La mafia canadese uccide due picciotti in Sicilia
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La mafia canadese uccide due picciotti in Sicilia

Come in un film, ma è pura realtà. Gli uomini del Ros hanno trovato due cadaveri carbonizzati in un casolare: erano affiliati alla Cosa nostra canadese.

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9 Maggio 2013 - 19.02


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di Tancredi Omodei

Come in un film. Ai carabinieri del Ros è bastato seguire una segnalazione precisa: andare in un casolare delle campagne di Casteldaccia, nel palermitano, e scavare. Hanno scavato ed hanno trovato due cadaveri carbonizzati. Come in un film, perché gli investigatori sono certi che i corpi sono quelli di due esponenti di vertice di Cosa nostra canadese, Juan Ramon Fernandez, arrivato in Sicilia nell’estate dello scorso anno, dopo essere stato espulso come “indesiderabile”, e Fernando Pimentel, che in Sicilia era arrivato qualche settimana fa.

L’ordine di uccidere i due sarebbe arrivato direttamente dal Nord America, dove è in corsa una guerra all’interno del potente clan di Vito Rizzuto, l’ex numero uno nella mafia italo-canadese. Juan Ramon Fernandez si incontrava spesso con i vertici della famiglia mafiosa di Bagheria, con i quali aveva anche organizzato un ricco traffico di droga. Troppe iniziative, una frenesia non gradita alle famiglie canadesi. Fernandez e Pimentel dovevano essere arrestati nel blitz di due giorni fa contro la famiglia mafiosa di Bagheria. Ma i due non erano stati trovati. Li hanno trovati oggi, morti e sepolti, uccisi da qualche settimana.

Lui, Juan, era un omone alto 1,90, muscoli e camice di marca. Lo si vedeva sempre a passeggio lungo il corso principale di Bagheria. Incontrava tanta gente, era trattato con rispetto, con baci e abbracci, come fosse di casa. Spagnolo, era cresciuto in Canada all’ombra e al servizio del capomafia Vito Rizzuto.

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Dopo essere stato espulso dal Canada, nell’aprile 2012, i carabinieri lo avevano seguito, registrando i tanti incontri col fior fiore delle famiglie mafiose di Bagheria. Ufficialmente istruttore di arti marziali, in realtà quel muscoloso giovanotto a Bagheria si muoveva per affari scottanti e come se qui ci fosse nato. Metteva a punto nuovi affari sul pericoloso asse Palermo-Montreal. Soprattutto, la droga. Due giorni fa, gli arresti, una ventina di persone.

Fernandez non era stato trovato dai carabinieri. Era già sepolto poco distante dal casolare di Casteldaccia, paese non lontano da Bagheria. In paese non lo si vedeva da qualche settimana, e l’assenza di quel ragazzone con magliette griffate che offrivano alla vista muscoli ben allenati, si era fatta notare. C’era chi sapeva il motivo della scomparsa, c’era chi aveva capito. Nel blitz, bloccati, invece, i nuovi padrini della città di Guttuso e Tornatore.

Nell’inchiesta, non potevano mancare i rapporti tra mafia e politica. Svelate complicità eccellenti dei padrini: nell’ottobre 2012, avrebbero sostenuto la candidatura alle elezioni regionali di Giuseppe Scrivano, il sindaco di Alimena, candidato con la lista di Nello Musumeci, il candidato di centrodestra alla presidenza della Regione. Scrivano era stato candidato anche alle ultime Politiche, come capolista della Sicilia Orientale per la Lega Nord e numero due in Sicilia Occidentale. L’avviso di garanzia è per voto di scambio: ad accusarlo, le intercettazioni mentre contatta alcuni boss di Bagheria per raccogliere voti alle Regionali, voti pagati. Intercettazioni e filmati parlano chiaro. Scrivano è risultato il primo dei non eletti della sua lista per le Regionali 2012, con 4.166 voti. A febbraio, ad Alimena (due mila abitanti), alla Lega era riuscito a far convergere il 22 per cento dei voti. Scrivano in lista aveva messo tutta la famiglia, anagraficamente parlando, moglie e parenti. “Sono parenti, ma non ci sono amanti, come negli altri partiti…”, aveva detto.

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Dunque, la scalata di Juan Ramon Paz Fernandez è finita qui, in questo fazzoletto di terra che si affaccia sul mare di Casteldaccia. In Canada era stata una celebrità criminale. Di lui, gli investigatori canadesi erano arrivati a dire: “E’ seduto alla destra di Dio”. E “Dio” era don Vito Rizzuto, fino a qualche anno fa boss incontrastato, poi al centro di una guerra di mafia senza più rispetto per la gerarchia. Nella guerra di mafia era caduto il figlio Nick, poi “i rivoltosi”avevano sparato al cuore del potere mafioso, allo stesso don Vito. “Don Vito”, come in un film, anche nei nomi.

Juan Ramon, prima di sbarcare in Sicilia attraversa accuse d’omicidio, espulsioni e dieci anni di carcere. Entra ed esce dal Canada e dal carcere sempre con spavalderia. Alla fine, quel bollo di ”indesiderabile” che lo spinge a Bagheria, per i misteriosi contatti che si intrecciano lungo le vie del crimine internazionale.

Gli investigatori italiani sono avvertiti dello spessore criminale del nuovo arrivato. I carabinieri gli stanno addosso, registrano ogni mossa. Registrano i fitti rapporti con le persone”giuste” del paese. Non tutte “giuste”, qualcuno lo ha tradito e fermato per sempre. “Joe Bravo”, come era conosciuto il ragazzone arrivato d’Oltreoceano, è finito sotto terra, portandosi dietro anche l’amico canadese che era venuto a trovarlo. Probabilmente per condividere un business “troppo grosso” per spalle pure larghe, ma improvvisamente scoperte.

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