La Nato, il Pinochet del Bosforo Erdogan e la sinistra che non c'è
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La Nato, il Pinochet del Bosforo Erdogan e la sinistra che non c'è

Pensiamo cosa sarebbe successo se l’Europa avesse finanziato i Pinochet, i Videla, i Francisco Franco, i colonnelli greci perché chiudessero le frontiere, e aprissero gli stadi-lager per tenerci dentro gli oppositori

La Nato, il Pinochet del Bosforo Erdogan e la sinistra che non c'è
Erdogan al vertice della Nato
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2 Luglio 2022 - 12.51


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I tempi cambiano, e la nostalgia, dicono i senza memoria, è qualcosa di vecchio, retrogrado, anche un po’ patetico. Quando questo discorsetto viene poi da persone che si ritengono democratiche, progressiste, di sinistra no, anche questo è demodé, non parliamo poi di socialismo o comunismo, è ancora più insopportabile. E allora, bando ai cialtroni. E pensiamo. Pensiamo cosa sarebbe successo se l’Europa avesse finanziato i Pinochet, i Videla, i Francisco Franco, i colonnelli greci perché chiudessero le frontiere, e aprissero gli stadi-lager per tenerci dentro gli oppositori, oggi si chiamerebbero rifugiati, affinché non “invadessero” il Vecchio continente. Un tempo, neanche troppo lontano, davanti alle ambasciate di questi Paesi retti da regimi fascisti si sarebbero moltiplicati sit-in di protesta, manifestazioni di piazza. Come fu, altri tempi pure quelli, davanti all’ambasciata Usa a sostegno dei vietcong. Quella parola divenuta impronunciabile è internazionalismo. Oggi le cose sono cambiate. In peggio. Oggi l’Europa finanzia il “Pinochet del Bosforo” l’islamofascista Recep Tayyp Erdogan. Lo finanzia, 6 miliardi di euro, per tenersi, non importa in quali condizioni, i milioni di siriani fuggiti da una guerra per procura fomentata dalla stessa Turchia. Sei miliardi per fare di Erdogan il Gendarme delle frontiere esterne dell’Europa. Ma l’islamofascista non si accontenta dei soldi. Vuole anche altro. Vuole, e ottiene, che l’Europa non faccia nulla, se non qualche ridicolo comunicato, per fermare la mano di un dittatore che ha riempito le carceri di decine di migliaia di oppositori, che ha portato avanti, con l’avallo americano e la compiacenza europea, la pulizia etnica contro i curdi siriani nel Rojava, che ha reclutato stupratori e tagliagole jihadisti per fare il lavoro più sporco in Siria e, terminato il quale, ripeterlo in Libia. Il “Pinochet del Bosforo” ha chiuso giornali, arrestato o costretti all’esilio centinaia di giornalisti indipendenti, e a costretto alla morte attivisti e avvocati impegnati nella difesa dei diritti umani. 

Ed ora, il Pinochet del Bosforo viene anche omaggiato dalla Nato che pur di estendersi a Est, aprendo le sue porte a Svezia e Finlandia, ha barattato il via libera della Turchia con la libertà di uccidere, reprimere, imporre estradizioni da parte di Ankara. Un sì, quello sancito dai leader dell’Alleanza atlantica nel recentissimo vertice di Madrid, che significa complicità nell’annientamento turco dei curdi. Un sì ai bombardamenti, alla pulizia etnica, all’incarcerazione di parlamentari liberamente eletti.  

I curdi, il popolo più grande al mondo senza uno Stato. Repressi ma mai domi. Sono le milizie dell’Ypg ad  essere accorse per prime a difesa dei yazidi sterminati dai nazi-islamisti dell’Isis. Sono loro, i curdi in armi ad essersi opposti per primi all’avanzata del califfato in Iraq e a condurre l’assedio alla “capitale” siriana del Califfato, Raqqa. Nel nord della Siria, l’obiettivo è quello di “creare un sistema sociale autonomo”, ebbe a dirlo all’agenzia di stampa curda Firat, Nesrin Abdullah, comandante dell’unità femminile delle Unità di Protezione del Popolo (Ypg), che hanno portato avanti una dura lotta contro il Califfato. Tutto questo avveniva nel 2018.

 Eppure, per Erdogan restano il nemico principale, ancor più di Bashar al-Assad. E ciò che spaventa gli autocrati e ai teocrati mediorientali non è la forza militare dei curdi (poca cosa rispetto all’esercito turco, il secondo, dopo quello americano, quanto a dimensioni in ambito Nato) ma la capacità attrattiva del modello politico e istituzionale che propugnano: un Confederalismo democratico che ridefinisca in termini di autonomia (in particolare in Turchia e in Siria) gli Stati centralistici ed etnocentrici. In un Grande Medio Oriente segnato da una deriva integralista o da controrivoluzioni militari, il “modello curdo” va in controtendenza. Perché si ispira all’idea che più spaventa califfi, sultani, teocrati e generali: l’idea della democrazia. 

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Un alleato totalmente inaffidabile. Eppure…

A darne conto, in una documentata analisi su Haaretz, è Simon A. Waldman. Il professor Waldman  è visiting lecturer e research fellow al King’s College di Londra. È coautore di “The New Turkey and Its Discontents” (Oxford University Press, 2017).

Annota Waldman: Chi avrebbe mai pensato che nel primo giorno del vertice Nato a Madrid, la Turchia avrebbe ritirato la sua opposizione all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato?

In precedenza, Recep Tayyip Erdogan, il combattivo presidente turco dall’abito sgargiante, aveva reso nota la sua feroce opposizione all’espansione nordica della Nato, accusando i paesi nordici di sostenere il terrorismo e chiedendo, con tono deciso: “Come possiamo fidarci di loro?”. Qual è il motivo del voltafaccia della Turchia? Con qualche caccia F16 e gentili parole di rassicurazione sulla lotta di Ankara contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il Primo Ministro svedese Magdalena Andersson, insieme all’instancabile lavoro del Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg, sono riusciti a far storcere il naso a Erdogan? E questo rappresenta un altro segno dell’orbita strategica della Turchia verso i suoi alleati tradizionali? A prima vista sembrerebbe così, e come tale segue uno schema di recenti svolte diplomatiche turche. Il mese scorso il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha visitato Gerusalemme per rendere omaggio allo Yad Vashem, ha stretto molte mani e ha fatto amicizia con la sua controparte israeliana, nonostante quasi un decennio di ostilità.

Il presidente Erdogan ha anche ricucito i legami con gli Emirati Arabi Uniti nella speranza di ottenere investimenti finanziari, mentre la Turchia sprofonda nella miseria economica con il crollo della Lira rispetto alle principali valute e con un’inflazione del 73,5% (secondo ricercatori indipendenti il dato arriva al 160,76%). E nonostante l’indignazione internazionale dopo il macabro omicidio del 2018 del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul, Mohammed bin Salman ha ricevuto un trattamento da tappeto rosso quando il principe ereditario saudita ha visitato la Turchia la scorsa settimana.

Tuttavia, le apparenze ingannano. Resta il fatto che la Turchia e l’Occidente condividono preoccupazioni e priorità di sicurezza molto diverse. Ciò che tiene svegli la maggior parte dei capi degli Stati membri della Nato è, ovviamente, la belligeranza russa in Ucraina e oltre. Così come la crescente influenza della Cina, il cambiamento climatico, le forniture energetiche e la sicurezza informatica.

Ma il cambiamento climatico e la sicurezza informatica sono poco presenti nelle discussioni strategiche turche. La crescente potenza cinese è vista da Erdogan come un’opportunità per la stabilità globale e vuole aumentare le relazioni commerciali e diplomatiche come partner di dialogo nell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai. A differenza di altri membri della Nato, le principali minacce alla sicurezza di Ankara sono interne o derivanti dalla guerra civile in Siria. Si tratta del Pkk fuorilegge, che combatte lo Stato turco da quattro decenni, dei milioni di rifugiati siriani che risiedono in Turchia e del movimento Gulen, che il governo incolpa del tentato colpo di Stato del 2016.

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A Tel Abyad, nel nord della Siria, che è di fatto sotto il controllo turco, tre persone sono state uccise da un attacco missilistico che Ankara ha attribuito all’Ypg, la milizia prevalentemente curda con sede nel nord della Siria che la Turchia considera un tutt’uno con il Pkk. Lo scorso maggio, cinque soldati turchi sono stati uccisi in Iraq e altri due a giugno in risposta alle operazioni “Artiglio” in corso contro il Pkk.

Ankara è sempre preoccupata per il movimento Gulen, sia in patria che all’estero, e la presenza di rifugiati siriani in Turchia è diventata politicamente esplosiva mentre l’economia turca continua a perdere colpi. Per quanto riguarda la Russia, la Turchia ha una strategia completamente diversa da quella della Nato.

Ankara ritiene che la lupa turca non abbia alcuna chance contro l’orso russo in un incontro di lotta testa a testa. Ankara cerca invece sia un impegno attivo con Mosca a livello bilaterale, sia un’azione belligerante attraverso i proxy nella loro sovrapposizione all’estero.

Ecco come funziona questo delicato, se non fragile, gioco di equilibri. La Turchia acquista missili terra-aria russi S400 e invia ministri a Mosca per discussioni strategiche, cercando al contempo di far progredire le relazioni commerciali. Nel 2019, prima della crisi del Covid, il volume degli scambi era di 23 miliardi di dollari e le due parti hanno ribadito l’obiettivo di raggiungere i 100 miliardi. La cooperazione energetica è forte: a gennaio di quest’anno Gazprom ha appena firmato un accordo quadriennale sul gas con la compagnia energetica statale turca Botas, l’ultimo avanzamento del progetto Turkstream, il gasdotto Russia-Turchia. Si prevede che quest’anno la Turchia riceverà 1,5 milioni di turisti russi, compresi gli oligarchi di Putin che potranno godersi i lussuosi resort turchi senza temere sanzioni.

Tuttavia, la Turchia ha sostenuto il governo di accordo nazionale durante la seconda guerra civile libica, nonostante Mosca si sia schierata con il suo nemico giurato, il generale Haftar. Poco prima del conflitto del Nagorno-Karabakh del 2020, la Turchia ha armato l’Azerbaigian fino ai denti, mentre la Russia ha appoggiato l’Armenia. In Siria, la Russia continua a sostenere il presidente del Paese Bashar Assad, mentre la Turchia appoggia un collettivo di gruppi di opposizione.

La politica di Ankara nei confronti della Russia continua anche durante la crisi ucraina. La Turchia fornisce i famosi droni Bayraktar all’Ucraina e ha limitato l’uso militare della Russia dello stretto del Bosforo, che collega il Mar Nero al Mar di Marmara e quindi al Mediterraneo, in conformità con la Convenzione di Montreux del 1936. Tuttavia, la Turchia ha anche placato Mosca rifiutandosi di chiudere il suo spazio aereo alla Russia (a meno che i voli non siano diretti in Siria) o di imporre sanzioni, cercando invece (con scarso successo) di facilitare i colloqui tra le due parti.

Quindi, ora che la Turchia ha aperto la strada all’espansione nordica della Nato, aspettatevi che Ankara faccia in cambio qualche gesto conciliante nei confronti di Mosca. Questo a meno che l’Occidente non compia una completa inversione di rotta nelle sue relazioni con la Turchia – o, piuttosto, un completo appeasement.

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Per convincere la Turchia a rinunciare all’opposizione all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, i tre Paesi hanno firmato un memorandum trilaterale, con il quale Stoccolma e Oslo si sono impegnate a revocare l’embargo sulle armi alla Turchia, a limitare le attività del Pkk sul loro territorio, a esaminare le richieste di estradizione della Turchia contro i sospetti membri del Pkk e del movimento di Gulen e a promettere di non fornire sostegno all’Ypg  in Siria.

Accettando questi termini, non è stata la Turchia a fare un’inversione di rotta, bensì Svezia e Finlandia. Questo nuovo memorandum trilaterale è sorprendentemente simile alle condizioni poste da Ankara per l’espansione della Nato a maggio. Non c’è da stupirsi che la servile stampa turca abbia salutato l’accordo di questa settimana come una grande vittoria.

Erdogan si aspetta ora che Svezia e Finlandia aderiscano allo spirito, e non solo alla lettera, dell’accordo. Ciò significa che chiederà loro di appoggiare una futura operazione turca in Siria per combattere l’Ypg, che si dà il caso sia il principale alleato dell’Occidente contro lo Stato Islamico, di sostenere i piani di Ankara per espellere e reinsediare con la forza più di un milione di rifugiati siriani nel nord della Siria, di fare passi concreti per estradare presunti membri del Pkk e del movimento Gulen per sottoporli a un processo, che difficilmente sarà equo, in Turchia, e di tacere sugli scarsi risultati della Turchia in materia di diritti umani e sugli abusi delle libertà democratiche fondamentali. La Turchia coglierà qualsiasi tentennamento su questi temi come prova di malafede, se non di tradimento, e come giusta causa per riaccendere una crisi nelle relazioni della Turchia con l’Occidente. La Turchia di Erdogan è un alleato fondamentalmente inaffidabile. L’accordo con la Nato ha innescato un conto alla rovescia per la prossima rumorosa ma inevitabile conflagrazione”.

Così il professor Waldman.

Un’amara chiosa finale.

Un tempo, neanche troppo lontano, c’era uno slogan che raccontava una generazione: siate realisti, chiedete l’impossibile. Quell’impossibile era un mondo senza più sfruttati, un mondo in cui ogni popolo aveva diritto all’autodeterminazione, come il popolo palestinese. Altri tempi, si dirà. E’ vero. Ma oggi è chiedere l’”impossibile” sanzionare il fascista del Bosforo? Lo chiediamo anzitutto a chi ha responsabilità di Governo e si proclama democratico e di sinistra. Ma il sì del “colonnello” Draghi alla licenza di uccidere garantita dalla Nato a Erdogan è già una risposta. Negativa. A Madrid non si è svolto un raduno di “trumpisti”, di “orbaniani”, di “meloniani”…Il presidente Usa è un democratico. Il padrone di casa, il premier spagnolo, è, almeno nominalmente, socialista. Il suo omologo italiano è alla guida di un Governo del quale fanno parte il Partito democratico, Articolo I. In Germania, il cancelliere è il leader della Spd, la socialdemocrazia tedesca. E potremmo andare avanti di questo passo. Ma è già sufficiente per giungere ad un’amara chiosa finale: quando si parla di difesa dei diritti umani, di sostegno a popoli sotto occupazione (i palestinesi) o sotto pulizia etnica e annientamento (i curdi), destra e sinistra scompaiono. E a trionfare è un pensiero unico cinico, opportunista. Che di rosso ha solo il sangue delle tante e tanti che ne sono vittime.

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