Fu licenziato per ritorsione: il giudice del lavoro ordina il reintegro
Top

Fu licenziato per ritorsione: il giudice del lavoro ordina il reintegro

La sentenza del giudice del lavoro di Bologna dà ragione a uno storico collaboratore di un quotidiano locale

Giornalismo, immagine d'archivio
Giornalismo, immagine d'archivio
Preroll

globalist Modifica articolo

11 Giugno 2016 - 11.54


ATF

di Valeria Tancredi

Il licenziamento è stato ritenuto ritorsivo e il giudice ha per questo disposto la reintegra di un giornalista bolognese che aveva fatto causa alla testata con cui collaborava da anni per vedere riconosciuti i propri diritti. La sentenza con cui il giudice Filippo Palladino del Tribunale di Bologna sezione lavoro ha decretato la reintegra e l’assunzione ex art. 2 del contratto nazionale di uno storico collaboratore di un quotidiano locale è un’ottima notizia per i tanti giornalisti non inquadrati correttamente (e retribuiti ancor peggio) sparsi per la Penisola. Il caso del giornalista di Bologna ricalca infatti la via crucis sopportata dalla stragrande maggioranza dei collaboratori esterni alle testate, quelli cioè non coperti dal contratto nazionale e privi di qualsiasi tutela.

Dopo anni di ininterrotta attività come collaboratore esterno e come responsabile unico di un settore specifico, A.G. ha chiesto ai suoi superiori l’assunzione con una lettera inoltrata dall’avvocato fiduciario dell’Aser Alberto Piccinini. Per tutta risposta gli è arrivato immediato il benservito a cui è seguita la causa per chiedere il riconoscimento del lavoro subordinato e la reintegra.

Leggi anche:  1924: l’anno della repressione fascista e della modernizzazione autoritaria dei media

La legge Fornero entrata in vigore nel 2012 limita i casi di reintegra, anche nei casi di licenziamento illegittimo, a poche fattispecie tra cui il licenziamento ritorsivo, discriminatorio o per insussistenza dei fatti posti a fondamento del licenziamento. La convinzione del giudice in merito alla strumentalità del licenziamento è maturata dall’ascolto come teste del caporedattore che aveva ammesso di aver ritenuto la lettera con cui A.G. chiedeva l’assunzione lesiva del rapporto fiduciario. Per il giudice Palladino però chiedere che i propri diritti siano riconosciuti e rispettati non costituisce una legittima ragione per risolvere il rapporto e ha quindi condannato l’editore alla riassunzione del giornalista. L’istruttoria aveva precedentemente chiarito che il giornalista svolgeva la sua attività in modo continuativo in una specifica area dell’informazione e, scrive il giudice nel provvedimento, “la subordinazione non è esclusa dal fatto che il prestatore goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario predeterminato od alla quotidiana permanenza sul luogo di lavoro , non essendo neppure incompatibile col suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni ed essendo invece determinante che il giornalista si sia tenuto stabilmente a disposizione dell’editore”.

Leggi anche:  1924: l’anno della repressione fascista e della modernizzazione autoritaria dei media

La sentenza ha il suo rilievo perché riconosce la peculiarità del rapporto di lavoro giornalistico che si esprime anche con una diversa coniugazione degli elementi che caratterizzano il rapporto di lavoro subordinato. In altre parole, il giudice ha valorizzato l’elemento della piena disponibilità del lavoratore alle esigenze giornalistiche della testata.

Native

Articoli correlati