“Quello che sta avvenendo in Sudan, come nel Sahel, come in Libia, in Siria, nello Yemen, in Tunisia e l’elenco potrebbe proseguire a lungo, è l’omicidio dell’umanità. Del quale l’Occidente è parte”. Quello di Riccardo Noury, storico portavoce di Amnesty International Italia è un possente j’accuse nei confronti di quel mondo libero in fuga, dall’Afghanistan al Sudan, dalle proprie responsabilità e dai disastri che ha perpetrato.
Dalla Libia alla Tunisia, dallo Yemen alla Siria, dal Sahel al Sudan. La sponda sud del Mediterraneo, l’Africa sono marchiati da tragedie umanitarie infinite e da uno scempio continuo, immane, dei diritti umani.
E’ così. E quel che è peggio è che la situazione si aggrava di mese in mese. Ora è il Sudan che è di nuovo è tornato in crisi a venti anni esatti dall’inizio di quei crimini spaventosi in Darfur. Se ci sono cicli di violazione dei diritti umani, è evidente che non è stato spezzato quel sistema d’impunità, di violenza, di corruzione, di diffusione delle armi. Quando si dice l’Occidente ha fatto troppo, abbiamo fatto troppo, io penso che in realtà ci sia stato un far poco. Quando il Sudan ha conquistato quel breve spazio di democrazia nel 2019, quando è caduto il dittatore al-Bashir, se quattro anni dopo siamo tornati al punto di partenza se non peggio, è perché evidentemente non ce n’è fregato nulla di quello che accadeva lì, la transizione verso la democrazia, il sostegno ai movimenti democratici. Questo accade anche perché noi, dalle capitali europee, Roma inclusa, vediamo i fatti della sponda sud del Mediterraneo e dell’Africa interna ponendoci un’unica domanda…
Quale?
Quanti ne arriveranno? E se questa è l’unica domanda, la risposta non sono politiche di sostegno alla democrazia e ai diritti. Sono politiche che prendono l’uomo forte di turno e lo incaricano di darci una mano. Di volta in volta, l’uomo forte può essere il capo delle milizie libiche, un presidente tunisino che istiga con i suoi discorsi xenofobi al razzismo e fa da push factor per le partenze, un sistema, in Algeria, che è rimasto fossilizzato in una situazione in cui non c’è più Bouteflika ma c’è un post Bouteflika con i militari che hanno lo stesso potere che avevano allora, e così via. Il nostro fallimento è questo: dalle cosiddette Primavere arabe in poi, a noi è interessato unicamente capire chi aveva il potere, chiunque fosse, per chiedergli di darci una mano.
L’Occidente ha fatto poco. E ha fatto male. L’immagine che viene in mente, pensando oggi al Sudan e ieri all’Afghanistan, è quella della fuga.
Sono proprio fughe. E’ questo il termine esatto. Mentre in Afghanistan c’è stata la fuga portandosi appresso 116mila persone, in Sudan la fuga è stata fuggiamo noi e chi resta lì pazienza. Chiudono le ambasciate europee e fuggono i diplomatici, ma in quelle ambasciate chiuse sono rimasti documenti di persone che avevano bisogno di un visto. Sono rimaste le vite delle persone. Tutto questo è come se non importasse. La sicurezza è fondamentale per chi opera in Paesi dove sono in corso conflitti, questo è fuori discussione, però a me pare che nel caso del Sudan sia stato un salviamoci noi e pazienza per loro.
Oltre a questo, c’è lo scandalo rivelato da quel grande giornalista d’inchiesta che è Nello Scavo, che su Avvenire ha denunciato, documentandolo con la consueta puntigliosità e materiale documentale, il “Sudangate”: le bande armate in divisa che l’Europa paga per impedire la fuga dei migranti.
Questo è lo schema libico che si ripete, come ha rivelato Nello Scavo, in Sudan. Le politiche in tema di asilo e migrazione dell’Europa sono così intrise di cinismo che chiunque va bene. Quando invece noi avremmo dovuto proprio fare il contrario. Un certo giorno, spero non lontano, l’inchiesta della Corte penale internazionale sulla Libia arriverà alla conclusione che ci sono persone sospettate di crimini contro l’umanità che per noi sono stati dei partner affidabilissimi in questi anni. E se noi stiamo ancora a blandire gruppi, miliziani e altro, questo è stato un fallimento della giustizia. Quella del Sudan è stata una delle prime indagini, forse la prima in assoluto, aperta dalla Corte penale internazionale, che prendeva le mosse dai crimini in Darfur del 2003. E stanno ancora tutti là.
Non c’è il rischio, o forse è meglio dire la certezza, che proseguendo su questa linea, da parte dell’Occidente, i popoli di quel mondo che stiamo abbandonando nel peggiore dei modi, anche con fughe vergognose, ci presentino il conto?
Non credo che il principale interesse di quei popoli sia quello di presentare il conto a noi. Perché vorrebbe dire essere già sopra a un livello di sopravvivenza nel quale si può presentare un conto. I conti arrivano in maniera diversa. Se tu prendi la Tunisia, un piano che doverosamente deve aiutare un Paese in gravissima difficoltà economica e sociale, ma che non pone il problema di quanto il presidente di quel Paese sia responsabile, anche delle partenze che avvengono dalla Tunisia, è un piano monco. Alla fine lo schema è stato sempre quello di dare soldi qua e là, non per rafforzare la democrazia ma per rafforzare il contrasto all’immigrazione. Poi si apre tutto un altro capitolo, quello economico. A noi interessano quelle risorse che stanno lì, interessano a tutti, ormai il Sahel è diventato un luogo di conquista per vedere di controllare il sottosuolo di questi Paesi. Quello che abbiamo fatto con la Libia dopo il 2011, cosa è stato se non assicurarci le forniture di petrolio e trovare qualcuno che impedisse le partenze dei migranti. Non sono tanto le persone ma la Storia ha presentare il conto. Il conto di politiche sbagliate, di politiche ciniche, di politiche che hanno rafforzato i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e quindi l’impunità. Noi stiamo contribuendo alla completa mancanza di stabilità. E tale mancanza, a parte che è un terreno economicamente nefasto, finisce soprattutto per produrre catastrofi dal punto di vista dei diritti umani e umanitario.
Quello che sta avvenendo nel Mediterraneo, nella sponda Sud, nel Sahel non è soltanto il suicidio dell’umanitarismo ma è anche il suicidio dell’Occidente?
Io direi che è un omicidio dell’umanità. In Darfur in questi vent’anni nessuno si è suicidato ma centinaia di migliaia di esseri umani sono stati ammazzati perché ci siamo girati dall’altra parte, perché non abbiamo fatto funzionare i meccanismi della giustizia internazionale. Queste politiche basate sul contrasto, sulla chiusura, sullo sfruttamento economico, possiamo considerarle un suicidio per l’insuccesso che hanno, nostro. Ma quando poi queste politiche producono crisi dei diritti umani, quando provocano un arretramento della democrazia, quando fanno sì che le persone che nel 2019 a milioni in Sudan stavano in piazza perché era caduto il dittatore, e ora stanno fuggendo perché c’è di nuovo un conflitto tra maschi alfa per controllare potere e risorse in quel Paese, quei milioni di sudanesi noi li abbiamo traditi completamente.