Caso Regeni: il coraggio di Elly Schlein e i baciapantofole di Roma (non solo a destra)
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Caso Regeni: il coraggio di Elly Schlein e i baciapantofole di Roma (non solo a destra)

Benvenuta Elly. Benvenuta tra le tante e i tanti che in questi sette e più anni, non hanno mai smesso di battersi perché sia fatta verità e giustizia sull’assassinio di Giulio Regeni.

Caso Regeni: il coraggio di Elly Schlein e i baciapantofole di Roma (non solo a destra)
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

7 Maggio 2023 - 19.17


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Benvenuta Elly. Benvenuta tra le tante e i tanti che in questi sette e più anni, non hanno mai smesso di battersi perché sia fatta verità e giustizia sull’assassinio di Giulio Regeni. Un “assassinio di Stato” perpetrato all’ombra delle Piramidi. Benvenuta tra quanti non hanno mai smesso di denunciare la connivenza dei governanti italiani che nel corso di questi sette anni si sono prostrati davanti al presidente-generale d’Egitto: Abdel Fattah al-Sisi. 

Benvenuta Elly

Benvenuta in quel mondo solidale che non smette di battersi contro quella “diplomazia degli affari” che fa spregio della diplomazia dei diritti. 

“Penso che l’Italia non possa considerare la mancata collaborazione dell’Egitto sull’omicidio di Giulio Regeni  come un prezzo da pagare sull’altare degli interessi economici”. La segretaria del Pd di Elly Schlein da Treviso risponde all’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, che ieri dal palco della convention di Forza Italia a Milano ha detto: “L’Egitto ci ha aiutato rinunciando ai suoi carichi quest’estate per mandarli in Italia per riempire gli stoccaggi. Questi sono Paesi che se dai ricevi”.

Oggi la segretaria dem chiede “se tra le cose da dare per ricevere è considerata anche l’impunità dei torturatori e degli assassini di Giulio Regeni, un ricercatore italiano, europeo, per il quale ancora dopo anni portiamo il braccialetto al polso per chiedere verità a giustizia. O la liberazione di Patrick Zaki – commenta a margine di un incontro elettorale a Treviso – Penso che l’Italia non possa considerare la verità e la giustizia sull’omicidio e le torture di Giulio Regeni e la mancata collaborazione dell’Egitto, un prezzo da pagare sull’altare degli interessi economici. Chiedo al Governo se questa è la strada che intende intraprende come strategia energetica per il futuro dell’Italia, continua Schlein citando poi tra i punti di crisi con la diplomazia del Cairo, oltre a Regeni, “la liberazione di Patrick Zaki, o i diritti calpestati delle donne e degli uomini egiziani incarcerati per il legittimo dissenso”. La segretaria del Pd si è detta convinta che “passare dalla dipendenza dalle fonti fossili di Putin e della Russia, alla dipendenza dalle fonti fossili di altri regimi, non sia la soluzione per questo Paese, che invece ha un grandissimo potenziale non sfruttato sull’energia pulita e rinnovabile, democratica”.

Ieri Descalzi, intervenendo alla convention di Forza Italia, ha spiegato che la rapidità con cui l’Italia è riuscita a sopperire al taglio delle forniture del gas russo è legata alle “radici profonde” che il nostro Paese e l’Eni hanno costruito in Paesi come l’Egitto, l’Angola, l’Algeria, il Congo, il Mozambico. “Investire nel tempo, rispettare gli altri, prendere dei rischi con chi ha bisogno, quindi diventare credibili, è quello che ci ha dato la capacità di questa diversificazione, di questa sostituzione parziale, che sarà completa tra due anni, del gas russo”, ha detto Descalzi. “È il concetto della libertà: se rispetti, liberi te stesso ma liberi anche il tuo interlocutore”.

“Se non fai investimenti e se non prendi dei rischi, se non fai l’esplorazione, lo sviluppo, investimenti che comportano un rischio perché passa del tempo e tutto può cambiare, anche il mercato, questi Paesi non hanno gas da venderti”, ha spiegato l’ad dell’Eni sottolineando come si tratti di un “attività molto dispendiosa” e “rischiosa”: “nel nostro caso si dice a rischio minerario perché puoi non trovare nulla, nel 70% dei pozzi minerari non si trova niente”. Servono dunque “radici profonde in questi Paesi” e l’Eni è riuscita a sopperire velocemente alla carenza di gas russo perché “abbiamo continuato a investire in questi Paesi, dando circa l’80% del gas per lo sviluppo locale, per l’accesso all’energia, per elettricità, per fare sviluppo e crescita, prendendo dei rischi con loro, perché è più semplice prendere il gas ed esportarlo”, ha detto ancora Descalzi. Questo è “anche il segreto per cui siamo rimasti in Libia durante la guerra”, dove “noi produciamo gas che al 70% va al mercato locale” a differena delle altre compagnie che esportano petrolio. “Abbiamo preso dei rischi per loro, e nel momento in cui l’Europa e l’Italia hanno avuto bisogno siamo riusciti a parlare con questi Paesi per aumentare l’export verso l’Italia” anche “con un tempo di realizzazione molto veloce”.

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“Sono davvero inaccettabili le frasi di Descalzi alla convention di Forza Italia. Ringrazia l’Egitto affermando: ‘A questi paesi se dai ricevi’. A noi il governo egiziano ha dato Giulio Regeni cadavere perché assassinato – è stata la reazione a caldo del co-portavoce di Europa Verde e deputato di Verdi e Sinistra Angelo Bonelli – L’Italia cosa ha dato all’Egitto in cambio del gas? Rinunciare a perseguire gli assassini di Regeni? Poi risulta davvero sgradevole la lezioncina sulla libertà dell’amministratore delegato dell’Eni: ‘se rispetti, liberi te stesso ma liberi anche il tuo interlocutore’ Ma noi abbiamo liberato l’Egitto da cosa? Un paese che viola i diritti umani, il cui governo mette in carcere chi lo critica e assassina? Pecunia non olet, per avere il gas”, ha concluso Bonelli.

Non smettere di denunciare

Un passo, breve, indietro nel tempo. Da un servizio dell’agenzia Dire: “Il generale Tariq Sabir e i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abedal Sharif: sono questi i nomi dei quattro ufficiali dei servizi di intelligence del Cairo imputati per la morte di Giulio Regeni e chiediamo che siano scanditi, che cada l’ipocrisia che queste persone non siano informate del processo”: questo l’appello di Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione stampa italiana (Fnsi), pronunciato davanti a uno striscione bianco su cui l’artista Alekos Prete ha disegnato quattro sedie vuote con su scritto i quattro nomi, sovrastati da “La legge è uguale per tutti“. Il contesto è un’iniziativa organizzata oggi, 28 aprile, a Roma con tante altre associazioni davanti all’ambasciata d’Egitto, in via Salaria, affinché le autorità del Cairo collaborino e affinché il prossimo 31 maggio la Corte costituzionale dia l’autorizzazione a procedere in contumacia per il processo Regeni.

Da qui al 31 maggio i media diffondano ogni giorno i nomi degli imputati”.
Di Trapani ha ricordato l’importanza della “scorta mediatica” per Giulio, il ricercatore friulano trovato morto in Egitto il 3 febbraio 2016 e su cui il processo per sequestro, tortura e omicidio aperto in seguito alle indagini della Procura di Roma è in stallo a causa dell’impossibilità di ottenere gli indirizzi di domicilio dei quattro imputati. Il dubbio sul fatto che i cittadini egiziani siano a conoscenza del processo ha paralizzato il procedimento stesso. Un tassello, quello dei dati anagrafici, che secondo la famiglia Regeni sostenuta dall’avvocata Alessandra Ballerini e tante associazioni venga tenuto intenzionalmente nascosto dal governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi per proteggere i suoi 007.
“La lotta per Regeni non è solo dei giornalisti – ha aggiunto Di Trapani – ma di tutti i cittadini che chiedono giustizia. Però, come presidente del sindacato nazionale, chiedo ai giornalisti di rendere pubblici da qui al 31 maggio ogni giorno su testate, giornali online, radio e tg i nomi dei quattro imputati. È un modo per caricarci di un pezzo della battaglia della famiglia”.

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La famiglia: “L’Italia pretenda dall’Egitto gli imputati”.
In una lettera inviata al sit-in di Roma, che si è tenuto in contemporanea con un altro a Milano davanti alla sede del consolato d’Egitto, Claudio Regeni e Paola Deffendi hanno scritto: “È tempo che l’Egitto dopo innumerevoli vane promesse collabori con il nostro governo, ed è tempo che il nostro governo pretenda senza se e senza ma che i quattro imputati per il sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio compaiano alla prossima udienza il 31 maggio“.

L’udienza del 31 maggio e la legge Cartabia
Per quel giorno è atteso il parere della Corte costituzionale, a cui i giudici hanno chiesto di dare un’interpretazione della legge Cartabia sulla possibilità di procedere a giudizio in assenza degli imputati egiziani. Beppe Giulietti, ex presidente di Fnsi ed esponente di Articolo 21, in un’intervista con l’agenzia Dire sottolinea: “L’appello è alla Corte, a dare l’autorizzazione: non regge la tesi che siano irreperibili. All’ambasciata Egiziana chiediamo poi di contattare il proprio governo e convincerlo a dare questi nomi, perché sanno tutto. Al nostro governo invece chiediamo di non credere alle barzellette delle autorità egiziane. Capiamo gli interessi economici, sul petrolio e la vendita di armi, ma serve giustizia. Noi non gli daremo tregua. Siamo qui anche per gli altri Giuli e Giulie torturati e uccisi dal regime“.

Danilo De Biasio, direttore Festival dei Diritti Umani, in occasione del sit-in a Milano davanti il Consolato egiziano ha ribadito che “Noi non siamo giudici, noi facciamo i giornalisti, facciamo il Festival dei Diritti umani. Ed è per questo che è un dovere essere qui oggi, davanti al consolato egiziano per dire che i nomi dei quattro agenti che hanno torturato e ucciso Giulio Regeni devono rispondere alla giustizia italiana e non fare come ora, che fingono addirittura di non essere indagati. È una vergogna a cui bisogna mettere la parola fine”.

Chi era Giulio e come è morto

Lo ricorda, in un documentato report su Collettiva Ilaria Romeo.

“Nato a Trieste il 15 gennaio 1988 e cresciuto a Fiumicello, in provincia di Udine, Giulio aveva studiato a lungo all’estero e al momento del rapimento stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge. Il ritratto che amici e parenti hanno fatto di lui è unanime: una “bella persona”’, un giovane “determinato, ma solidale”.

Il corpo nudo e atrocemente mutilato del ragazzo viene ritrovato il 3 febbraio successivo in un fosso lungo la strada del deserto alla periferia del Cairo. Il corpo mostra segni evidenti di tortura: contusioni, abrasioni, lividi estesi compatibili con lesioni da calci, pugni, colpi di bastone. Si contano più di due dozzine di fratture ossee, tra cui sette costole rotte, tutte le dita di mani e piedi, così come entrambe le gambe, le braccia e scapole, oltre a cinque denti rotti.

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Pochi giorni dopo il ritrovamento la mamma Paola diceva: ‘L’ultima foto che abbiamo di Giulio è del 15 gennaio, il giorno del suo compleanno, quella in cui lui ha il maglione verde e la camicia rossa. Non si vede, ma davanti a lui c’è un piatto di pesce e intorno gli amici, perché Giulio amava divertirsi. Il suo era un viso sorridente, con uno sguardo aperto. È un’immagine felice”. Poi c’è un’altra immagine. Quella che “con dolore io e Claudio cerchiamo di sovrapporre a quella in cui era felice”, quella all’obitorio. “L’Egitto ci ha restituito un volto completamente diverso. Al posto di quel viso solare e aperto c’è un viso piccolo piccolo piccolo, non vi dico cosa gli hanno fatto. Su quel viso ho visto tutto il male del mondo e mi sono chiesta perché tutto il male del mondo si è riversato su di lui. All’obitorio, l’

unica cosa che ho ritrovato di quel suo viso felice è il naso. Lo ho riconosciuto soltanto dalla punta del naso’.

La ricerca di verità e giustizia

Solo il 10 dicembre 2020 la Procura della Repubblica di Roma chiuderà le indagini preliminari. Saranno rinviati a giudizio quattro ufficiali della National Security Agency, il servizio segreto interno egiziano. I reati contestati comprenderanno sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali gravissime e omicidio.

Il 14 ottobre 2021 inizia il processo. La Presidenza del Consiglio si costituisce parte civile, ma il procedimento subisce un rinvio dalla Corte d’Assise poiché gli imputati “non erano stati notificati”. Una decisione confermata nel luglio dell’anno successivo.

È “una ferita per tutti gli italiani” è il commento di mamma Paola che pochi giorni fa, in occasione del 35° “non compleanno” di Giulio pubblicava l’immagine di una torta a più strati, con in cima la scritta “Giulio 35” e subito sotto la richiesta di Giustizia e Verità. 

La torta è gialla, come lo striscione “Verità per Giulio Regeni” che dal giorno del suo ritrovamento nel febbraio del 2016 ha fatto il giro del mondo mettendo in crisi governi, relazioni internazionali, noti giornali, una importantissima università inglese. 

“In Egitto – scrivevano ormai qualche anno fa mamma Paola e papà Claudio – 3/4 persone al giorno scompaiono. Alcune vengono fatte ritrovare morte. Alcune riappaiono anche anni dopo con un arresto firmato in quel momento. Moltissimi invece non riappaiono più. Noi ci auguriamo che tutte le persone che lo hanno spiato, tradito, seguito, torturato, quelli che hanno scaricato il suo corpo, che ne hanno coperto le tracce, che hanno ucciso cinque innocenti dopo e che continuano a mentire oggi parlino. (…) si facciano vivi perché (…) abbiamo bisogno di verità!”.

Abbiamo bisogno di verità e giustizia, anche per Giulio, purtroppo non solo per Giulio”.

Un bisogno non condiviso dall’ad dell’Eni. E dai premier e ministri che continuano a baciare le pantofole di al-Sisi. E a sostenere pubblicamente, senza arrossire di vergogna, che il presidente egiziano ha garantito il suo impegno per il caso Regeni. Sì, impegno a impedire che sia fatta giustizia per Giulio. 

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