Israele, la sinistra diserta la "battaglia del Monte del Tempio"
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Israele, la sinistra diserta la "battaglia del Monte del Tempio"

Quel titolo è tutto un programma: “Una guerra sul Monte del Tempio è solo una questione di tempo”. 

Israele, la sinistra diserta la "battaglia del Monte del Tempio"
Scontri a Gerusalemme
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

20 Aprile 2022 - 17.42


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Quel titolo è tutto un programma: “Una guerra sul Monte del Tempio è solo una questione di tempo”. 

Lo svolgimento è di una delle firme storiche di Haaretz: Zvi Bar’el.

Scrive Bar’el: “I messia della destra hanno ragione quando tentano di volta in volta di irrompere in Haram al-Sharif/Monte del Tempio per stabilirvi la sovranità israeliana. Ai loro occhi, la cosa principale non sono le preghiere ma la sovranità. Controllo, proprietà, autorità. Hanno ragione quando affermano che Israele non governa il complesso sacro, poiché finché gli ebrei non possono pregare lì come vogliono, il Monte del Tempio non è nelle mani dello stato. Perché che senso ha definire lo stato come ebreo se ha accettato di condividere con i musulmani il luogo più sacro per i suoi credenti? E non solo di condividere, ma in realtà di rinunciare e ritirarsi da qualcosa che gli appartiene di diritto fin dai tempi antichi ed è registrato a suo nome nel Libro dei Libri. E questa non è l’unica contraddizione causata dallo stato religioso. Il Monte del Tempio si trova in una zona che Israele ha annesso, e finora solo l’amministrazione Trump ha riconosciuto questa sovranità. Ma anche se questa annessione fosse stata riconosciuta ovunque nel mondo, gli accordi sul Monte del Tempio sono soggetti alle promesse di Israele alla Giordania, come scritto nel loro trattato di pace del 1994, e agli accordi successivi progettati per raffreddare questo reattore religioso rovente, che esplode con la frequenza di un geyser selvaggio. Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, l’allora ministro della Difesa Moshe Dayan decise che l’amministrazione del Monte del Tempio sarebbe rimasta nelle mani del Waqf, il trust religioso giordano. Nel 2015, l’allora primo ministro Benjamin Netanyahu ha ratificato i cosiddetti accordi di Kerry, compreso il riconoscimento da parte di Israele del ruolo speciale della Giordania nella salvaguardia dei siti sacri del complesso, e ha promesso di continuare ad attuare il principio che i musulmani possono pregare sul Monte, mentre i non musulmani possono visitare, ma non pregare.

Il piano “affare del secolo” di Trump presentava un’altra importante contraddizione: Da un lato manteneva le disposizioni che erano valide fino alla sua pubblicazione, ma subito dopo passava a dire che “alle persone di ogni fede dovrebbe essere permesso di pregare sul Monte del Tempio/Haram al-Sharif, in un modo che sia pienamente rispettoso della loro religione.” Un maestro di yoga potrebbe solo sognare di eseguire tali incredibili convoluzioni.

I tentativi dei “fedeli” del Monte del Tempio di fare breccia nel Monte, e il loro sogno non solo di pregare sul Monte ma anche di ricostruirvi il Tempio – un progetto che necessariamente richiederebbe la demolizione delle moschee musulmane – presentano la questione della sovranità come il principale pretesto per la follia. Si vedono come una punta di diamante che potrebbe costringere il governo a prendere il controllo del Monte, così come sono riusciti ad “annettere” la Tomba dei Patriarchi a Hebron, e a stabilire satelliti di insediamento che hanno creato lo stato parallelo: lo stato dei coloni che ha modellato il volto dello Stato di Israele originale.

Per loro, senza il Monte del Tempio, Israele non può essere uno stato ebraico, la ragione della sua sopravvivenza evaporerà. Per loro, anche se scoppia una guerra di religione, e anche se le relazioni di Israele con i suoi vecchi e nuovi amici arabi sono interrotte, e certamente se vengono imposte sanzioni a Israele – il controllo assoluto del Monte del Tempio vale il prezzo.

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I governi israeliani si sono sempre preoccupati di negare l’affermazione dei musulmani che Israele mira a trasformare il Monte del Tempio in un luogo di culto sacro ai soli ebrei, ad allontanare i musulmani da esso o anche solo a dividere il sito.

Non c’è da meravigliarsi che i musulmani non trovino queste smentite particolarmente convincenti. La costruzione intorno al Monte del Tempio, l’acquisizione di case arabe, e soprattutto la comprensione che i governi israeliani non sono i veri sovrani nei territori occupati, ma che sono le forze messianiche (che hanno persino progettato di far saltare in aria le moschee) a determinare l’agenda – tutte queste cose hanno dato origine a ciò che gli israeliani chiamano paranoia islamica, ma che per i musulmani è una diagnosi realistica. Perché quando “leader” come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich possono essere membri della Knesset e forse anche ministri, una guerra sul Monte è solo una questione di tempo”, conclude Bar’el.

C’è vita a sinistra?

La domanda sgorga spontanea alla lettura dell’articolo, sul giornale progressista di Tel Aviv, a firma Akiva Eldar.

La coalizione conta su 60 membri della Knesset, e il suono delle elezioni è di nuovo nell’aria. Tutti sono improvvisamente un re e una regina dopo che il primo ministro Naftali Bennett ha perso il sostegno del parlamentare Idit Silman commettendo il peccato di trascurare i ranghi del suo partito.

Anche un novizio della politica come Nir Orbach capisce che ora è il momento di spremere concessioni. Orbach ha condizionato il suo sostegno al governo al fatto che gli avamposti illegali siano collegati alla rete elettrica. Non ha niente da perdere: Se i suoi colleghi della coalizione nel partito Meretz ingoiano la pillola amara, Orbach può vantarsi del suo successo con i suoi compagni di culto nella sua shul di Petah Tikva. E, se i suoi partner di sinistra decidono che quella è una pillola amara di troppo, Orbach può diventare l’eroe della destra.

E così la patata bollente arriva alla porta del Meretz. Le organizzazioni di sinistra e l’elettorato del partito hanno lanciato una campagna contro il collegamento degli avamposti alla rete. In grandi annunci pubblicati questa settimana su Haaretz, i capi di Fighters for Peace, Mehazkim, Breaking the Silence e Peace Now dicono che la mossa non riguarda un compromesso di coalizione ma la resa alla violenza e un approfondimento dell’occupazione. D’altra parte, volete passare alla storia come coloro che hanno permesso a Benjamin Netanyahu di tornare al potere e aprire le porte a Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir per prendere posto nel gabinetto?

Una piccola risposta a questa domanda è nascosta nel corpo dell’annuncio. Dice che la maggior parte degli avamposti non hanno bisogno di essere collegati alla rete perché lo sono già. Inoltre, gli alti professionisti hanno recentemente approvato la fornitura di energia elettrica agli avamposti costruiti su terreni statali. Inoltre, il procuratore di stato ha fornito un parere legale che rende possibile collegare alla rete i villaggi palestinesi dell’Area C e molti di loro lo faranno.

Tutto questo sta accadendo in un momento in cui la leadership di Meretz sta esortando la sinistra a sostenere attivamente il partito, promettendo di continuare la lotta per i valori della pace e della democrazia. Pertanto, il leader del partito Nitzan Horowitz dovrebbe chiarire a Bennett che anche la sinistra ha dei principi e persino delle linee rosse.

Ecco una lista di alcune delle richieste che Meretz dovrebbe presentare al primo ministro: Sospensione dei piani di costruzione nei quartieri gerosolimitani di Givat Hamatos e Atarot, che sono progettati per frustrare la creazione di uno stato palestinese con la sua capitale a Gerusalemme Est; l’immediata evacuazione degli avamposti che sono stati costruiti negli ultimi anni su terreni privati palestinesi; la concessione di permessi di costruzione ai palestinesi che vivono nell’Area C; impedire ulteriori sfratti di famiglie da Sheikh Jarrah attraverso espropri di terre e concedendo diritti ai suoi residenti palestinesi; dispiegare l’esercito per difendere gli attivisti palestinesi e per i diritti umani contro la violenza dei coloni e presentare accuse contro coloro che sono sospettati di ferire persone innocenti o danneggiare proprietà; e una forte riduzione del numero delle detenzioni amministrative.

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Gli attivisti di sinistra non minacciano i membri della Knesset e non attaccano i ministri del Meretz. Ma Bennett deve tener conto del fatto che essi affrontano anche la pressione dei loro elettori frustrati. Con una solida fazione della Knesset di sei membri – un numero simile a quello su cui il primo ministro può contare suo malgrado – Meretz ha il diritto e persino il dovere di usare il suo potere per ritardare la scivolata di Israele verso l’apartheid e stare al fianco dei palestinesi che soffrono per le ingiustizie dell’occupazione”.

Così Eldar

Quale “cambiamento”?

Del “governo del cambiamento” fa parte Tamar Zandberg, leader di Meretz, la sinistra pacifista israeliana, ministra della Protezione ambientale. Sul tema della pace così si è espressa in una recente conversazione con chi scrive: “Quando parlo di subalternità alla narrazione della destra, mi riferisco anche a questo. Come se la pace fosse altra cosa rispetto ai problemi di tutti i giorni, una sorta di bene di lusso per i ricchi borghesi di Tel Aviv. Qui sta un nostro limite. Non aver fatto intendere che pace e giustizia sociale sono le due facce di una stessa medaglia. Perché raggiungere una pace giusta con i palestinesi significa destinare una parte importante del nostro bilancio statale dalla difesa all’istruzione, alla sanità pubblica, alla ricerca. Riconosco un nostro limite, grave, ma questo non significa che questa idea di pace sia tramontata. La pace non è, come la destra ripete, un cedimento al terrorismo e. a chi vorrebbe buttare a mare gli ebrei e cancellare Israele dalla carta geografica del Medio Oriente. La pace è uno dei pilastri su cui rifondare la nostra democrazia. Se questo significa ‘testimonianza’, ne vado fiera”.  

Ora, però, questa “testimonianza” è parte del governo. FE lo da un tempo sufficiente per stilare un primo bilancio. arla pesare è un obbligo. Morale, oltre che politico. Se non si vuole infliggere l’ennesimo tradimento ad un elettorato di sinistra che non si accontenta, giustamente, di aver defenestra “Re Bibi” se poi si continua a fare una politica “alla Netanyahu” senza Netanyahu. “Il cambiamento deve essere riempito di contenuti –ebbe a dire a Globalist Yael Dayan, scrittrice, più volte parlamentare laburista, figlia di uno dei miti d’Israele, il generale Moshe Dayan -. Sappiamo bene che a tenere insieme gli otto partiti è l’aver praticato lo slogan ‘tutti, tranne Bibi’. Ora, però, occorre evitare che la politica del governo sia tutta orientata a destra. In questo senso, l’atteggiamento da tenere nei confronti dei coloni e delle loro frange più estreme, è un banco di prova per le forze di centro e di sinistra che sono al governo. Cedere sulla colonizzazione – conclude Yael Dayan – significa rinunciare ad esistere. Sarebbe un suicidio politico per una sinistra che prova a rialzare la testa”.

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Un suicidio in atto. Perché, comunque la si rivolti, la realtà politica d’Israele è segnata, nel presente come nel futuro più o meno ravvicinato, da uno scontro tra le destre. 

Lo sconforto di Abraham

“Nell’attuale realtà politica israeliana non c’è alcun dibattito politico tra opposti schieramenti. Le parole sinistra e destra rimbalzano da tutte le parti vuote di significato, utili solo come arma per infangare gli oppositori. Il termine ‘sinistra’, in particolare, viene costantemente utilizzato dagli attivisti di destra, specialmente quelli religiosi, come condanna automatica di chi non appoggia il primo ministro. Nell’attuale realtà politica israeliana non c’è invece alcun dibattito politico tra opposti schieramenti. Le parole sinistra e destra rimbalzano da tutte le parti vuote di significato, utili solo come arma per infangare gli oppositori. Il termine «sinistra», in particolare, viene costantemente utilizzato dagli attivisti di destra, specialmente quelli religiosi, come condanna automatica di chi non appoggia il primo ministro. Per evitare la prospettiva di un processo Netanyahu, da leader politico, si è trasformato in quello di una setta che, mediante minacce e lusinghe, argina l’opposizione dei suoi membri mentre il sistema politico si piega davanti a lui per garantirgli un’eventuale immunità annullando elezioni appena tenute, disperdendo il parlamento e indicendo nuove consultazioni elettorali entro tre mesi.
Nemmeno i più anziani ed esperti fra noi erano pronti a questo scenario di corruzione e di aperto attacco politico dei partiti di governo allo stato di diritto per far sì che il primo ministro non finisca in prigione. E tutto questo con il sostegno di una folla acclamante. Di fronte a tale realtà proviamo un senso di disgusto e di prostrazione. Non è più questione di posizioni politiche diverse e nemmeno di tendenziose panzane raccontate dal primo ministro e dai suoi assistenti che si succedono a ritmo incessante. Questa è una chiara e spudorata violazione dei valori di solidarietà che erano alla base della promessa sionista di riunire ebrei di diversa provenienza e livello in uno stato democratico.

Negli anni ’70 del secolo scorso due ministri del governo laburista furono sospettati di avere preso tangenti e ancora prima di essere processati si suicidarono per la vergogna. Il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin nel 1977 diede le dimissioni perché accusato di aver mantenuto un piccolo conto corrente all’estero, cosa allora vietata ai cittadini israeliani. Il presidente Moshe Katsav fu condannato a sette anni di carcere da un giudice distrettuale arabo per aver sessualmente molestato la sua segretaria. Il primo ministro Ehud Olmert finì in carcere per aver ricevuto finanziamenti illeciti per la sua campagna elettorale. Fino a ieri potevamo consolarci con il fatto che nella palude politica israeliana ci fossero ancora principi di giustizia e di uguaglianza. Ma ecco che ora il primo ministro calpesta spudoratamente la legge per salvare la propria pelle e conduce il paese a una nuova, aspra e costosa campagna elettorale a poche settimane di distanza dalla precedente. C’è quindi da meravigliarsi che persone come me, indipendentemente dalla loro posizione politica, provino un senso di avvilimento e di paralisi?”.

Queste considerazioni fanno parte di un lungo articolo di Abraham Bet Yehoshua, il grande scrittore israeliano, pubblicato da La Stampa l’8 agosto 2019.  Quasi tre anni dopo, le cose sono ulteriormente peggiorate. E l’avvilimento di Yehoshua si è trasformato nel Grande sconforto condiviso da quella parte d’Israele che sogna una sinistra che non c’è. 

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