura la notizia che darla in questa forma».
Finisce qui? La Rame verrà ricordata così, tra luci ed ombre, come se il suo colore politico potesse giustificare in alcun modo la brutale violenza subita? No. L’e-mail e l’account Twitter di Marcello Masi, così come la pagina Facebook del Tg2 vengono letteralmente bombardati di critiche, se non di insulti. Il direttore del Tg di RaiDue manda in onda, per l’edizione serale, un contro-servizio in cui, in sostanza, si chiede scusa ai telespettatori per il misunderstanding e si chiariscono le buone intenzioni della fautrice del servizio incriminato (deresponsabilizzando, di fatto, il Tg nel suo complesso, come se fosse stata – in caso – solo la singola giornalista a sbagliare modi e termini).
Masi ha espresso «rammarico per il fatto che qualcuno possa solo immaginare che ci sia qualsiasi giustificazione a ogni forma di violenza nei confronti delle donne e in particolare di Franca Rame» e, conclude, dice di vergognarsi «per quelli che pensano una cosa del genere». Se non fosse che è proprio grazie a “quelli” (Globalist, Facebook, Twitter e chi più ne ha più ne metta) che lo stesso direttore ha potuto toccare con mano l’ira della cittadinanza. Trovandosi costretto a rettificare quanto proposto all’ora di pranzo.
Ecco, forse non sarà stato il modo migliore per celebrare la scomparsa di una grande artista – e non solo – come Franca Rame. E non staremo certo qui ad osannare l’onnipotenza della Rete o la supremazia morale dei social network. Ma Internet ha restituito dignità alla morte di una persona. Di questo, possiamo solo che essergli grato.
Argomenti: facebook