Liliana, testimone della nostra storia
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Liliana, testimone della nostra storia

Video-intervista a Liliana Segre, deportata a Auschwitz: voglio raccontare le donne prigioniere, la mia memoria contro le manipolazioni della storia.

Liliana, testimone della nostra storia
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15 Gennaio 2012 - 16.01


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di Maria Teresa Manuelli

“Voglio raccontare delle donne prigioniere, cui si cercava di togliere la dignità non solo come persona in generale, ma anche come persona di genere femminile”.

Così inizia la sua intervista Liliana Segre, nata a Milano nel 1930, figlia di Alberto e Lucia Foligno. Fu arrestata a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese, l’8 dicembre del 1943 da finanzieri italiani. Detenuta prima nel carcere di Varese, poi in quelli di Como e di Milano, venne deportata da Milano il 30 gennaio 1944 ad Auschwitz. Trasferita in un altro lager, dinanzi all’avanzata russa, fu liberata nei pressi della città tedesca di Lüneburg il 1° maggio del 1945. La sua matricola: 75190.

L’ho incontrata a Milano, insieme agli due testimoni, alla presentazione del libro di Stefania Consenti Il futuro della memoria. Conversazioni con Nedo Fiano, Liliana Segre e Piero Terracina, testimoni della Shoah (Paoline), dove ci ha narrato la sua vicenda terribile e disumana: cosa significava essere donna in un campo di concentramento.

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Per lungo tempo, oltre 45 anni, non è riuscita a parlare della sua esperienza di sopravvissuta. Si proibiva i ricordi, perché “non si può ricordare e sopravvivere senza impazzire”. Ha iniziato a testimoniare solo vent’anni fa, negli anni Novanta, quando ha compiuto sessant’anni ed è diventata nonna. Oggi va dapperttutto per parlare con i ragazzi, tanti ragazzi, disposti ad ascoltare l’orrore. Per non dimenticare, per non perdere la memoria.

“Non ho un lungo futuro davanti – ci dice – e siccome è la mia missione cerco di portarla avanti come meglio posso. Almeno uno su mille si ricorderà di quello che ho detto”.

Per questa sua ‘missione’ lo scorso anno ha ricevuto a Verona la laurea honoris causa in scienze pedagogiche. “E’ stato il fatto di diventare nonna che mi ha ulteriormente spinto a parlare a tutti quelli che volevano ascoltarmi”. Lei che nonna non pensava di diventarlo mai, non solo durante i mesi terribili della prigionia, ma anche dopo, quando temeva che il suo fisico duramente provato non fosse più in grado di farla diventare madre, oggi si sente “nonna di tutti”. E a tutti parla, tutto l’anno, anche se gli anni, ormai 81 per lei, rendono sempre più faticoso muoversi e ricordare. Ma non riescono a fermare la sua missione e quella degli altri testimoni.

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“Quando noi non ci saremo più, il pericolo che la storia venga cambiata, manipolata, c’è, nei prossimi decenni. Quando noi non ci saremo più a mettere un po’ in ordine le cose, si potranno dire, sostenere fatti e dare numeri travisando in buona fede o non, magari di poco o pochissimo, tanto che man mano arriveremo a una sola riga sulla Shoah nei libri di storia”.

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