Fondi e Multinazionali: il grande affare degli ospedali veterinari in Italia

Dal 2019 la cura degli animali di affezione è cambiata. Sono scesi in campo network che acquisiscono cliniche e ambulatori, manager finanziari come i Montezemolo o Passera. Un business da 6,8 miliardi l'anno.

Fondi e Multinazionali: il grande affare degli ospedali veterinari in Italia
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Daniela Amenta Modifica articolo

9 Dicembre 2024 - 19.42


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Le cifre sono da capogiro e il mercato in costante espansione. Si chiama Pet Economy e l’anno scorso, secondo il centro studi della Coop, valeva circa 6,8 miliardi di euro all’anno suddivisi tra cibo (4,3 miliardi di euro), visite veterinarie (1,3 miliardi) e altre spese (1,1 miliardi). D’altra parte, si stima che il 53% degli italiani tra i 18 e i 65 anni abbia un animale domestico in casa. Il che vuol dire che convivono con noi oltre 60 milioni di pets, la cui vita media è molto più breve della nostra, creature d’affezione che spesso con l’avanzare dell’età vanno incontro a una serie di patologie. Quando il veterinario di quartiere non basta più, quando ci si trova a far fronte a un’emergenza magari notturna, quando servono specialisti o indagini diagnostiche approfondite, quando è necessario un intervento “importante” si ricorre alle cliniche veterinarie, veri e propri ospedali privati aperti h24 con tanto di Pronto Soccorso e reparti dedicati. Offrono servizi d’eccellenza, va detto, anche grazie a macchinari all’avanguardia e centinaia di ottimi professionisti arruolati. Ma le migliorie ricadono sul cliente finale tanto che i costi delle prestazioni sono spesso altissimi, da libero mercato. Dunque, riservati a una clientela benestante o disposta a tutto pur di salvare il proprio pet. Talvolta sono le stesse cliniche a offrire convenzioni con finanziarie che erogano prestiti a tassi non sempre abbordabili. 

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Dietro queste strutture, ieri nate come cooperative o società di veterinari, oggi ci sono fondi e multinazionali che acquisiscono strutture e clienti in un sol colpo. La data cruciale per il mercato veterinario del nostro Paese è il 2019 quando iniziano a moltiplicarsi i network specializzati.   Non è un caso visto il giro di affari: secondo l’Ansa la spesa per la cura dei propri animali domestici in Europa è cresciuta del 28%, arrivando a toccare quota 203 miliardi solo nel 2023. 

Andiamoli a vedere da vicino i gruppi che si muovono dietro le strutture veterinarie del nostro Paese. 

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ANIMALIA

Nasce nel 2019 dall’idea dai giovani manager Giorgio Romani e Antonino Santalucia che aprono a Lissone la prima clinica veterinaria. L’obiettivo è quello integrare in un unico gruppo varie strutture supportate da una struttura centrale che si occupa di tutte le mansioni e dei servizi complementari all’attività clinica: gestione amministrativa e finanziaria, risorse umane, contabilità, marketing. Conta 50 ambulatori e centri diagnostici di medie proporzioni in 12 regioni (nord e Centro Italia, per lo più) per un totale di 750 veterinari. Nel 2023 ha servito 180 milioni di clienti. Come scrive il Sole 24 ore “la catena è arrivata a circa 70 milioni di fatturato nel 2023 e punta a chiudere l’anno in corso a quota 100 milioni”. Riporta Starmag: “Molti i soci dietro l’operazione, tutti con azioni in Illimity Bank, il gruppo bancario fondato e guidato da Corrado Passera”. A luglio Charme Capital Partners SGR, società di investimenti fondata nel 2003 da Luca e Matteo Cordero di Montezemolo, ha annunciato l’ingresso in Animalia con una partecipazione di controllo del 56%.

ANICURA

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Il gruppo nasce nel 2011 in Svezia, con l’acquisizione di due cliniche a Stoccolma. Il percorso di crescita si è sviluppato rapidamente, supportato dal fondo di private equity svedese, Nordic Capital, che ha finanziato la prima parte della crescita. L’anno dopo Anicura sbarca in Norvegia e poi in Danimarca. Nel 2015 entra in Europa centrale, Germania, Austria e Olanda, per poi raggiungere Francia e Spagna. Nel 2018 arriva in Italia. La prima acquisizione è la Clinica Veterinaria San Siro a Milano. Oggi conta a livello mondiale 70mila associati e solo in Italia una 35 strutture tra ospedali e centri specialistici (come l’Oncologico veterinario nel bolognese). Nel 2018 Nordic ha ceduto la proprietà a Mars Petcare, gigante americano noto per le famose barrette di cioccolato, ma che svolge un ruolo cruciale nell’ambito dell’economia legata agli animali d’affezione. Oltre alle cliniche europee Anicura, possiede infatti il parallelo comparto inglese Linnaeus, produce una serie di famosissimi marchi di cibo (Whiskas, Cesar, Sheba, Iams, Royal Canine) e ha creato in Gran Bretagna il Waltham Petcare Science Institute specializzato in ricerche veterinarie su cure e nutrizione. General Manager della holding per il nostro Paese è Nicoleta Eftimiu che arriva dai vertici di Coca Cola. 

BLUVET

Il network nasce nel 2019 per volontà di Guido Massera, Cecilia Accampi, Roberto Del Maso e Rocco Oppedisano, tutti manager tranne Del Maso, unico veterinario e coordinatore scientifico del gruppo con una lunga esperienza in campo farmaceutico all’interno di Boehringer Ingelheim Animal Health. Espansione veloce con l’acquisizione di 25 strutture tra cliniche, ambulatori e centri diagnostici. Il “colpo” più prestigioso è stato l’inserimento nella holding del Policlinico Gregorio VII di Roma, che per anni è stato punto di riferimento veterinario nel Centro Sud e che da poche settimane ha lasciato la storica ma angusta sede di Piazza Carpegna per trasferirsi in un intero stabile in via della Vignaccia. Qui arriveranno per la pratica medica anche gli studenti del neonato corso di laurea in veterinaria dell’università romana di Tor Vergata che ha siglato un accordo proprio con BluVet. Nel 2021 la società è stata acquistata dal fondo lussemburghese di permanent capital NB Aurora (4,9 milioni di euro) e da F&P4BIZ (2,1 milioni euro) che fa capo a Guglielmo Fiocchi e Maurizio Perroni. Un aumento di capitale importante che dimostra la volontà di espandersi ancora. 

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CA’ ZAMPA

Fondato nel 2018 da Corrado Passera, ex ministro dello Sviluppo economico, nonché manager di Poste Italiane e Intesa Sanpaolo, e dalla moglie Giovanna Salza, il network vanta venti strutture tra ambulatori e cliniche sparsi in Italia. Come scrive Affari Italiani: “Ca’ Zampa ha chiuso il bilancio 2022 con un rosso di 4,8 milioni di euro rispetto a quello di 3 milioni del precedente esercizio e l’assemblea dei soci ha deciso di rinviare a nuovo il passivo portando così il disavanzo cumulato e non ripianato a circa 8 milioni, a fronte di un patrimonio netto di 11 milioni. Il 2022, tuttavia, è stato un buon anno sul fronte dei ricavi che hanno raggiunto i 3,7 milioni rispetto agli 1,9 milioni del precedente esercizio”. 

VETPARTNERS

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Anche VetPartners Italia nasce nel 2019, costola nostrana di VetPartners LTD, con sede in Gran Bretagna, che vanta oggi più di 800 strutture veterinarie e oltre 11.000 professionisti tra Italia, Regno Unito, Irlanda, Francia, Spagna, Portogallo, Svizzera, Olanda e Germania. A fondarla nel 2015 Jo Malone, veterinaria inglese. La holding conta 37 centri nel nostro Paese, tra cui la Clinica romana Croce Azzurra, la Clinica veterinaria Colombo a Camaiore, la Clinica veterinaria Europa di Firenze, l’OspedaleSanta Lucia di Verona. A guidare il network italiano, a livello centrale, è un altro veterinario: David F. Giraldi. L’intera holding è supportata da un importante fondo di investimento internazionale, BC Partners, che gestisce un patrimonio di 17 miliardi di euro in tutto il mondo. VetPartners si è classificata al 20° posto nella classifica del Sunday Times “Virgin Atlantic Fast Track 100” delle società britanniche private con i tassi di crescita più elevati, pari all’87%, raggiungendo i 349 milioni di sterline a giugno di quest’anno. Ma non tutto funziona come dovrebbe. In Gran Bretagna sotto il fuoco incrociato di critiche è Valley Vets, di proprietà di VetPartners, “il network fondato da veterinari per veterinari”, come recita il claim. Lo stesso Ordine dei veterinari inglesi, la BVU, sostiene che le tariffe di Valley Vets in soli due anni sono cresciute del 25% e sul caso sta indagando la Competition and Markets Authority. Come riportano sia Novara Media che il Guardian: “In pratica le prestazioni offerte costano più della copertura assicurativa, tanto che molti proprietari si trovano costretti a sopprimere animali con buone possibilità di guarigione perché non possono permettersi di curarli. Non solo: gli stipendi ricevuti dal personale sono quasi da fame, e nonostante gli introiti del network l’aumento del salario proposto ai lavoratori è stato solo dell’1% a fronte di una mole di lavoro impressionante: un paziente ogni 15/20 minuti. Lo scorso mese di luglio veterinari, tecnici di laboratorio e personale amministrativo hanno scioperato per due settimane. La segretaria generale di Unite Sharon Graham ha detto: “È disgustoso che lo staff di Valley Vets si stia indebitando e utilizzi le mense dei poveri per sopravvivere quando i profitti sono astronomici. Questa è pura avidità aziendale da parte di una società che è già sotto inchiesta per speculazione su larga scala”.

La deregulation sta quindi erodendo il modello di piccola impresa, consentendo alle aziende di fagocitare silenziosamente le cliniche. In Gran Bretagna nel 2013, solo il 10% degli studi veterinari era di proprietà delle “big six” : Pets at Home, CVS Group, IVC, Linnaeus, VetPartners e Medivet. Oggi siamo al 60%. Succederà anche in Italia?

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