La comune parabola italo-vaticana
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La comune parabola italo-vaticana

E' solo un caso che il papato finisca in coincidenza con il voto? E che sulle due sponde del Tevere si parli di crisi sistemica e di classe dirigente?

La comune parabola italo-vaticana
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23 Febbraio 2013 - 16.42


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Lo sapeva papa Benedetto XVI quando ha fissato la data della sua rinuncia che il 24 e 25 febbraio si votava in Italia? Lo sapeva, certo. Ma non ci avrà prestato soverchia attenzione. E lo sapeva che il suo ultimo Angelus sarebbe caduto nel giorno in cui gli italiani si sarebbero recati alle urne? Lo sapeva, certo. Ma non ci avrà prestato soverchia attenzione.

E’ sempre più facile vedere o capire una storia dalla sua fine che dal suo inizio. Quindi il modo migliore per capire quanto abbia senso parlare di “parallelismo italo-vaticano” si potrà dire meglio, molto meglio, martedì mattina, a risultati eletorali noti. Ma intanto colpisce che il clima di questa fine di pontificato abbia molto da dire sul clima che si respira in Italia.

L’Italia arriva a questo voto senza fiducia in se stessa: qualcuno ha fiducia in Grillo, qualcuno ha fiducia in mister B., il che sembra dire una cosa indiscutibile, che pochi hanno fiducia nell’Italia. Se sia giusto o meno non è rilevante, la sfiducia è una profezia che si autoavvera. E quando si manifesterà ognuno dovrà fare i conti con l’evidente cancellazione di ogni criterio per la selezione di un gruppo dirigente tra i mali (berlusconianamente deflagrati) più profondi del nostro Paese.

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Il fatto che in queste ore il Vaticano critichi, sebbene con qualche ragione, i media per il tipo di informazione che fanno, ma arrivando a dire che in questo modo si cerca di condizionare il voto dei porporati chiamati a eleggere il nuovo papa, non dimostra la stessa sfiducia? Almeno psicologicamente? Ma come? I principi della Chiesa condizionabili dalle illazioni di questo o quel giornaletto invece che da qualche potere ben più alto? E qualcuno può dire che da questa sfiducia non si evinca il problema del gruppo dirigente?

Diciamo la verità: la tentazione di guardare in Vaticano dai buchi delle serrature del sesso, dello Ior e delle lotte di potere è insopportabile. Ma tolto Joseph Ratzinger che ha avuto il coraggio di porre il problema della collegialità ecclesiale con la sua rinuncia,di cosa si è occupato il Vaticano in questi giorni? Di Ior, di sessualità (documento dei vescovi tedeshi,dichiarazioni sui cardinali accusati per la gestione dello scandalo della pedofilia), di nomine…

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Molti hanno detto cose bellissime sulla chiesa e la modernità, questa antropologia nuova che va capita, con la quale ci si deve confrontare: ma chi? Non certo esponenti del gruppo dirigente vaticano, ad eccezione del cardinale Ravasi.

Così le dimissioni di papa Ratzinger prendono un valore italiano, reale. L’Italia senza fiducia in sè stessa è lo specchio defomante di un Vaticano dalla leadership claudicante. L’Italia senza gruppo dirigente è lo specchio deformante di un Vaticano che non ha fiducia nell’uomo d’oggi e non gli sa parlare.

Il cristianesimo ha di certo più risorse culturali e spirituali dell’Italia. La speranza è che le liberi presto, altrimenti, viste le qualità dei taumaturghi in cui dimostriamo fiducia, il nostro destino apparirebbe segnato, se non lo è già….

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