Giulio Regeni, una pietra tombale sul processo: Draghi e Di Maio hanno qualcosa da dire?
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Giulio Regeni, una pietra tombale sul processo: Draghi e Di Maio hanno qualcosa da dire?

La politica italiana è in altre faccende affaccendata e poi, di fronte alla crisi del gas, tra le porte alle quali stiamo bussando c’è quella di colui che è alla guida del regine assassino, Al-Sisi

Giulio Regeni, una pietra tombale sul processo: Draghi e Di Maio hanno qualcosa da dire?
Verità per Giulio Regeni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Luglio 2022 - 16.38


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 Statene certi: non si alzerà voce,  nei palazzi della politica nostrani, per protestare contro l’ennesimo scempio di giustizia e di legalità perpetrato dall’Egitto. La politica italiana è in altre faccende affaccendata e poi, di fronte alla crisi del gas, tra le porte alle quali stiamo bussando col cappello in mano, c’è quella di colui che è saldamente alla guida di un regime di polizia a cui si deve il brutale assassinio di Giulio Regeni: il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.  Ed è gravissimo che a dare una mano agli insabbiatori egiziani siano stati stavolta giudici italiani. 

Vergogna infinita

Resta lostop al processo a carico degli 007 egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni, il ricercatore italiano scomparso e poi trovato morto nel 2016 al Cairo. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dei pubblici ministeri della Procura di Roma contro la decisione del giudice dell’udienza preliminare che l’11 aprile scorso ha disposto la sospensione del procedimento disponendo nuove ricerche degli imputati a cui notificare gli atti. . Con la decisione della Cassazione si riducono i margini, in base a quanto si apprende, di potere celebrare un processo in Italia sul caso Regeni. “Attendiamo di leggere le motivazioni ma riteniamo questa decisione una ferita di giustizia per tutti gli italiani. Abnorme è certamente tutto il male che è stato inferto e che stanno continuando a infliggere a Giulio. Come cittadini non possiamo accettare né consentire l’impunità per chi tortura e uccide”, dicono Paola e Claudio Regeni, genitori di Giulio, assistiti dall’avvocato Alessandra Ballerini.

Con l’impugnazione i pm di piazzale Clodio – guidati dall’aggiunto Sergio Colaiocco– chiedevano alla Cassazione di chiarire se risulta sufficiente, per la celebrazione del processo, il fatto che “vi è una ragionevole certezza – come scrive la corte d’Assise nel provvedimento con cui ha rinviato il procedimento all’attenzione del gup – che i quattro imputati egiziani hannoconoscenzadell’esistenza di un procedimento penale a loro carico avente ad oggetto gravi reati commessi in danno a Regeni”. La Suprema Corte ha escluso che i provvedimenti dei giudici possano essere impugnati con il ricorso per Cassazione, in quanto non abnormi.

Secondo la Procura capitolina quanto deciso dalla Corte d’Assise – che il 14 ottobre 2021 aveva bloccato il processo – è in contrasto con quanto espresso dalla Cassazione in alcune sentenze in cui si afferma che si può procedere nel processo anche se la parte ignori la data dell’udienza e il capo di imputazione, quando si è in presenza sostanzialmente di“finti inconsapevoli”.Nell’aprile scorso il giudice, alla luce della totale chiusura delle autorità egiziane nella collaborazione giudiziaria, ha affidato una nuova delega ai carabinieri del Ros per effettuare ulteriori ricerche. Nei mesi scorsi i genitori del ricercatore friulano hanno lanciato un appello via social per chiedere una mobilitazione al fine di individuare gli indirizzi dei quattro aguzzini. Un post su Facebook, pubblicato in tre lingue (italiano, inglese ed arabo), in cui sono state inserite anche le foto di tre imputati individuate dal Ros su fonti aperte.

Le persone per cui la procura di Roma aveva chiesto il rinvio a giudizio sono il generale Sabir Tareq, i colonnelli Usham Helmy e Ather Kamal e il maggiore Magdi Sharif, accusati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

Durissimo il commento di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: “Si è consentito a un governo, quello egiziano, che mai ha voluto collaborare alla ricerca della verità per Giulio Regeni, di sfruttare cinicamente le garanzie della procedura italiana per cercare ancora una volta di ottenere l’impunità per i suoi funzionari”.

Il torturatore promosso

La notizia è di qualche mese fa. Il colonnello Uhsam Helmi, uno dei quattro 007 egiziani imputati a Roma nel procedimento per il sequestro e l’uccisione di Giulio Regeni, potrebbe “essere stato promosso al grado di Generale di Brigata”. E’ quanto emerge dall’informativa dei carabinieri del Ros acquisita agli atti nel corso dell’udienza preliminare di lunedì scorso, risolta con l’ennesimo nulla di fatto per la totale assenza di collaborazione da parte delle autorità del Cairo sul caso del ricercatore friulano, rapito, torturato e ucciso in Egitto nel 2016. Gli investigatori sono infatti risaliti a una foto sul web in cui Helmi indossa una “giubba bianca di una uniforme militare alla quale sono apposti i gradi di Generale di Brigata”. In particolare, Helmi, che sarebbe impiegato presso ‘i passaporti e l’immigrazione’, avrebbe “avuto a che fare con la Suez Canal Authority” scrivono gli investigatori che sono risaliti anche ad alcuni account social riconducibili al militare. Per quanto riguarda gli altri imputati, il più alto in grado, il generale Tariq Sabir, “sarebbe attualmente in servizio presso il Dipartimento degli Affari Civili del Ministero dell’Interno con l’incarico di supervisionare un progetto relativo alle carte di identità dei cittadini egiziani”. Il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif, scrivono gli investigatori, “potrebbe essere ancora in servizio presso la Direzione della Sicurezza Nazionale, mentre Athar Kamal sarebbe ormai in pensione. Le indagini del Ros, per arrivare agli indirizzi dei quattro 007 egiziani, per notificare gli atti, si sono estese anche al web e in particolare agli account social degli imputati. Ci sarebbe infatti la possibilità di chiedere la collaborazione dei provider statunitensi e dei colossi Usa, come Facebook e Google, magari anche attraverso una rogatoria agli Stati Uniti. Anche in questo caso però potrebbe essere necessario un raccordo con le autorità egiziane che invece finora non hanno mai voluto collaborare. Un tentativo simile infatti era stato compiuto già nel 2016 dagli inquirenti ma senza alcun risultato.

Per non dimenticare

“La responsabilità del sequestro, della tortura e dell’uccisione di Giulio Regeni grava direttamente sugli apparati di sicurezza della Repubblica araba d’Egitto, e in particolare su ufficiali della National Security Agency (NSA), come minuziosamente ricostruito dalle indagini condotte dalla procura della Repubblica di Roma”. È quanto afferma la Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, nella relazione finale approvata all’unanimità il 4 dicembre 2021.

“Al riguardo, il quadro probatorio, formatosi nel corso della prima fase della cooperazione giudiziaria, è stato consolidato inequivocabilmente da numerose e convergenti testimonianze anche oculari”, spiega la Commissione.

“I responsabili dell’assassinio di Giulio Regeni sono al Cairo, all’interno degli apparati di sicurezza e probabilmente anche all’interno delle istituzioni. La via della verità e della giustizia può trovare un correlativo oggettivo solo in presenza di un’autentica collaborazione da parte egiziana” si legge ancora sulla relazione.

“Se nei primi due anni, alcuni risultati sono stati faticosamente e parzialmente raggiunti, anche in virtù dell’intransigenza mantenuta dall’Italia – si osserva – negli anni successivi non sono venute dal Cairo altro che parole a livello politico, mentre la magistratura si è chiusa a riccio in un arroccamento non solo ostruzionistico, ma apertamente ostile e lesivo sia del lavoro svolto dagli inquirenti italiani che dell’immagine del giovane ricercatore, verso cui lo stesso presidente al-Sisi aveva usato un tono ben diverso”. 

Richiamare l’Egitto alle sue responsabilità

La Commissione specifica poi un punto politico molto importante. “Finora, l’Italia ha legittimamente seguito la via della cooperazione giudiziaria volta ad individuare i singoli colpevoli della morte di Giulio Regeni ed è bene che vi insista nonostante il sempre più chiaro boicottaggio egiziano che la retorica delle parole pronunciate negli incontri internazionali non può più celare. Ma a livello politico è giunta l’ora di richiamare l’Egitto alle sue responsabilità, in quanto Stato, che sono molto evidenti e pregnanti circa il destino di Giulio Regeni e trascendono quelle personali penalmente rilevanti dei suoi agenti”.

 “La mancata comunicazione da parte egiziana del domicilio degli imputati, nonostante gli sforzi diplomatici profusi al fine di conseguirla, non si risolve nella mera ‘fuga dal processo’ ma sembra costituire una vera e propria ammissione di colpevolezza da parte di un regime che sembra aver considerato la cooperazione giudiziaria alla stregua di uno strumento dilatorio finalizzato a recuperare il precedente livello delle relazioni bilaterali, e non certo la via maestra per assicurare alla giustizia gli assassini di Regeni”. 

“La battuta d’arresto dell’iter processuale – prosegue la Commissione – a seguito dell’ordinanza della Corte d’assise di Roma del 14 ottobre 2021, ha natura meramente procedurale e non pregiudica in alcun modo le conclusioni cui è giunta la magistratura inquirente, pienamente condivise con questa Commissione alla luce dell’ampia inchiesta svolta e della documentazione acquisita”.

Nel documento si afferma che “nel corso dei suoi lavori, la Commissione ha potuto accertare il qualificato e straordinario ruolo svolto dai magistrati della procura della Repubblica di Roma, efficacemente supportati dagli ufficiali di polizia giudiziaria del Ros dell’Arma dei Carabinieri e dallo Sco della Polizia di Stato. Nonostante la difficoltà evidente di perseguire reati commessi all’estero, e in assenza di una convenzione bilaterale in materia di assistenza giudiziaria, gli inquirenti hanno conseguito risultati insperati che costituiscono un importante precedente, anche alla luce della crescente esigenza di tutela dei connazionali all’estero nell’epoca della globalizzazione”.

Regeni mai usato dai servizi stranieri

“Un’altra ipotesi, talora ventilata sulla stampa e naturalmente spesso fatta propria dai media egiziani ed infatti ripresa nel documentario diffuso a fine aprile 2021, verte sull’eventualità che Regeni, anche non consapevolmente, possa essere stato utilizzato da servizi segreti di paesi terzi, ad esempio da quelli britannici.

La commissione ha approfondito tale aspetto nel corso dei suoi lavori, avendo avuto modo di registrare come sia nell’ambito delle indagini svolte nel Regno Unito dagli inquirenti italiani, sia nelle attività informative dei nostri apparati di intelligence non vi sia alcun elemento che possa suffragare tale ipotesi”

L’ostruzione del Cairo

La relazione sottolinea ancora il ruolo ricoperto dal Cairo nell’ostacolare la ricerca della verità. “In tutta evidenza, la mancata collaborazione delle autorità del Cairo si configura come un’oggettiva ostruzione al naturale decorso della giustizia italiana che reclama un’adeguata presa di posizione politica”.

E ancora: “È infatti intollerabile che da parte egiziana si ritenga di poter impunemente contravvenire alle più elementari concezioni del diritto ignorando che favorire la celebrazione del processo, ovvero parteciparvi da parte degli imputati – continua la Commissione – non implicherebbe affatto la sanzione della loro colpevolezza, ma significherebbe soltanto rispettare veramente e non solo formalmente l’ordinamento italiano”. 

“Il progressivo arroccamento ostruzionistico dell’Egitto – si legge – nei confronti dell’impegno delle istituzioni italiane per la ricerca della verità e della giustizia sulla morte di Giulio Regeni è ben esemplificato dalla diffusione ‘ad orologeria’, alla fine dello scorso mese di aprile, di un documentario che ricostruirebbe il soggiorno al Cairo del giovane ricercatore, assolvendo da ogni responsabilità le autorità egiziane e riproponendo velatamente le trite allusioni ad una possibile attività spionistica ascrivibile alla sua affiliazione all’Università di Cambridge”.

“Al di là del topos francamente poco più che letterario, qui rileva il fatto che il filmato, la cui realizzazione ha peraltro richiesto la destinazione di un non trascurabile finanziamento, sia stato diffuso sui social media in concomitanza con l’udienza preliminare allo svolgimento del processo e quindi trasmesso da una rete televisiva egiziana notoriamente compiacente. Pur scontandone la sicura buona fede, lascia perplessi che talune personalità italiane politiche e militari, che pure hanno ricoperto importanti incarichi, abbiano potuto farsi coinvolgere in una simile operazione di contro- informazione, questa sì tipica degli apparati di intelligence”, commenta la Commissione.

Si esclude il ritrovamento “casuale” del corpo

La relazione affronta anche un altro punto nodale, ovvero quello del ritrovamento del corpo senza vita del ricercatore italiano. “Gli elementi raccolti dalla commissione tendono ad escludere la casualità del ritrovamento stesso (del corpo di Regeni ndr.), non solo perché l’occultamento di un cadavere avrebbe potuto avvenire in ben altro modo, ma anche per la vicinanza ad una sede degli apparati di sicurezza, circostanza pregnante come che la si voglia interpretare”. 

“Nei giorni della scomparsa – ricostruisce la commissione -, non solo le istituzioni italiane hanno cercato Giulio Regeni. Per dovere d’ufficio, si è mossa l’American University del Cairo, in quanto il ricercatore risultava accademicamente affiliato ad essa. Non ne emergeva tuttavia alcuna risultanza ufficiale, benchè risulti a questa commissione che l’incaricato per la sicurezza dell’ateneo – in cui si forma buona parte della classe dirigente egiziana – abbia effettuato un sopralluogo personale presso la sede della National Security”.

“Tutta la rete degli amici, colleghi di Regeni si mobilita inoltre nelle ricerche, a cominciare dalla supervisor di Cambridge, la professoressa Maha Abdelrahman, la cui corrispondenza elettronica documenta un incessante sforzo di sensibilizzazione a tutti i livelli, che tuttavia non sfocia in una presa in carico ufficiale della questione da parte di quell’università così da indurre il governo britannico ad assumere un’iniziativa presso le autorità egiziane, ritenendosi evidentemente inopportuno affiancarsi all’Italia sulla questione – spiega la commissione -. In tale ambito, le notizie dall’Egitto giungono da Noura Wahby, la frequentazione più assidua di Regeni al Cairo, con toni talmente preoccupati da lasciare apparire confermata l’ipotesi degli inquirenti italiani, tratta dal traffico telefonico, che la stessa ricercatrice fosse stata coinvolta dalla Nsa nella ‘ragnatela’ di informatori intessuta ai danni del giovane friulano”.

Cosa deve fare il governo ora

La commissione invita, infine il governo italiano giunto a “compiere un passo decisivo presso il governo egiziano perché  sia rimosso l’ostacolo che vi si frappone. La mancata comunicazione dell’elezione di domicilio degli ufficiali indagati suona infatti come un’ammissione della loro colpevolezza e non può essere giustificata dall’assenza di un trattato bilaterale di assistenza giudiziaria. Essa non solo smentisce in modo che appare spudorato le dichiarazioni di buona volontà puntualmente esibite dalle autorità egiziane, ma viola le norme consuetudinarie del diritto internazionale e soprattutto la Convenzione della Nazioni Unite sulla tortura ratificata sia dall’Italia che dall’Egitto”. 

D’allora sono passati sette mesi. Non solo il passo “decisivo” il governo italiano non l’ha fatto, ma ora arriva anche la pietra tombale sul processo agli aguzzini di Giulio Regeni, cittadino italiano, cittadino europeo.

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