Ordine: o si cambia o si chiude
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Ordine: o si cambia o si chiude

Intervista a Paola Spadari, già caposervizio parlamentare dell'Ansa candidata alla guida dei giornalisti del Lazio. [Virginia Lori]

Ordine: o si cambia o si chiude
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19 Maggio 2013 - 11.59


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di Virginia Lori

Per la prima volta alla guida dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio viene candidata una donna: Paola Spadari – sostenuta dalle componenti storiche del sindacato “Autonomia e solidarietà” e “Giornalisti Uniti”. Spadari ha lavorato all’Ansa, prima nella redazione economico-finanziaria e poi come caposervizio al Politico Parlamentare, ed ha maturato la sua esperienza all’Ordine come consigliere nazionale, dove si è impegnata per la Riforma.

La squadra di giornaliste e giornalisti per il Consiglio nazionale e per l’Ordine del Lazio con cui sei candidata alle elezioni romane ha un nome impegnativo: “CONTRordine, o si cambia o si chiude”. Cosa significa in pratica?

«Abbiamo la certezza che questo organismo sia arrivato “all’ultima spiaggia”: diventato arcaico e distante dai veri interessi della categoria. Quindi, pur restando validi i principi fondamentali come la tutela dell’autonomia professionale, il resto è da cambiare. Intanto abbiamo detto “no” ad accordi e camarille. La nostra lista non è solo “autonoma” nel nome, ma vuol esserlo nei fatti. Ed aperta a tutte le declinazioni della professione.
Include anche freelance, rappresentanti degli uffici stampa e precari. Con me, in Consiglio regionale, la metà delle colleghe candidate sono donne, mentre la nostra lista al Consiglio nazionale vede la rappresentanza del genere femminile in maggioranza (9 a 7). Non ci interessano le poltrone ma il cambiamento vero, radicale. Al presidente dell’Ordine regionale uscente, Bruno Tucci, in carica da 18(dico 18) anni, e che abbiamo sempre sostenuto, abbiamo chiesto di fare un passo “di lato” e di accompagnarci sulla strada del rinnovamento. Per tutta risposta lui si è candidato con una lista a noi contrapposta. Un
eccessivo attaccamento alla poltrona? I fatti parlano».

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Qual è oggi la vostra idea di riforma, dopo gli “stop” parlamentari?

«Riforma radicale dell’Ordine per noi non é solo uno slogan: sono anni che ci battiamo per un progetto di riforma che, dopo un lungo lavoro nella commissione giuridica (di cui ho fatto parte), è stato presentato in Parlamento nella scorsa legislatura. I suoi capisaldi sono stati stati approvati alla Camera con il voto unanime dei gruppi parlamentari; ma al Senato una forza politica, l’unica -il Pdl- ha impedito che il provvedimento diventasse legge. Inoltre proprio coloro che nominalmente si annoverano tra i paladini della riforma, e che avrebbero potuto fare pesare sulla bilancia di un esito positivo dell’iter della legge il loro incarico istituzionale (parlo del presidente uscente dell’Ordine nazionale, Enzo Iacopino) in realtà non si sono adoperati a sufficienza perchè ciò accadesse. Così oggi ci presentiamo con un Ordine nazionale costituito da oltre 150 componenti , di cui la metà pubblicisti; un organismo pletorico, antistorico e costoso. Soprattutto in un momento di crisi come questo, nel quale la sobrietà dovrebbe essere parola d’ordine per tutti, in primis per un Ente pubblico di giornalisti. Come possiamo raccontare delle “caste” e degli sprechi dei Palazzi se noi per primi non diamo l’esempio? Per non parlare della perdita di credibilità della nostra categoria nella percezione dell’opinione pubblica. C’è molta polemica nella categoria sul “tesserino”, sulla distinzione professionisti-pubblicisti.
Per noi questo è un punto fermo: “giornalista è chi lo fa”. Per questo dobbiamo andare verso un superamento della distinzione tra pubblicisti e professionisti; purché tutti rispettino le regole della professione, e la svolgano in modo prevalente. Inoltre intendiamo riservare un’attenzione particolare alla parte più debole e precaria della nostra categoria».

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In sintesi? Cosa vi proponete?

«L’ obiettivo per il quale lavoriamo è un Ordine che si riavvicini alla professione e alle sue molteplici. espressioni; che riporti al centro le
regole del nostro mestiere, troppo spesso calpestate e violate impunemente.
Bisogna pretendere il rispetto delle nostre ”carte”, ossatura della deontologia. Un Ordine che non sia debole con i forti e forte con i deboli, e che soprattutto renda pubblici e trasparenti tutti i provvedimenti assunti. Un Ordine che faccia rispettare i requisiti minimi di trattamento e ne sanzioni le violazioni. Diciamo “no”al lavoro sottopagato che mette a rischio l’indipendenza del giornalista e i fondamenti stessi della democrazia dell’informazione».

Volete voltare pagina, dunque?

«È irrinunciabile una nuova legge che rifletta i cambiamenti rispetto ai
quali l’Ordine ha avuto in questi anni il paraocchi. Bisogna guardare ai nuovi
soggetti e ai nuovi media. E soprattutto far sentire questo organismo che i
colleghi vivono come distante, più vicino alle loro esigenze e ai mutamenti
veloci della professione».

E per il Consiglio regionale?

«Si deve partire proprio da qui: i consigli regionali sono le “sentinelle” sul territorio della deontologia professionale. Noi vogliamo che ne sia valorizzato il ruolo e li pensiamo più a contatto con le redazioni, pronti a intervenire tempestivamente sulle violazioni delle regole nei casi di cronaca e attualità. I consigli regionali dovranno armonizzarsi tra loro per evitare disparità di trattamento e per dar vita a occasioni di incontro formativo e di confronto che servano a orientare linee guida omogenee. Per questi obiettivi metto a disposizione la mia esperienza quasi trentennale, maturata in più settori nella principale agenzia di stampa italiana(soprattutto economico e politico). Sempre al servizio dei colleghi e dei cittadini, a cui va il nostro lavoro».

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