Un'atea non può parlare in chiesa: la notizia che non c'è
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Un'atea non può parlare in chiesa: la notizia che non c'è

Emma Bonino non ha potuto commemorare Mariangela Melato durante il funerale religioso. Dov'è lo scandalo? Semmai, per una volta, dovremmo parlare di coerenza.

Un'atea non può parlare in chiesa: la notizia che non c'è
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15 Gennaio 2013 - 09.45


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Il fatto è noto: alle esequie di Mariangela Melato non è stato concesso alla di lei amica Emma Bonino di fare il discorso commemorativo. «Questioni burocratiche», s’è giustificato il responsabile della chiesa degli Artisti. Come se anche in quel momento si potesse star dietro e, soprattutto, capire i cavilli della burocrazia. Che già è difficile intendere quella ordinaria dello Stato, figurarsi quella leguleia e sempre zeppa di contorcimenti e frasi mezze fatte e mezze sfatte che esce dagli uffici, di solito sacri, che stanno al di là del Tevere. Bene.
Dov’è lo scandalo?

A qualche malizioso è venuto il dubbio che il divieto sia stato posto per via della speaker: la radicale Emma Bonino. Perché questa, e non solo a titolo personale, con il Vaticano ha aperto ben più di un contenzioso e si definisce rigorosamente laica. Chissà che mai avrebbe potuto dire in quel contesto siffatta laicista, come sempre più spesso vengono definiti dalle gerarchie vaticane coloro che hanno deciso di non voler credere nel trascendente.
Quindi meglio vietare ed impedire la parola. Ancora: dov’è lo scandalo?

Vien da dire che quasi ogni attore di questa rappresentazione abbia adempiuto, con coscienza e coerenza, alla sua parte. Uno vieta e l’altro si scandalizza.
Non stupisce che la gerarchia sia poco tollerante e un tantino dogmatica, che spruzzi ogni suo fare e dire dell’acre polverina dell’integralismo e che si lanci sempre in battaglie di retroguardia o addirittura di oscurantismo. Sempre disposta a giustificare e a chiudere gli occhi sui propri falli.
Fa il suo mestiere. Nulla di più e nulla di meno. Perché scandalizzarsi della norma?
Specialmente quando riesce, e a ben vedere non importa come, ad ottenere il consenso.

Stupisce piuttosto quell’aria di ingenua sorpresa. Se ci fossero tolleranza, disponibilità e voglia di guardare in faccia la realtà senza gli occhiali della ideologia posta a difesa dei propri tornaconto e dei privilegi, con grande probabilità non si tratterebbe di una Chiesa ma solo, e magari più nobilmente, di una religione.
O forse ancora meglio di religiosità. Poiché questa, di norma, non ha bisogno di sovrastrutture burocratiche e come soprammercato non è appannaggio esclusivo dei credenti nell’ultra terreno ma, assai spesso, ha l’ardire di lambire o addirittura di insinuarsi anche nell’animo di chi crede che prima dell’aldilà sia meglio arredare, pure se con modestia, l’aldiqua.

Il sentimento della sorpresa sarebbe meglio impegnarlo per quelli che, (auto)definiti laici, della laicità dimenticano il senso e le conseguenti implicazioni etiche e morali che poi portano ai comportamenti. E soprattutto la sua scomodità. Perché contrariamente a quel che con superficialità si pensa, gestirla, la laicità, è tutt’altro che confortevole. Il rigore è gravoso. Come il rinunciare al privilegio, che per definizione non è laico o portare rispetto e comprensione delle ragioni altrui.

Il che non significa omettere la denuncia per i malfatti che devono, laicamente, sempre essere resi noti. Ma se accanto a questi si potessero citare dei benfatti di robusta fattura ce ne sarebbe di vantaggio. E magari di sana pulita credibilità.

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