Ucraina, perché la guerra del gas non è meno devastante di quella del grano
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Ucraina, perché la guerra del gas non è meno devastante di quella del grano

La guerra del gas non è meno devastante per le ricadute sulle nostre bollette energetiche oltre che per le conseguenze possibili sul già disastrato ecosistema planetario.

Ucraina, perché la guerra del gas non è meno devastante di quella del grano
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

23 Giugno 2022 - 18.18


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La guerra e le 2G che scuotono il mondo: grano e gas. Della prima “g” (il grano), Globalist ha già scritto nei giorni scorsi. La seconda “g” (il gas) non è meno devastante per le ricadute sulle nostre bollette energetiche oltre che per le conseguenze possibili sul già disastrato ecosistema planetario.

Allarme rosso

La Germania ha dichiarato che aumenterà il livello di allerta nell’ambito del piano di emergenza del gas per garantire l’approvvigionamento in seguito alla recente riduzione delle forniture di gasdotti dalla Russia. “Il gas è ora una merce rara in Germania”, ha detto ai giornalisti il ministro dell’Economia Robert Habeck. L’attivazione della fase due porta la Germania un passo avanti verso la terza e ultima fase che potrebbe vedere il razionamento del gas nella principale economia europea. 

La prima fase, quella dell’early warning, era scattata alla fine di marzo, quando il Cremlino aveva chiesto il pagamento in rubli del gas, e indica un peggioramento considerevole nelle forniture. La seconda fase, di allarme, prevede una domanda accresciuta o problemi alle forniture, che restano comunque assicurate. La terza, quella dell’emergenza, implica che le forniture non siano sufficienti a rispondere alla domanda.

“In totale, dodici Paesi membri sono stati colpiti dal taglio unilaterale delle forniture di gas dalla Russia e dieci Stati hanno diramato un avvertimento iniziale ai sensi delle regole sulla sicurezza dell’approvvigionamento di gas. Il rischio di una totale interruzione delle forniture di gas è oggi più reale che mai”. Lo ha dichiarato il vice presidente della Commissione europea, Frans Timmermans, nel suo intervento al Parlamento europeo a Bruxelles. Tuttavia, “gli attuali livelli di riempimento delle forniture di gas è superiore al 50% della capacità totale, ben al di sopra dello scorso anno”, ha aggiunto Timmermans.

Secondo la Rystad Energy, società di consulenza energetica indipendente norvegese leader a livello mondiale per l’industria petrolifera e del gas, i flussi giornalieri di gas via Sokhranovka sono stati in media di 23 milioni di metri cubi nel mese di maggio, il 20% in meno rispetto al mese precedente, mentre i flussi giornalieri via Sudzha sono stati in media di circa 70 milioni di metri cubi vicino alla sua capacità di transito di 77 milioni di metri cubi/giorno. Potrebbero essere aggiunti altri 6 milioni di metri cubi al giorno in più, ma rimarrebbero fuori 10 milioni di metri cubi/giorno di flusso da reindirizzare su altre rotte. 

Il piano di Draghi per proteggere famiglie e imprese

Ne scrive Miriam Carraretto su QuiFinanza: “E’ molto più possibile che arriveranno misure sempre maggiori e profonde sulla domanda, senza escludere il ricorso a veri e propri razionamenti.

Dall’inizio della guerra, il governo italiano si è mosso per trovare fonti di approvvigionamento alternative al gas russo. Draghi è riuscito a stringere accordi importanti con vari Paesi fornitori, dall’Algeria all’Azerbaijan, e promosso nuovi investimenti, anche nelle energie rinnovabili. Grazie a queste misure – ha chiarito Draghi – potremmo ridurre in modo significativo la nostra dipendenza dal gas russo già dall’anno prossimo.

Ma per frenare l’aumento generale dei prezzi e tutelare il potere d’acquisto dei cittadini, è essenziale agire anche – “e sottolineo ‘anche’, perché i campi di intervento sono vari e non si limitano a questo” precisa – sulla fonte del problema e contenere i rincari di gas ed energia.

“I governi hanno gli strumenti per farlo”: la soluzione che Draghi propone da diversi mesi è l’imposizione di un tetto al prezzo del gas russo, il cosiddetto price cap, che consentirebbe anche di ridurre i flussi finanziari verso Mosca.

Il tetto europeo al prezzo del gas è una misura indispensabile per fermare la corsa al rialzo delle quotazioni naturalmente, ma è anche uno strumento forte per affermare una posizione netta dell’Europa contro la guerra di Putin. Il limite è una misura che non può essere assunta a livello di singoli Paesi, perché genererebbe uno svantaggio per chi la adotta: deve essere quindi frutto di una posizione comune europea.

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Il piano italiano  – sottolinea ancora Carraretto – prevede il divieto di commerciare gas tra operatori in tutti i Paesi europei a un prezzo superiore agli 80 euro per megawatt ora (MWh). Nessuno così vorrebbe importarlo a cifre superiori, perché sarebbe anti-economico. La proposta italiana di un tetto compreso fra 80 e 90 euro al MWh verrà discussa proprio a Bruxelles”.

Scenario inquietante

E’ quello tratteggiato da Il Post in un report molto dettagliato.

“Se il governo russo decidesse come rappresaglia di interrompere le forniture di gas, in risposta a un duro scontro politico o addirittura militare con l’Europa – rimarca il report –  le conseguenze sarebbero estremamente serie. Questo è un argomento spesso usato dai più scettici in Europa nei confronti di uno scontro con la Russia, che ha delle ragioni ma fino a un certo punto. Il sistema di scorte europeo è infatti piuttosto resiliente e, come ha scritto l’Economist, sarebbe in grado di sostenere un taglio alle forniture anche abbastanza prolungato. Ma la dipendenza dell’Europa dal gas russo è innegabile, e senza dubbio uno scontro sulle forniture energetiche causerebbe seri problemi.

L’Italia, poi, è particolarmente dipendente dal gas russo.

Secondo i dati del ministero della Transizione ecologica, nel 2020 il 43,3 per cento del gas naturale importato dall’Italia proveniva dalla Russia, che è di gran lunga il primo fornitore di gas nel paese. Nelle forniture italiane hanno anche un grosso peso l’Algeria (22,8 per cento), la Norvegia e il Qatar (entrambi attorno al 10 per cento). Se la Russia decidesse di interrompere del tutto le forniture di gas, l’Italia perderebbe quasi la metà delle sue importazioni.

Nel 2020, in Italia, il gas naturale corrispondeva al 31 per cento del totale dell’energia consumata nel paese. È quasi tutto gas importato: la produzione interna corrisponde a meno del 10 per cento del totale.

In Europa la situazione è più varia, ma la dipendenza dal gas russo è comunque notevole. Il grande paese più esposto è certamente la Germania, che importa dalla Russia circa la metà del suo gas, mentre in altri stati più piccoli, come l’Austria e la Slovacchia, la dipendenza è ancora maggiore.

La Francia è invece relativamente meno esposta, soprattutto grazie al suo ampio uso dell’energia nucleare. Questo non significa, tuttavia, che l’Europa sia irrimediabilmente sotto il ricatto energetico della Russia.

Anzitutto – continua Il Post – perché il ricatto funziona da entrambe le parti: come l’Europa ha bisogno del gas russo, la Russia ha bisogno delle enormi entrate che ottiene dalla sua vendita. Secondo l’Ocse, circa il 40 per cento del budget dello stato russo dipende dai ricavi delle esportazioni di gas e petrolio. 

È per questo che, benché l’Europa dipenda dal gas russo ormai da decenni, il paese non ha mai interrotto le sue forniture, nemmeno nei periodi più conflittuali della Guerra fredda.

In ogni caso, negli ultimi anni sia la Russia sia l’Europa si sono mosse per ridurre quanto possibile la loro duplice dipendenza.

L’Economist qualche giorno fa ha provato a raccogliere dati e analisi per cercare di capire cosa succederebbe se la Russia decidesse davvero di interrompere le sue forniture di gas per i prossimi tre mesi (con l’arrivo della primavera, la necessità di gas per scaldare gli edifici si riduce, e il suo valore come arma di ricatto si annulla). Il risultato è che, benché l’interruzione sarebbe un colpo duro sia per l’economia russa sia per quella europea, non sarebbe catastrofico per nessuna delle due.

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Per Gazprom, la società di stato russa che gestisce l’estrazione e l’esportazione del gas naturale, interrompere le vendite di gas all’Europa significherebbe perdere tra i 203 e i 228 milioni di dollari al giorno: in tre mesi, le perdite ammonterebbero a 20 miliardi. È una somma enorme, che però sarebbe abbastanza facile da ripianare per la Russia, la cui banca centrale ha riserve per 600 miliardi di dollari.

Per Gazprom, tuttavia, interrompere le forniture costituirebbe anche un gravissimo problema di reputazione: anche a crisi terminata, diventerebbe molto più difficile stipulare nuovi contratti non soltanto con i paesi europei, ma anche con altri grossi paesi come la Cina, che potrebbero voler evitare di fare affari con un partner inaffidabile. Inoltre grandi e importanti progetti infrastrutturali, come il gasdotto Nord Stream 2, potrebbero considerarsi cancellati se davvero la Russia decidesse di colpire l’Europa tagliando il gas: il business di Gazprom in Europa e non solo sarebbe compromesso, forse definitivamente.

Per l’Europa, invece, l’interruzione delle forniture di gas russo non significherebbe trovarsi senza elettricità e riscaldamento da domani. Tutti i paesi, anche l’Italia, hanno significative scorte di gas, che si sono ridotte negli ultimi tempi ma che potrebbero comunque consentire di sopperire alle mancate importazioni russe per qualche mese (tra i due e i quattro, a seconda delle stime e a seconda della rigidità dell’inverno).

Inoltre, l’Europa potrebbe attivarsi piuttosto rapidamente per cercare forniture alternative. Una delle più probabili è il cosiddetto Gnl, cioè lo stesso prodotto compresso, raffreddato e reso liquido, che può essere trasportato via nave e non ha bisogno dei gasdotti. L’Europa ha un’ampia capacità largamente inutilizzata di rigassificatori (gli impianti che servono a riportare il Gnl allo stato gassoso per essere utilizzato come fonte energetica) che consentirebbero di ridurre in parte gli effetti del taglio delle forniture russe.

Negli ultimi giorni il governo americano, consapevole della debolezza europea sul piano energetico, ha avviato un piano d’emergenza sostituire le importazioni di gas dalla Russia con Gnl 

proveniente dagli stessi Stati Uniti o da altri paesi come il Qatar e trasportato via nave, se ce ne fosse bisogno. Per ora tuttavia questo piano è piuttosto vago, e serve soprattutto a rassicurare i leader europei sul fatto che non saranno lasciati soli a sostenere le conseguenze di un’eventuale rappresaglia energetica della Russia.

Per l’Europa, dunque, il problema non sarebbe tanto di forniture quanto di prezzi: sostituire parte delle importazioni di gas russo è fattibile, con molti sforzi, ma l’aumento dei costi sarebbe significativo – e questo avverrebbe in un momento in cui il mercato è già in crisi, e i prezzi dell’energia sono ai massimi da anni. Ciò comporterebbe, probabilmente, la necessità di sostegni pubblici molto più ingenti di quelli già messi in atto dai governi”. Così Il Post.

L’analisi dell’Ispi

Nel ponderoso report prodotto dall’Istituto per gli studi di politica internazionale, c’è scritto tra l’altro: “Potendo fare affidamento su un potere di mercato del 50%, la Russia è di fatto un oligopolista. Di conseguenza i prezzi sul mercato europeo sono influenzabili dalle strategie adottate da Gazprom, l’azienda russa che si occupa di vendere ed esportare il gas naturale. E che, a partire dalla scorsa estate, ha gradualmente ridotto le forniture di gas verso l’Ue, da ottobre scese sotto i minimi del quinquennio 2015-2019.

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La forte domanda europea di gas degli ultimi mesi (anche causata dalla scarsa produzione di elettricità da fonti rinnovabili dell’estate scorsa), assieme alla graduale chiusura dei rubinetti russi, hanno prima lasciato i livelli di stoccaggio di gas naturale ai minimi degli ultimi dieci anni e poi, nel corso dell’autunno e ora dell’inverno, costretto i governi europei a utilizzarli più del previsto E se con consumi in ripresa l’offerta di gas naturale crolla, il mercato di certo non sta a guardare.

Forse peggio. Il risultato delle azioni di Gazprom è che nel giro di un anno i prezzi del gas in Europa sono quintuplicati, e secondo l’Imf potrebbero crescere ancora del 58% nel corso del 2022. Con essi aumenterebbe la spesa europea per l’energia nel 2022 che, anche senza un taglio del gas russo, ammonterà a circa 1000 miliardi di dollari: il doppio rispetto al 2019. 

Le analogie con la crisi energetica del ‘73 non sono poche. Anch’essa fu provocata dalla volontà di un oligopolista (l’Opec) di ridurre le proprie forniture (di greggio) verso i paesi occidentali per cause geopolitiche (il loro sostengo a Israele durante la guerra del Kippur). Ma allora i prezzi aumentarono “solo” di un fattore 2,5.

Fu comunque sufficiente per contribuire al rallentamento della crescita economica mondiale dal 6,8% nel 1973 al 2,8% nel 1974, all’aumento dell’inflazione (cresciuta negli Usa dal 3% del 1972 al 12% del 1974) e del debito pubblico (quello italiano raddoppiò, dal 30% del 1972 al 60% del 1976). Non le prospettive migliori per lo scenario odierno, già segnato da un rimbalzo economico minore delle previsioni, alta inflazione e debito pubblico ai massimi storici.

L’allarme dell’Agenzia per l’energia sul gas russo

In un’intervista al Financial Times, il presidente dell’Agenzia Faith Birol ha messo in guardia l’Europa che, secondo lui, deve prepararsi immediatamente allo stop completodei flussi di gas russo. In questo senso i tagli alle forniture decisi da Gazpromnelle settimane precedenti risultano soltanto la fase preparatoria di una chiusura totale all’Occidente.

“Più avanziamo verso l’inverno, più comprendiamo le intenzioni della Russia”, ha sottolineato Birol. “Credo che i tagli siano orientati aevitare che l’Europa riempia i depositi. Subito l’allarme lanciato dal numero uno dell’Iea, il prezzo del gas naturale al punto di scambio di Amsterdamha ripreso a salire fino a superare quota130 euro al MWh. Secondo Birol, le misure di emergenza adottate in settimana dalle nazioni europee per ridurre la domanda di gas russo, come l’attivazione di vecchie centrali elettriche a carbone, sono state “giustificate dall’entità della crisi, nonostante le preoccupazioni per l’aumento delle emissioni di carbonio”.

Una strategia energetica vincente, sempre secondo l’Iea, dovrebbe prendere in esame tutti i fattori coinvolti e imporre determinate decisioni a livello politico. “Penso che ci saranno misure sempre maggiori e profonde sulla domanda, da parte dei governi, con l’avvicinarsi dell’inverno”. Ma quali sono nel concreto le possibilità per evitare il peggio? Ritardare la chiusura di tutte le centrali nucleari per le quali è stato disposto lo stop, al fine di contribuire a limitare la quantità di gas bruciato nella produzione di energia elettrica. Dare il via ai razionamenti in caso di ulteriori tagli delle forniture russe. Puntare concretamente sulla transizione ecologica. Secondo i calcoli dell’Iea, le nazioni europee non si stanno impegnando abbastanza sul piano degli investimenti energetici totali. Questi ultimi dovrebbero crescere quest’anno dell’8% a 2.400 miliardi di dollari, puntando soprattutto sulle fonti rinnovabili. “Senza politiche per ridurre significativamente il consumo di combustibili fossili, il mondo continuerà ad affrontare pericolose oscillazioni dei prezzi del petrolio e del gas”, ha sentenziato Birol.

Un mondo più inquinato. La guerra del gas porta anche a questa sciagura. Planetaria.

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