Allargare la Nato o allargare l'Unione europea? È il tempo delle scelte
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Allargare la Nato o allargare l'Unione europea? È il tempo delle scelte

Una Nato sempre più a trazione americana che apre le sue porte a Finlandia e Svezia è un’opa di Washington (e Londra) sul futuro politico e militare dell’Europa. Ma...

Allargare la Nato o allargare l'Unione europea? È il tempo delle scelte
Joe Biden e Ursula von der Leyen
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Maggio 2022 - 19.06


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Allargare l’Unione Europea o allargare la Nato? Le due cose, sul piano delle finalità geopolitiche, militari ed economiche, non solo non coincidono ma possono entrare in rotta di collusione. E a innescare la miccia è la guerra d’Ucraina. Per essere chiari: una Nato sempre più a trazione americana che apre le sue porte a Finlandia e Svezia è un’opa di Washington (e Londra) sul futuro politico e militare dell’Europa, oltre a rafforzare quella “sindrome di accerchiamento” su cui Putin fa leva per legittimare, sul piano interno soprattutto, l’operazione militare contro l’Ucraina. 

E’ tempo di scelte
Un tempo che bussa anche a Palazzo Chigi. E chiama in causa Mario Draghi. L’agenda internazionale del nostro presidente del Consiglio ha due date cerchiate in rosso. Una, si è già consumata a Strasburgo, con l’intervento, molto apprezzato, del premier italiana ad una seduta plenaria del Parlamento europeo. La seconda data in rosso è il 10 maggio, quando Draghi varcherà la soglia dello Studio Ovale alla Casa Bianca per l’atteso incontro con il presidente Usa, Joe Biden.

Puntare su una Ue allargata
Ha detto Draghi nel suo discorso: “”La guerra in Ucraina pone l’Unione Europea davanti a una delle più gravi crisi della sua storia. Una crisi che è insieme umanitaria, securitaria, energetica, economica”. Per poi ribadire: “In una guerra di aggressione non può esistere alcuna equivalenza tra chi invade e chi resiste. L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia ha rimesso in discussione la più grande conquista dell’Unione Europea: la pace nel nostro continente una pace basata sul rispetto dei confini territoriali, dello stato di diritto, della sovranità democratica; sull’utilizzo della diplomazia come mezzo di risoluzione delle controversie tra Stati; sul rispetto dei diritti umani, oltraggiati a Mariupol, a Bucha, e in tutti i luoghi in cui si è scatenata la violenza dell’esercito russo nei confronti di civili inermi”. 

Quella a cui tendere è una pace giusta. Una pace basata sul rispetto dei confini territoriali, dello stato di diritto, della sovranità democratica; sull’utilizzo della diplomazia come mezzo di risoluzione delle controversie tra Stati”. “Dobbiamo sostenere l’Ucraina, il suo governo e il suo popolo, come il Presidente Zelensky ha chiesto e continua a chiedere di fare. In una guerra di aggressione non può esistere alcuna equivalenza tra chi invade e chi resiste”.

L’Europa “può e deve avere un ruolo centrale nel favorire il dialogo – osserva il premier – dobbiamo farlo per via della nostra geografia, che ci colloca accanto a questa guerra, e dunque in prima linea nell’affrontare tutte le sue possibili conseguenze. Dobbiamo farlo per via della nostra storia, che ci ha mostrato capaci di costruire una pace stabile e duratura, anche dopo conflitti sanguinosi”. Non solo, Draghi ricorda: “Abbiamo reso l’Ue uno spazio non solo economico, ma di difesa dei diritti e della dignità dell’uomo. È un’eredità che non dobbiamo dissipare”, per questo “è il momento di portare avanti questo percorso. Il 9 maggio si conclude la Conferenza sul Futuro dell’Europa e la Dichiarazione finale ci chiede di essere molto ambiziosi. Vogliamo essere in prima linea per disegnare la nuova Europa. In un quadro geopolitico divenuto improvvisamente molto più pericoloso e incerto, dobbiamo affrontare l’emergenza economica e sociale e garantire la sicurezza dei nostri cittadini”.

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E, a proposito della ricerca continua di una soluzione al conflitto, sottolinea: “L’Italia, come Paese fondatore dell’Unione Europea, come Paese che crede profondamente nella pace, è pronta a impegnarsi in prima linea per raggiungere una soluzione diplomatica”. Una disponibilità che viene ribadita anche per quel che riguarda i negoziati di adesione all’Ue che riguardano alcuni paesi. “La piena integrazione dei Paesi che manifestano aspirazioni europee non rappresenta una minaccia per la tenuta del progetto europeo. È parte della sua realizzazione – evidenzia Draghi – L’Italia sostiene l’apertura immediata dei negoziati di adesione con l’Albania e con la Macedonia del Nord, in linea con la decisione assunta dal Consiglio Europeo nel marzo 2020. Vogliamo dare nuovo slancio ai negoziati con Serbia e Montenegro, e assicurare la massima attenzione alle legittime aspettative di Bosnia Erzegovina e Kosovo. Siamo favorevoli all’ingresso di tutti questi Paesi e vogliamo l’Ucraina nell’UE“. 

Considerazioni, per quanto ci riguarda, assolutamente condivisibili. Ma che ci riportano alla domanda iniziale.

Nato per cosa?
Un tema che entra nella bella intervista concessa da Papa Francesco al direttore de Il Corriere della Sera, Luciano Fontana. 

“Per la pace non c’è abbastanza volontà. La guerra è terribile e dobbiamo gridarlo”, dice Papa Francesco nell’intervista. Il Papa ha anche tentato di ragionare sulle radici che hanno indotto Putin a una guerra così brutale: forse il terremoto è stato scatenato dall'”abbaiare della Nato alla porta della Russia”. “Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì”, si è interrogato Bergoglio.

Una considerazione che non avrà certo fatto piacere agli interventisti di casa nostra, quelli che hanno storto il naso di fronte alla presa di posizione, forte è dir poco, assunta da Bergoglio sull’aumento delle spese militari.

Due contributi preziosi. Per capire
Il primo è di Mario Del Pero per Treccani.it: “[…]Rispetto alla triplice denuncia putiniana dell’allargamento della Nato – come una decisione ingiusta, umiliante e pericolosa – solo le prime due categorie sembrano davvero applicarsi al post-guerra fredda. Da un punto di vista strettamente securitario, la Nato non poteva essere, né è oggi, una minaccia diretta per la sicurezza di Mosca, che dispone di una capacità deterrente preponderante ben evidenziata anche dall’attuale conflitto in Ucraina. Una inclusione della Russia nella Nato, lo si è detto, non era realistica per una varietà di ragioni a partire dal fatto – molto banale – che l’Alleanza atlantica è una struttura militare e difensiva federata da un egemone, che sono gli Stati Uniti. Per come è stato costruito ed è evoluto negli anni non è immaginabile un’alterazione di questo stato di cose e di questi rapporti di forza al suo interno. Il suo allargamento fu però vissuto e denunciato da Mosca come una pesante umiliazione; a più riprese El′cin sottolineò come esso avrebbe in ultimo avvantaggiato le forze di un nazionalismo radicale capace di cavalcare una narrazione vittimista e antiatlantica, come poi Putin avrebbe effettivamente fatto. Il presidente russo arrivò a chiedere di rallentare il processo, e mettervi temporaneamente la sordina, per non essere danneggiato alle presidenziali del 1996. Fu in una certa misura accontentato, ma il tutto avveniva in un contesto in cui i rivolgimenti democratici della Russia postsovietica, la forza del nuovo nazionalismo russo, le incoerenze e la fragilità di El′cin medesimo rendevano sempre meno credibile l’interlocutore e, per gli Usa, sempre più allettante la prospettiva dell’allargamento. È molto probabile che abbia allora agito una sorta di spirale della sicurezza, nella quale la prospettiva dell’espansione della Nato irrigidiva Mosca e questo irrigidimento rafforzava la posizione dei sostenitori dell’allargamento a Washington.

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Molto poco ancora sappiamo sull’azione diplomatica dei Paesi dell’Europa centro-orientale.

Abbiamo sondaggi che evidenziano come maggioranze solide delle opinioni pubbliche dei primi a entrare nell’Alleanza – Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria – fossero favorevoli. Abbiamo dichiarazioni pubbliche di leader politici che nello schierarsi su posizioni filoatlantiste trovarono un’evidente fonte di legittimazione interna e internazionale. Abbiamo documenti che mostrano sollecitazioni in tal senso di alcuni di questi leader (non è sorprendente che uno dei più attivi, e antirussi, fosse Lech Walesa che già nel 1993, incontrando Clinton in occasione del nuovo museo dell’Olocausto lo invitava a non lasciare la Polonia ‘indifesa’ e senza ‘muscoli statunitensi’ di fronte alla Russia.  Molto semplicemente – e con un meccanismo che si era visto anche all’inizio della guerra fredda – agiva una tensione di fondo e una contraddizione in ultimo non risolubile: un asse russo-statunitense in Europa come quello desiderato a Mosca non era compatibile con l’integrazione politica e securitaria dell’Europa centro-orientale con gli Usa e i loro alleati.

 Molto altro ci sarebbe da dire, a partire dall’impatto delle guerre iugoslave, e della loro risoluzione, nell’alimentare a Washington il convincimento che solo allargando la Nato, e assegnandole nuove competenze e funzioni, si sarebbe potuto garantire stabilità e pace a un continente fragile ed esposto a conflitti latenti e questioni nazionali mai interamente risolte. Soprattutto, nel valutare natura, contraddizioni e fragilità del post-guerra fredda non si può non intrecciare la questione dell’allargamento della Nato con altre dinamiche e decisioni, su tutte quelle di alcuni momenti radicalmente unilaterali dell’azione statunitense – dall’abbandono dei trattati ABM (Anti Ballistic Missile) e INF all’intervento in Iraq alla campagna globale contro il terrorismo ‒ nel delegittimare le fondamenta e le norme dell’ordine internazionale dell’ultimo trentennio, e con esse la forza e credibilità ultima dell’egemonia statunitense”.

Così Del Pero.

L’altro contributo è di Manlio Dinucci che in un lungo excursus storico-politico- militare pubblicato il 22 febbraio da Il Manifesto, in riferimento alla genesi dell’estensione della Nato, scrive tra l’altro:“[…]Essa inizia nello stesso anno, il 1999, in cui la Nato demolisce con la guerra la Jugoslavia e, al vertice di Washington, annuncia di voler «condurre operazioni di risposta alle crisi, non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza». Dimenticando di essersi impegnata con la Russia a «non allargarsi neppure di un pollice a Est», la Nato inizia la sua espansione ad Est. Ingloba i primi tre paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria. Quindi, nel 2004, si estende ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Federazione Jugoslava). Nel 2009, la Nato ingloba l’Albania (un tempo membro del Patto di Varsavia) e la Croazia (già parte della Federazione Jugoslava); nel 2017, il Montenegro (già parte della Jugoslavia); nel 2020 la Macedonia del Nord (già parte della Jugoslavia) In vent’anni, la Nato si estende da 16 a 30 paesi. In tal modo Washington ottiene un triplice risultato. Estende a ridosso della Russia, fin dentro il territorio dell’ex Urss, l’Alleanza militare di cui mantiene le leve di comando: il Comandante Supremo Alleato in Europa è, «per tradizione», sempre un generale Usa nominato dal presidente degli Stati Uniti e appartengono agli Usa anche gli altri comandi chiave.

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Washington lega i paesi dell’Est non tanto all’Alleanza, quanto direttamente agli Usa. Romania e Bulgaria, appena entrate, mettono subito a disposizione degli Stati Uniti le importanti basi militari di Costanza e Burgas sul Mar Nero. Il terzo risultato ottenuto da Washington con l’allargamento della Nato a Est è il rafforzamento della propria influenza in Europa. Sui dieci paesi dell’Europa centro-orientale che entrano nella Nato tra il 1999 e il 2004, sette entrano nell’Unione Europea tra il 2004 e il 2007: alla Ue che si allarga a Est, gli Stati Uniti sovrappongono la Nato che si allarga a Est sull’Europa. Oggi 21 dei 27 paesi dell’Unione Europea appartengono alla Nato sotto comando Usa. Il Consiglio Nord Atlantico, l’organo politico dell’Alleanza, secondo le norme Nato decide non a maggioranza ma sempre «all’unanimità e di comune accordo», ossia d’accordo con quanto deciso a Washington.

La partecipazionedelle maggiori potenze europee a tali decisioni (esclusa l’Italia che finora ubbidisce in genere tacendo) avviene in genere attraverso trattative segrete con Washington sul dare e avere. Ciò comporta un ulteriore indebolimento dei parlamenti europei, in particolare di quello italiano, già oggi privati di reali poteri decisionali su politica estera e militare. In tale quadro, l’Europa si ritrova oggi in una situazione ancora più pericolosa della guerra fredda. Altri tre paesi – Bosnia Erzegovina (già parte della Jugoslavia), Georgia e Ucraina (già parte dell’Urss) – sono candidati a entrare nella Nato. Stoltenberg, portavoce Usa prima che della Nato, dichiara che «teniamo la porta aperta e, se l’obiettivo del Cremlino è quello di avere meno Nato ai confini della Russia, otterrà solo più Nato».

Ed è quello che sta accadendo. Il che porta a porci un altro interrogativo, altrettanto dirimente del primo, che riguarda il vero obiettivo della guerra in corso, dal punto di vista occidentale. Quale sia la posizione americana, e quella britannica, è chiara: la guerra deve servire a logorare il regime russo se è possibile fino a determinare la caduta dello Zar Putin. E’ lo stesso per l’Europa? Lei che ne pensa, presidente Draghi?

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