Donna e disabile, una vita all’insegna della discriminazione multipla

Lavoro, famiglia, maternità. Restano ancora molte, troppe, le facce della discriminazione che le donne con disabilità si trovano a dover affrontare

Donna e disabile, una vita all’insegna della discriminazione multipla
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redazione Modifica articolo

6 Marzo 2013 - 20.29


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Restano ancora molte, troppe, le facce della discriminazione che le donne con disabilità si trovano a dover affrontare dalla nascita o a causa di una malattia invalidante, di un incidente sul lavoro. Lo denuncia l’ultima inchiesta del mensile “SuperAbile Magazine”, edito dall’Inail, sul numero di marzo che anticipiamo oggi.

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«In un mondo costruito per uomini e gestito da uomini, essere donna e avere una disabilità comporta una vita di discriminazione multipla. Le donne disabili sono sempre e comunque donne, ma non sono mai riconosciute come tali. Non bisogna credere che in Italia la condizione di vita delle donne con disabilità sia sicuramente migliore rispetto ad altri Stati, né che la povertà economica e culturale in cui sono segregate le donne disabili sia tipica dei Paesi in via di sviluppo», denuncia Luisella Bosisio Fazzi, consigliere della Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità).

L’associazione sta progettando l’apertura di un Centro di tutela antidiscriminatoria, a sostegno anche dell’universo femminile, in grado di diventare punto di riferimento regionale e nazionale raccogliendo segnalazioni e richieste, offrendo informazioni e consulenze.

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«I dati ci dicono che le donne disabili trovano con più difficoltà lavoro, spesso devono rinunciare al desiderio di maternità e, in generale, subiscono più discriminazioni rispetto ai maschi. Sono invisibili perché le politiche di genere non influenzano la loro condizione e le politiche sulla disabilità non tengono conto del genere», insiste Bosisio Fazzi. Evidenzia che raramente le donne disabili sono «considerate in relazione alla femminilità, alla maternità, alla genitorialità, alla bellezza. Detengono il più alto tasso di non impiego, sono più spesso escluse dai sistemi educativi; normalmente vengono dissuase dall’avere figli. Spetta a loro la percentuale più elevata di violenze e abusi subiti, soprattutto alle donne con malattie psichiatriche, disabilità sensoriali e intellettive».

Un quadro sconfortante. Per questo la Ledha offre da tempo un servizio legale. “Anche a causa della scarsa informazione sul tema, le persone con disabilità e in particolar modo le donne, sono ancora spesso vittime di violenza», fa notare l’avvocato Gaetano De Luca, che ha supportato la famiglia di una ragazza milanese con una disabilità di tipo intellettivo vittima di violenza sessuale da parte dell’autista che l’accompagnava a scuola e al centro diurno: «Comprensibile la difficoltà dei genitori nel dover affrontare un processo e nel vedere la propria figlia subire tutta una serie di attività di indagine volte ad accertarne la credibilità e la reale capacità di poter percepire e rendersi conto di quanto le è accaduto. L’imputato infatti, durante il processo, ha più volte negato gli addebiti, ma dopo il dibattimento è stato condannato a una pena di sei anni».

Se circa il 16 per cento delle donne europee è disabile, un rapporto del Parlamento dell’Unione denuncia che circa l’80 per cento di quelle istituzionalizzate sono esposte al rischio di violenza, spesso compiuta proprio dalle persone che dovrebbero prendersi cura di loro. E nella civilissima Germania uno studio commissionato dal ministero per la Famiglia rivela che migliaia di donne con disabilità intellettiva, rinchiuse in istituti, hanno subito abusi sessuali.

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Al di là dei casi di cronaca, i diritti violati pongono l’urgenza di un cambiamento culturale, di una sterzata decisa nella mentalità comune. Perché i pregiudizi sono duri a morire. Approvata nel dicembre 2006, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata da una ventina di Paesi della Ue) auspica che le donne non siano più vittime della «discriminazione multipla».

Un concetto «reso noto dagli studi di Kimberly W. Crenshaw in riferimento alle esperienze di discriminazione vissute dalle donne nere in America, che si è progressivamente esteso in altri ambiti», spiega la psicologa valdostana Laura Elke D’Apolito, autrice di una recente ricerca sulle donne disabili: «In una società come la nostra, dove la sessualità è l’oggetto più frequente della comunicazione di massa, l’invisibilità a cui sono costrette le donne disabili in qualche modo è una forma di negazione del loro diritto alla sessualità. Sono quasi invisibili all’interno dei media, poiché il loro corpo è percepito dalla società come “poco desiderabile”».

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