“Riguardo al furto aggravato mi dichiaro innocente. Mi sento colpevole per aver tradito la fiducia che aveva riposto in me il Santo Padre, che io sento di amare come un figlio”. Lo ha detto Paolo Gabriele, ex maggiordomo di Benedetto XVI, nella sua deposizione al processo che lo vede accusato del furto di carte riservate di documenti di Benedetto XVI.
Gabriele ha rubadito di aver fatto tutto da solo, e di non essere il primo che passa documenti alla stampa.
Nel tempo “ho maturato la convinzione che è facile manipolare la persona che ha un potere decisionale così enorme”, ha detto Paolo Gabriele nell’interrogatorio di oggi riferendosi al Papa. “A volte – ha aggiunto -, quando sedevamo a tavola, il Papa faceva domande su cose di cui doveva essere informato”. “Non ho avuto complici, nel modo più assoluto”, ha affermato l’ex maggiordomo papale. Gabriele ha ribadito di aver agito da solo nel fotocopiare documenti che si trovavano nella segreteria particolare di Benedetto XVI.
Ma il processo sui “Corvi” del Papa e sulle figure che girano intorno al Santo Padre richiano di scatenare polemiche per ben altri motivi. Secondo le accuse rivolte oggi durante l’udienza da Paolo Gabriele, infatti, in Vaticano non sono ancora arrivati gli standard internazionali sulla detenzione. E la gente nelle celle avticane viene rinchiusa se non come succedeva all’epoca di San Pietro, poco ci manca.
In seguito alle affermazioni del difensore Cristiana Arru nel processo a carico di Paolo Gabriele e su invito del presidente del collegio giudicante Giuseppe Dalla Torre, il promotore di giustizia vaticano Nicola Picardi ha aperto un fascicolo per accertare se ci siano stati eventuali abusi nella detenzione dell’imputato. Gabriele ha riferito di essere stato rinchiuso, nel primo periodo dopo l’arresto del 23 maggio scorso, in una minuscola cella “in cui non potevo neanche allargare le braccia”. L’avvocato Arru ha sottolineato che la permanenza in quella cella è durata “una ventina di giorni”: “forse neanche”, ha replicato il promotore di giustizia Nicola Picardi, spiegando che lui provvedette a far organizzare un’altra cella “più ampia”.
Gabriele, sempre su domanda del suo legale, ha anche sottolineato di essere rimasto per i primi 15-20 giorni di detenzione con la luce accesa 24 ore su 24. “Non c’era interruttore – ha spiegato -. La luce era accesa 24 ore e questo mi ha anche causato un abbassamento della vista”. All’imputato è stato anche chiesto se avesse subito pressioni. “La prima notte sì – ha risposto -, mi è stato anche negato il cuscino”. Il presidente del collegio giudicante Giuseppe Dalla Torre ha quindi indicato all’avvocato difensore di “presentare una denuncia a parte” su queste vicende e ha invitato il promotore di giustizia Picardi ad aprire un fascicolo per accertare se ci siano stati “abusi” nella detenzione di Gabriele, invito subito raccolto dal rappresentante dell’accusa.
La Gendarmeria Vaticana ha cercato di difendersi, sostenendo che sono state prese tutte le precauzioni necessarie per evitare atti di autolesionismo. A Paolo Gabriele “per motivi di legame preesistente” con la Gendarmeria, “sono state concesse una serie di particolari attenzioni per far sì che potesse trascorrere il periodo” di detenzione “nella maniera più serena possibile”, specifica un comunicato della Gendarmeria vaticana dopo l’apertura del fascicolo sugli abusi relativi alla detenzione di Gabriele.
“Circa l’asserita presenza di luce nelle ventiquattro ore – spiega la nota -, si rappresenta che la stessa è rimasta accesa per evitare eventuali atti autolesionistici dell’imputato e per esigenze di sicurezza. Lo stesso detenuto, nei giorni a venire, ha chiesto che la medesima luce rimanesse accesa durante la notte perché la riteneva di compagnia. Del resto allo stesso, sin dall’inizio è stata fornita anche una mascherina notturna che gli consentisse il più completo oscuramento”. “Senza mai essere disturbato – aggiunge il comunicato – veniva infine discretamente controllato nel corso delle ore notturne e per qualunque necessità poteva contare sull’immediata assistenza essendo la cella provvista di idoneo citofono collegato con la Sala Operativa. I suoi principali diritti, anche riguardo l’intimità, non sono mai stati violati”. La Gendarmeria fa inoltre sapere che nel caso le accuse mosse “dovessero risultare infondate egli potrebbe essere passibile di una controdenuncia”.
“Le dichiarazioni di Paolo Gabriele sulla sua condizione di detenzione sono sorprendenti. L’ impedimento del sonno causato dalla luce tenuta accesa 24 ore su 24 è considerato da tutti gli organismi internazionali una classica pratica di tortura, così come l’isolamento prolungato del detenuto”. A sottolinearlo è Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si batte per i diritti nelle carceri. “Esistono poi – aggiunge – degli standard per i luoghi di detenzione, fissati dalla commissione europea per la prevenzione della tortura sotto ai quali scatta la condanna della Corte europea dei diritti umani: 4 metri quadri per ogni detenuto in cella multipla e 7 in cella singola”. “In ogni caso la reclusione in uno spazio angusto, sotto i tre metri quadrati – dice ancora Gonnella – secondo la giurisprudenza consolidata della corte dei diritti umani è considerata tortura a tutti gli effetti”. “Se fosse accertato ciò che Gabriele ha dichiarato, anche riguardo al suo isolamento prolungato nel tempo – conclude – è sperabile che lo Stato del Vaticano si adegui ai trattati internazionali al più presto”.