La Russia e le reti di spionaggio in Italia e in Europa: breve analisi sull'antefatto della nuova Guerra Fredda
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La Russia e le reti di spionaggio in Italia e in Europa: breve analisi sull'antefatto della nuova Guerra Fredda

Nel corso degli anni le attività di controspionaggio contro la Russia si sono affievolite. Mosca è stata percepita come alleata nel nome della lotta all'Isis. Invece...

La Russia e le reti di spionaggio in Italia e in Europa: breve analisi sull'antefatto della nuova Guerra Fredda
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Gianni Cipriani Modifica articolo

2 Maggio 2022 - 10.54


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La guerra tra Russia e Ucraina riguarda sicuramente le nuove vocazioni imperiali della Russia post sovietica in cerca di riscatto dopo l’avanzata della Nato, ma è anche l’ultimo capitolo di una guerra di spie e di spionaggio tra Mosca, Washington e le principali capitali europee – Roma tra queste – che va avanti dagli anni immediatamente successivi al crollo del Muro di Berlino e alla frantumazione dell’ex Unione Sovietica in tanti stati indipendenti, quando tanti pensavano che con la fine della Guerra Fredda la contrapposizione est-ovest sarebbe venuta meno.

Così non è stato. Anche perché la Federazione Russa – dopo una breve fase – ha riorganizzato le proprie strutture di intelligence in piena continuità e ha ripreso come prima le attività di intelligence anche da un punto di vista offensivo.

L’Italia se ne accorse molto presto perché all’inizio degli anni Novanta (quando il capo del Sismi era lo scomparso generale Pucci) fu scoperta l’attività di un diplomatico accreditato presso il Consolato russo di Milano – un ufficiale della linea tecnologica dell’Svr (erede del KGB) di nome Surov – che cercava di trovare il modo di impossessarsi delle lenti di un carro armato di fabbricazione italiana all’epoca tecnologicamente molto avanzato.

Surov fu espulso insieme con altri diplomatici che facevano da collegamento, anche se il clamore fu quasi inesistente.

Tra l’altro in quel periodo i servizi segreti italiani erano alle prese con un enigma mai risolto molto simile a La Talpa di John le Carré. In questo caso il nome dell’obiettivo e dell’operazione nei nostri 007 fu ‘verme’.

Chi era il Verme? Un agente segreto italiano interno alla nostra intelligence che collaborava con i russi. Del Verme avevano parlato alcuni defezionisti russi passati a collaborare con l’occidente che riferivano di un legame diretto del misterioso italiano con uno dei capi operativi dell’allora Kgb. Ma nessuno ne conosceva il nome.

Neppure anni di indagini, riscontri incrociati, trappole hanno portato a risalire ad alcuni sospetti ma il Verme non fu mai identificato e nemmeno si è mai riusciti a capire che tipo di informazioni potesse aver passato. Tuttavia il combinato disposto del caso Surov, dell’operazione Verme e alcune valutazioni di natura più strettamente politica fecero ritenere che la Russia post comunista e neo-capitalista potesse rappresentare da un punto di vista dell’intelligence un grave pericolo.

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Del resto i sospetti e alcune certezze di attività di spionaggio militare e industriale avevano molti riscontri.

Proprio per questo l’intelligence italiana diede il via ad una grossa operazione di controspionaggio che partendo da Roma ha via via raggiunto altri capitali europee e anche altri territori. Una operazione durata molti anni.

In pratica si trattò si identificare reti spionistiche russe in Europa, Medio Oriente e anche Oltreoceano. Le spie identificate furono moltissime. Si parla di centinaia.

In quell’occasione emerse un dato molto interessante: una fortissima penetrazione dei servizi segreti russi in Ucraina e anche – e soprattutto – una grande penetrazione russa all’interno degli stessi servizi segreti ucraini, cosa che è andata avanti – presumibilmente – fino all’inizio dell’invasione ma con esiti poco soddisfacenti, visto che i russi avevano previsto una sollevazione popolare contro Zelensky e un colpo di stato militare. Cosa non avvenuta e che ha avuto come conseguenza alcune rimozioni dell’Svr.

Tuttavia alcuni avvenimenti hanno fatto cambiare la prospettiva, la valutazione politica e di conseguenza le priorità dell’intelligence.

Le priorità sono diventate l’Iraq, i sequestri e poi ancora l’Isis e la Libia. In quel contesto politico-internazionale la Russia non è stata più percepita come un paese di fatto ostile (ostile in una prospettiva di intelligence e di penetrazione nei gangli economici e politici, non certamente ostile in una logica di guerra fredda).


E chi ha buona memoria ricorderà che negli anni passati molti avevano sostenuto che bisognasse guardare con occhi diversi la Russia che non rappresentava alcun pericolo e anzi era un alleato prezioso per combattere il terrorismo islamico. Ovviamente una prospettiva e una valutazione gradita a Mosca che ha approfittato dell’arretramento delle attività di controspionaggio nei suoi confronti per portare avanti la sua politica di penetrazione con azioni di influenza, propaganda, reclutamento di fonti (leggi spie) nelle aziende sensibili e perfino nelle organizzazioni statuali.

Un arretramento informativo che ha certamente riguardato l’Italia, ma anche gran parte dei paesi dell’Unione Europea, come si è ben compreso quando tutti avevano sostanzialmente negato che Putin potesse sul serio invadere l’Ucraina.

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Non solo: parliamo degli anni nei quali – come è emerso nel Parlamento europeo – Putin è stato molto vicino ai partiti dell’estrema destra europea con la volontà di indebolire e dividere l’Unione Europea per avere ancora più spazi di manovra.


Ma l’antefatto c’era già stato, ossia il caso di Walter Biot, il capitano di fregata arrestato il 31 marzo 2021 dai carabinieri del Ros con l’accusa di spionaggio per aver passato documenti segreti a un diplomatico russo, Ostroukhov Dmitry, in cambio di cinquemila euro.

La storia, come è ovvio che sia, è largamente coperta da segreto di stato e l’inchiesta giudiziaria ne ha fatto emergere solo un segmento. Ma è evidente che decidere per l’arresto sia stata una scelta politica perché – generalmente – questi ‘incidenti’ (chiamiamoli così) si risolvono nelle segrete stanze.

Tra qualche anno si potrà capire perché si è scelto di dare grande pubblicità a questa storia. Qualcuno l’ha interpretato come segnale dell’Italia verso gli Stati Uniti, ossia un cambio di passo dopo le polemiche verso un paese troppo accondiscendente verso Putin, come del resto era evidentissimo all’inizio di questa legislatura a cominciare dal ruolo di propagandista svolto da Salvini – vice-premier e ministro dell’Interno – e dei suoi entusiastici viaggi a Mosca ad idolatrare il sistema di Putin.

Ad ogni modo il caso Biot, da un punto di vista del controspionaggio potrebbe anche essere letto come un fallimento, perché quando si è intervenuti si era già arrivati ad uno stato avanzato dei rapporti tra l’ufficiale accusato di spionaggio e il diplomatico russo. Non solo: in questi casi la scoperta di una ‘falla’ generalmente è usata a proprio vantaggio da un servizio segreto. Si possono veicolare informazioni false o depistanti tramite l’agente che ha accettato cedere alle lusinghe di un servizio segreto straniero e anche – sulla base delle richieste, in questo caso di Mosca – capire quali fossero le informazioni delle quali andavano a caccia i russi e così cercare di capire in controluce anche quale fosse il livello delle loro conoscenze.

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Tuttavia, come detto, il caso Biot è ancora indecifrabile e se ne potrà parlare forse solo tra qualche anno per comprenderne i contorni.

Ma il dato certo è che l’ondata di espulsioni a livello Ue decisa dopo l’invasione dell’Ucraina è stata in parte pura rappresaglia politica che ha riguardato anche semplici funzionari che nulla c’entravano con eventuali attività spionistiche. Ma in Italia ha colpito anche diplomatici legati a quelli già coinvolti nel caso Biot.

Che dire? Certamente con il senno di poi ogni lettura è più facile. Ma è altrettanto vero che anche con il ‘senno di prima’ c’era chi aveva avvisato che allentare l’attenzione sulle attività russe non fosse la scelta migliore e la cosiddetta lotta al terrorismo jihadista poteva diventare una sorta di cavallo di Troia.

Ma negli anni passati abbiamo vissuto con l’incubo dell’Isis e del terrorismo jihadista (incubo giustificato a dire il vero) dimenticando che nel nome della lotta a quel terrorismo avremmo potuto trangugiare bocconi avvelenati e spalancare le porte di casa a qualcuno che voleva solo rafforzare la sua posizione ai nostri danni e ai danni dell’Europa.

Ora il problema russo resta. La propaganda di Putin – abile a nascondersi e a mimetizzarsi – disorienta una fetta consistente dell’opinione pubblica e sta raccogliendo quando seminato in anni di sottovalutazioni. Il resto lo fa la miopia settaria e oltremodo idiota di coloro che considerano ogni posizione critica sull’Ucraina una scelta di campo filo-Putin.

Ma soprattutto non è stata l’espulsione dei diplomatici a risolvere il problema delle reti spionistiche russe in Europa e, segnatamente, in Italia. La presenza è ancora solida e il lavoro sarà lungo. Ogni stato deve attrezzarsi da solo visto che al momento l’ipotesi di intelligence unica europea è irrealistica. Purtroppo i paesi Ue giocano partite diverse e – come nel caso della Libia – i risultati (negativi) si sono visti con l’arrivo di russi e turchi. Sicuramente quello che serve è un riposizionamento. E forse una maggiore lungimiranza.

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