L’asse Macron-al Sisi alla luce dell’Operazione Sirli. Globalist ne parla con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Sul legame r tra il presidente francese e il suo omologo egiziano, Globalist ebbe modo di ragionare con Noury in occasione della pubblicazione di un rapporto di Amnesty International sulla vendita di armi all’Egitto da parte della Francia.
“Un rapporto di Amnesty International mette in evidenza il ruolo della Francia – rimarcò in quell’occasione Noury – sostenendo che veicoli blindati forniti da Parigi sono stati usati con esiti mortali dalle forze di sicurezza egiziane per disperdere ripetutamente e violentemente le proteste e stroncare il dissenso. Tra il 2012 e il 2016 la Francia ha fornito all’Egitto più armi di quante gliene aveva inviate nei 20 anni precedenti. Nel 2017 ha trasferito al paese nordafricano forniture militari e di sicurezza per un valore di oltre un miliardo e 400.000 euro. Il 14 agosto 2013 blindati Sherpa forniti dalla Francia vennero usati dalle forze di sicurezza egiziane per i sopra citati massacri delle piazze cairote..”.
Ora le rivelazioni sull’Operazione Sirli. L’intervista parte da qui.
Cosa racconta l’Operazione Sirli quanto al rispetto dei diritti umani e alla centralità, non solo per Parigi, del regime di Abdel Fattah al-Sisi nelle relazioni euromediterranee?
Nel periodo iniziato con il colpo di Stato di al-Sisi, luglio 2013, l’Unione Europea e i suoi singoli Stati non hanno tenuto minimamente conto dell’aggravarsi della situazione dei diritti umani. L’UE è diventata un gigantesco luogo di competizione tra i vari Stati a chi blandiva di più il presidente egiziano, a chi gli vendeva più armi. Le rivelazioni dell’Operazione Sirli ci dicono che il rapporto privilegiato di questi anni con Il Cairo è stato quello di Parigi. Nonostante l’Italia abbia fatto i salti mortale per essere lei in questo privilegiato, la realtà dimostra che lo è stata la Francia.
Tuttavia l’Italia ha continuato a considerare il presidente egiziano, e il regime di cui è a capo, come un “elemento stabilizzatore” in Libia e nel Mediterraneo, come più volte ha ribadito il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio…
L’idea che un regime sia stabile e “stabilizzante” basandosi su tutto un sistema repressivo all’interno e su operazioni che tutto meno che stabile hanno reso in quest’ultimo decennio un Paese come la Libia, è una idea molto campata in aria. Non c’è stabilità dove si violano i diritti umani e prima o poi un Paese che reprime così tanto la sua popolazione, inevitabilmente diventa un fattore d’instabilità.
E questa instabilità del e nel Mediterraneo, con il totale scempio dei diritti umani, è testimoniata anche dal finanziamento dell’Italia alla cosiddetta Guardia costiera libica. Insomma, Macron e il suo patto di sangue con al-Sisi, l’Italia che finanzia un’associazione a delinquere in divisa…E questa sarebbe l’Europa dei diritti?
Di nuovo, sono strategie bilaterali, Francia con l’Egitto, Italia con Libia, Italia con l’Egitto, la Francia con la Libia, che di tutto si occupano meno che della tutela dei diritti umani. Per quanto riguarda l’Italia, come Amnesty International continuiamo a sostenere che finanziano e rinnovando i finanziamenti nell’ambito della cooperazione libica alla cosiddetta Guardia costiera di quel Paese, ci rende complici di crimini di diritto internazionale. Quello che più in generale andrebbe sottolineato è che sta prendendo sempre più spessore la politica del tenere un piede dentro. E quindi, la Francia che tiene più di un piede dentro in molti luoghi, attraverso forniture di armi, accordi segreti che poi diventano pubblici. Quanto all’Italia, tiene il piede dentro la Libia attraverso un accordo scellerato e sciagurato che la vede protagonista di complicità in gravi violazioni dei diritti umani. Ora, le rivelazioni dell’Operazione Sirli ci dicono che per quanto l’Italia abbia cercato di essere il primo partner dell’Egitto, questo tentativo non ha avuto successo. E forse, anche sulla base di questa constatazione oggettiva, si potrebbe cominciare ad attuare un’altra politica…
Quale?
Quella del piede fuori, cioè che non si fanno accordi su temi importanti e sensibili come quelli che hanno a che fare con potenziali violazioni dei diritti umani, con Paesi che quei diritti li violano platealmente. Il che vuol dire basta alla cooperazione con la Libia in tema di immigrazione, basta alla cooperazione con l’Egitto per quanto riguarda tutto il tema dei rimpatri, basta con i programmi che in questi anni hanno visto formazione di vari apparati dello Stato, giudiziario, di polizia etc., da parte dell’Italia verso l’Egitto. E basta soprattutto alla fornitura di armi.
Macron che stringe il patto con al-Sisi, l’Italia che finanzia la Guardia costiera libica, l’Europa che riempie di miliardi la Turchia di Erdogan, un altro che di diritti umani fa scempio quotidiano. Quando finirà, se finirà un giorno, questo cercare sempre da parte dell’Europa di autocrati e regimi liberticidi che fanno il lavoro sporco al posto nostro?
Sarebbe facile dire che finirà quando non daremo più i soldi per violare i diritti umani. L’architrave su cui tutto questo sistema si regge è sempre la solita, vale a dire le politiche dell’Unione Europea in tema di migrazione e asilo. Politiche che si fondano sull’esternalizzazione, un termine che spiega proprio tutto: pagare un soggetto all’esterno all’UE perché trattenga migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Finché queste politiche verteranno sulla esternalizzazione anziché sull’accoglienza, ordinata, regolare e attraverso percorsi legali e sicuri, noi avremo questo scenario: pagare Paesi, rafforzandone gli aspetti più autoritari, senza per questo risolvere neanche quel problema, ma semplicemente mettendolo un po’ più lontano dai nostri occhi.