Le sfide impossibili del Papa che verrà
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Le sfide impossibili del Papa che verrà

I problemi aperti dalle dimissioni di Ratzinger sono molti, ma un sacro collegio chiuso in una gara fra conservatori e destra tradizionalista non è in grado di aprire alle riforme

Le sfide impossibili del Papa che verrà
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11 Marzo 2013 - 11.26


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Di Francesco Peloso
La sfida della rinuncia

L’11 febbraio il Papa ha rinunciato all’incarico cui era stato chiamato nell’aprile del 2005, nel linguaggio comune si è dimesso, anche se la parola fa ancora un po’ paura nella Chiesa. Benedetto XVI era stanco, aveva quasi 86 anni, in passato aveva già parlato della possibilità di lasciare il papato. E tuttavia non è sfuggito all’opinione pubblica che il gesto di Ratzinger è stato anche causato dai tanti problemi emersi nella curia romana, da un governo autoreferenziale, diviso al suo interno, chiuso nella realtà italiana. Le dimissioni, in ogni caso hanno preso alla sprovvista i vescovi di tutto il mondo, per questo rappresentano anche una sfida. Serve un Papa con più “vigore e energia” ha affermato Benedetto XVI.

Per fare cosa? Le sfide sono molte: gli abusi sessuali, gli scandali finanziari, i problemi legati al carrierismo. Il Papa ha fatto inoltre una scelta che ha messo in crisi i suoi sostenitori più tradizionalisti: le dimissioni, vissute e comunicate al mondo come scelta ‘normale’ dallo stesso Ratzinger, assomigliano fin troppo a un gesto da chiesa riformata, cioè protestante e nordeuropea. Dunque il Papa emerito ha sfidato su più piani la struttura e il potere della Chiesa. Ne ha visto il logoramento, che nessuno meglio di lui conosce, e ha deciso di rompere gli indugi.

Il prossimo Papa dovrà fare le riforme

Il prossimo Pontefice dovrà sciogliere molti nodi irrisolti, Benedetto XVI lo ha sempre saputo e così ha cercato di ancorare la Chiesa alle sue fondamenta, cioè la tradizione travolta dal Concilio Vaticano II. In pratica basi solide per affrontare il futuro. Da qui il recupero della messa in latino, l’apertura ai gruppi ultratradizionalisti, l’attenzione alla liturgia. Eppure, così facendo, ha di fatto rallentato l’evoluzione della Chiesa; la contraddizione ora è nelle mani del successore che dovrà porvi mano. Il mancato rientro dei lefebvriani, la Fraternità di San Pio X con la quale la Santa Sede ha ingaggiato un lungo e infruttuoso negoziato, è il simbolo di una storia costellata di equivoci, per esempio quelli con il mondo ebraico cui pure Ratzinger era vicino per cultura, ma che ha criticato il Papa per aver aperto le porte a gruppi con venature antisemite.

La questione della comunione ai divorziati risposati è ancora sul tavolo, su questo tema i fedeli si attendono da tempo una svolta che avrebbe un forte valore simbolico, le parole generiche non bastano più. Anche l’apertura alle donne in ruoli guida – pur escludendo il sacerdozio – deve entrare, secondo molti osservatori, nella stagione della concretezza, per esempio interessando i vertici dei dicasteri vaticani o di altri organismi ecclesiali.

La gestione opaca delle finanze

Il pontificato di Ratzinger è stato segnato anche dall’esplodere del caso Ior, l’Istituto finanziario del Vaticano, al centro da diversi decenni di numerose vicende giudiziarie. Il crack del Banco Ambrosiano, la maxitangente Enimont, le vicende più recenti della cricca di Angelo Balducci, i sospetti di riciclaggio di denaro legato alla mafia, hanno gettato ombre e discredito sull’intera Chiesa. Sotto Benedetto XVI è iniziata una faticosa opera di trasparenza – anche in virtù della pressione esercitata dagli organismi europei e dalla Banca d’Italia – che deve ora essere portata a termine.

Nel frattempo un tedesco, Ernst Von Freyberg, è diventato presidente della banca vaticana mentre prosegue una difficile opera di attuazione della trasparenza finanziaria. I bilanci vaticani, inoltre, in anni recenti, anche a causa della crisi e della diminuzione delle offerte e dei contributi delle singole chiese nazionali, sono in rosso. La questione delle risorse economiche e della loro gestione, è uno dei problemi spinosi che dovrà gestire il prossimo Papa, magari appoggiandosi al nuovo Segretario di Stato.


Che fine farà la Curia romana?

Fra i grandi accusati della crisi della Chiesa c’è la Curia romana. Struttura chiusa, fortemente conservatrice, con qualche tratto delle antiche e corrotte corti imperiali. La Curia non è solo questo, naturalmente, c’è anche una storia più nobile, eppure il suo ruolo sembra non più adeguato ai tempi. Vatileaks, lo Ior, gli scandali sessuali, le lotte di potere, le cordate e i servilismi, un’ormai sempre più evidente fragilità diplomatica sui fronti delle crisi internazionali, costituiscono i capitoli visibili di un quadro da tempo sfilacciato in tante parti. Eppure, a giudicare da molti dei nomi in lizza per la successione a Benedetto XVI e al suo Segretario di Stato Tarcisio Bertone, non sembra che il ‘nuovo avanzi’; insomma il sacro collegio dovrà veramente escogitare qualcosa di imprevisto, e quindi mettere in discussione sé stesso, se vorrà porre mano al cuore del potere vaticano.


Abusi sessuali, il sexgate entra in conclave

La questione degli abusi sessuali dopo anni di rinvii e negazioni, è diventata il problema più esplosivo per la Chiesa universale. Ha infatti mostrato i limiti di regole antiche – il celibato – e soprattutto ha scoperto un mondo fatto di omertà, tutto al maschile, che non ha avuto rispetto per i più deboli. Il tradimento della missione della chiesa è dunque il vero tema al centro dello scandalo. Qui i vescovi si sono divisi: quelli a favore della trasparenza e del rigore e quanti hanno invocato il complotto mediatico e di oscuri poteri, per giustificare le mancanze e gli insabbiamenti. Ratzinger ha chiesto pulizia, ha aperto la porta ma non è riuscito ad andare oltre. Il successore dovrà dunque misurarsi fino in fondo con lo scandalo pedofilia.

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