Riparte il processo alla commissione Grandi rischi

Con una lunga requisitoria del pm, ricomincia il processo ai sette componenti della commissione: hanno condotto un'analisi del rischio carente, inidonea e approssimativa.

Riparte il processo alla commissione Grandi rischi
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25 Settembre 2012 - 09.35


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di Sarah Porfirio

Si riaccendono i riflettori sul processo ai sette componenti della commissione Grandi rischi dopo la pausa estiva. «Non un processo alla scienza, a Galileo Galilei – come ribadisce il Pubblico ministero Fabio Picuti che ha ricordato come molte volte la chiave di lettura fosse stata fornita da Alfredo Rossini, il Procuratore capo della Repubblica scomparso a fine agosto –, ma un procedimento a carico di 7 funzionari dello Stato che hanno violato lo statuto normativo che disciplinava la loro attività».

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Una requisitoria fiume che tocca tutti i capitoli aperti nel corso del dibattimento, iniziato un anno fa, il 20 settembre, e che cerca di dare una risposta a tutti gli argomenti evidenziati dagli imputati e dai loro difensori. Una discussione durata poco meno di 9 ore, accompagnata anche da una corposa requisitoria scritta di oltre 500 pagine, che si snoda tra la condotta degli imputati, gli indicatori di rischio, le dichiarazioni rese, sino alle concause, mettendo in evidenza tutte gli omissis che gravano sui membri dell’organo consultivo della Presidenza del Consiglio dei ministri.

«Gli imputati quando sono venuti a L’Aquila hanno condotto un’analisi del rischio carente, inidonea e approssimativa [/b]perché leggendo il verbale della riunione ci troviamo difronte ad affermazioni scientificamente inutili, erronee e colposamente ingannevoli».

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Picuti argomenta sottolineando che «dalla commissione non ci si aspettavano predizioni. Avrebbero dovuto fare quello che dice la norma, fare attività di previsione e prevenzione del rischio, ovvero un’attenta disanima delle criticità come affermò l’allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso nel fax di convocazione. I sismologi avrebbero dovuto sottoporre all’attenzione di coloro esperti in Protezione civile i dati sulla storia sismica dell’Aquila che si compone di 3 terremoti distruttivi: quelli del 1349, del 1461 e del 1703, due dei quali accompagnati da scosse premonitrici. Avrebbero dovuto dire ciò al professore De Bernardinis che nella considerazione delle problematiche di Pc avrebbe dovuto tener conto di questa storicità».

Un’analisi del rischio carente secondo il Pm perché i 7 imputati non condividono tra loro le proprie conoscenze. Per esempio, il 31 marzo del 2009 il professore Enzo Boschi si dimentica dell’articolo, di sua paternità, pubblicato nell’ottobre del 1995 su una rivista scientifica americana in cui sono riportate delle tabelle riguardanti la zona aquilana. «Nella tabella numero 4 – spiega Picuti – nel quinquennio seguente la pubblicazione, la probabilità che nell’aquilano si verifichi una scossa pari o superiore a 5.9 è a 1, praticamente certo. Ma oltre alla previsione a breve termine, è presente una previsione a medio termine, a 20 anni: tra il 1995 e il 2015. Quale è l’occorrenza? 1, cioè che il terremoto è sicuro che si verifichi».

«È un peccato che il capo dei sismologi d’Italia non abbia informato gli altri componenti di queste tabelle. Per questo l’informazione che Boschi ha fornito è incompleta, carente e ingannevole. A L’Aquila il terremoto si è verificato nel 2009, nel pieno del ventennio in cui era data in maniera deterministica la scossa. Questo studio non è stato divulgato in sede di commissione, se fosse stato diffuso, forse anche sola una delle vittime si sarebbe salvata perché se avessero saputo che il maggiore scienziato italiano ha previsto un terremoto di magnitudo 5.9 entro il 2015, molte persone sarebbero uscite».

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Nell’affresco della condotta degli imputati che Picuti rende secondo la trascrizione di Lorella Salvatori, l’addetta all’ufficio gestione emergenze della Pc che ha redatto la bozza del verbale della riunione, «Boschi ha affermato che ‘il periodo di ritorno dei forti terremoti in Abruzzo è di 2 – 3 mila anni’. Poi ha aggiunto: ‘È improbabile che ci sia una scossa come nel 1703 ma non la escludo’. A chi devo credere? Alla testimone della difesa o a Boschi che ci dice in quell’articolo del 1995 che il periodo di ritorno di forti terremoti nell’aquilano è di 300 anni? Continuo a non sapere quale è la posizione del più importante scienziato italiano sui terremoti. Boschi poi afferma ‘escluderei che lo sciame sismico sia preliminare ad un evento’, nessuno si è alzato per dire che non era d’accordo».

Eppure il legislatore quando nomina i componenti della commissione Grandi rischi incarica le migliori professionalità capaci di analizzare gli indicatori di rischio al fine di prevenire e mitigare i danni che possono prevenire dal rischio stesso, non profetizzare la calamità naturale.

Un altro esempio di informazione contraddittoria fornita dal Pm è dato dalla frase ‘c’è da attendersi danni alle strutture’. Picuti sottolinea la diversa interpretazione resa dalla Salvatori, che la riferisce al passato, e dall’allora vice prefetto aggiunto dell’Aquila Gianluca Braga, che la riferisce ad un possibile scenario di evento. «Nessuno chiede chiarimenti, prendono questa affermazione e la riportano così com’è». E ancora. «Eva, a L’Aquila per analizzare il rischio indotto dalla sequenza sismica afferma, secondo la bozza di verbale, ‘a me preoccupano di più quegli eventi che non hanno questi precursori’. Ma questa non è una posizione rassicurante?».

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Nell’intervista che De Bernardinis rende prima della riunione afferma che ‘ci diranno gli esperti come ci dobbiamo comportare’. Le sue parole sono il manifesto dell’esito della commissione Grandi rischi: «Non dice niente di più, di meno, o di diverso di quello che sarà detto nel corso della riunione. C’è una corrispondenza di termini. Anche il tema dello scarico di energia citato dal professor De Bernardinis è fissato con le stesse frasi durante la riunione. È riproposta dal professore Barberi in sede di commissione ed è usata non più come affermazione deterministica ma come argomento da trattare, lo pone come argomento agli esperti. Nessuno dei sismologi dice una parola e il discorso scivola sull’analisi dello sciame».

Nel collage di testimonianze tratte da un anno di dibattimento, Picuti riporta anche l’articolo di Boschi e Selvaggi pubblicato sulla rivista Progettazione sismica nel settembre 2009, «gli autori scrivono che una forte scossa si sarebbe verificata perché ‘la probabilità di terremoto magnitudo 5.5 o superiore nel territorio dell’Aquila, è una delle più alte in Italia’. Questa notizia non avrebbe potuto rivestire un certo interesse per De Bernardinis, per l’assessore Stati o per il sindaco Cialente? Non era rilevante tanto da esporla nel corso della commissione in cui bisognava esaminare il rischio? De Bernardinis è una vittima dei sismologi che non l’hanno informato».

E ancora, il rapporto Barberi, lo studio condotto con Eva e Dolce dove si afferma che oltre la metà degli edifici in muratura della città avevano elementi di criticità medio alta. «Se qualcuno avesse detto questo al sindaco e gli avesse anche detto dell’imminente arrivo di un sisma 5.9, cosa avrebbe fatto? Le vittime di questo processo sono 36, 5 i feriti, tutti verificatisi in edifici in muratura o in cemento armato costruiti prima del 1974 gli stessi che nello studio Barberi sono indicati come i più deboli perché non seguono la normativa sismica, non ancora vigente al tempo della loro edificazione. Gli imputati nel 2009 sono a conoscenza che tutti gli edifici dell’Aquila hanno una vulnerabilità altissima ma lo tengono nel cassetto, non ne fanno menzione. Barberi se ne lava le mani come se non fosse più sua competenza».

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Per ciò che concerne l’obbligo di informazione alla popolazione, citato nel capo d’imputazione come non adempiuto, non spettava secondo legislatore ai 7 imputati ma al dipartimento di Pc. «In questo caso è stato assunto alla commissione Gr, è un onere delegato dalla Pc nella persona di Bertolaso. La commissione in più era aperta, anomala come dice Boschi. L’onere informativo viene assunto dalla commissione nel momento in cui i due dirigenti ammettono la presenta di un folto pubblico solo parzialmente identificato. Tutti gli argomenti trattati in sede di discussione vengono resi pubblici senza alcun genere di filtro. È una scelta comunicativa ulteriormente rafforzata dall’ultima frase riportata nella bozza di verbale prodotta dalla Salvatori. La Stati conclude alzandosi in piedi e dice ‘grazie a tutti voi per queste vostre affermazioni che mi consentono di rassicurare la popolazione attraverso i media che incontreremo nel corso della conferenza stampa’. Non solo nessuno dice niente, ma oltre alla Stati e a Cialente, ad incontrare la stampa ci sono anche Barberi e De Bernardinis, i membri più importanti della commissione».

Picuti affronta e argomenta anche i 4 interrogativi che potrebbero far cadere il castello accusatorio, espressi da Barberi e Boschi oltre che dai difensori degli imputati. Il fatto che quella che si riunì a L’Aquila il 31 marzo 2009 fosse veramente la commissione grandi rischi; la validità del Verbale, fornito da Bertolaso in persona; la modalità di convocazione; e il numero dei partecipanti. Tutti chiariti dalle disposizioni del legislatore nella costituzione, nel 1992, con il decreto 225.

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