Incredibile. La notizia della rinuncia di papa Benedetto XVI sembra già digerita. Come se dietro non ci fosse lo schiantarsi di un’istituzione bimillenaria contro il muro di tutto ciò che Francesco Peloso qui spiega nel dettaglio.
I livelli di discussione sono due, entrambi enormi:cosa c’è dietro e cosa significa l’atto in sé.
Sul quel che c’è dietro il discorso è preso riassunto: Ior, pedofilia, corvi, fallimenti ospedalieri, ordini sull’orlo del crac. E poi crisi delle vocazioni, celibato, ordinazione femminile, comunione per i divorziati risposati, ruolo delle donne nelle chiesa, rapporto con la modernità, sessualità, contraccezione.
Su tutto questo il cattolicesimo è imballato, i primi fronti rendono incredibile l’arretratezza dogmatica sul secondo.
Ratzinger è stato sempre estraneo a un mondo, quello curiale, che lo ha ripagato di tanto disprezzo con i corvi. Ma la sua debolezza gestionale lo ha messo nella non invidiabile condizione di affidare il governo ai soli di cui si fidasse per quanto privi di esperienza. Così il papa è diventato ostaggio della macchina.
Poi c’è il discorso sul significato della scelta in sé. Le dimissioni di un papa non ci obbligano a chiederci, come ha detto l’arcivescovo di Torino, chi si sia mai dimesso nell’Italia laica e religiosa? Ratzinger, il nemico della modernità, è venuto dalla fredda Germania a dirci che il mondo globalizzato è complesso e non si può governarlo “senza il necessario vigore”. Dunque Ratzinger desacralizza non la figura del papa ma il papa in quanto essere umano. E quindi risacralizza il papato se vissuto come primus inter pares, come figlio e non come padre, o nonno. E dà un senso tutto nuovo al termine “servizio”. Il vero servizio è quello di farsi da parte quando nella complessità si è divenuti troppo semplici.
Ecco che nell’Italia gerontocratica l’enormità del gesto di Ratzinger ci riguarda tutti, riguarda la nostra cultura in crisi, un Paese incapace di rendersi conto anche dell’epocalità di quanto è accaduto qui a Roma, e già fa i conti del dietro le quinte del Conclave, come se fosse un conclave qualsiasi. E non quello che se non saprà pensare al Concilio Vaticano III denuncerà l’irreversibilità del nostro declino.