Il “Rinascimento” saudita raccontato da Amnesty International. Globalist ne ha discusso con Riccardo Noury, portavoce i Amnesty International Italia.
Il senatore Matteo Renzi ha affermato e ribadito che in Arabia Saudita è in atto un vero e proprio “Rinascimento”. Risulta anche a Amnesty International?
Se questa espressione include anche aspetti riguardanti i diritti umani, direi che è un puro ossimoro. Non c’è nulla nella situazione attuale dei diritti umani in Arabia Saudita che possa far pensare ad un miglioramento: le carceri sono piene di dissidenti, in particolari di avvocati, difensori dei diritti umani e di attiviste che hanno combattuto anni per ottenere riforme che hanno posto fine a molti aspetti della discriminazione nei confronti delle donne, purtroppo stanno in galera per aver lottato per quelle conquiste. La pena di morte continua ad essere applicata in modo massiccio. E questo riguarda solo il fronte interno. Stiamo parlando di un Paese che ormai saranno sei anni a marzo, bombarda lo Yemen, e quindi direi che si possa parlare, a ragion veduta, di un periodo ancora oscuro per quanto riguarda i diritti in Arabia Saudita.
Un’altra affermazione del leader di Italia Viva è che l’Arabia Saudita nello scenario mediorientale sia un argine all’estremismo integralista. Non è anche questo un ossimoro?
Si potrà anche dire che l’Arabia Saudita del 2021 non è quella del 2001, dunque non è l’incubatrice ideologica dei terroristi che compirono i crimini contro l’umanità alle Torri Gemelle l’11 settembre del 2001. Ma se veniamo ad anni più recenti, quello che va evidenziato è che l’Arabia Saudita ha finanziato i gruppi più estremisti e crudeli islamisti nel conflitto in Siria. Che decapita e mette a morte attivisti della minoranza sciita all’interno della provincia orientale, dunque all’interno stesso dell’Arabia Saudita. Che ha invaso il Barhein nel 2011 dove c’era una rivolta della minoranza sciita. Che da sei anni combatte una guerra contro un gruppo estremista sciita che controlla parte dello Yemen. Affermare che Riyadh sia un baluardo di moderazione sembra un po’ singolare.
Tanto più singolare è che nel momento in cui Renzi fa questo elogio del Regno Saud, il Governo italiano, su pressione delle organizzazioni pacifiste e per i diritti umani, tra le quali Amnesty, ha preso una decisione importante: la revoca della vendita di armamenti all’Arabia Saudita.
E’ stata indubbiamente una decisione importante, arrivata dopo una campagna portata avanti da organizzazioni della società civile che è iniziata poco dopo che la prima bomba saudita venisse sganciata sullo Yemen. Sappiamo che negli anni immediatamente successivi all’inizio, quasi sei anni fa, del conflitto in Yemen, bombe italiane sono state autorizzate per l’esportazione verso l’Arabia Saudita, che queste sono state utilizzate per colpire obiettivi civili in Yemen. Quella assunta nei giorni scorsi dal Governo italiano era una decisione da lungo tempo dovuta. Siamo contenti che sia stata presa, contenti che ci sia stato, almeno a partire dal luglio del 2019, un’accelerazione sia dal punto di vista del Governo che del Parlamento per arrivare a questo risultato.
Te la butto già brutalmente: perché l’Italia ha questo atteggiamento ossequioso, accondiscendente, verso autocrati come Erdogan, al-Sisi e lo stesso principe ereditario saudita, tanto plaudito da Renzi, Mohammad bin Salman?
C’è sempre un tema che domina sugli altri. E questo tema non è mai quello riguardante i diritti umani. Intanto, si tratta di Paesi , in tutti e tre i casi che hai citato, che rappresentano clienti importanti dal punto di vista della fornitura di armi. Sono considerati partner su aspetti che non riguardano i diritti umani, anzi che ne presuppongono la violazione: penso al ruolo della Turchia come soggetto che è stato lautamente pagato per fermare le partenze di migranti verso la frontiera marittima orientale dell’Unione europea. All’Egitto viene attribuito un ruolo di soggetto stabilizzatore nella sua area, con particolare riferimento alla Libia. E alla fine di tutto questo, c’è un enorme equivoco sul significato dell’aggettivo “moderato”. C’è una tendenza a credere, e questo vale soprattutto per quanto riguarda l’Arabia Saudita, ad una narrazione assolutamente finta…
Vale a dire?
Una narrazione che presuppone di investire grandi somme di denaro in campagne di pubbliche relazioni, in organizzazioni di forum, e questa narrazione è quella che si nutre dello “sport washing”, per cui si punta a investire nello sport per far dimenticare la situazione interna. E da ultimo, e questo secondo me è ancora più grave, nel “pink washing”, cioè mostrare questa leadership illuminata o “rinascimentale” del principe bin Salman come quello che ha emancipato le donne nel suo Paese. La prova contraria è che le vere riformiste, le vere “rinascimentali”, quelle che hanno iniziato decenni fa a sfidare il divieto di guidare, stanno in galera. In galera per un reato che potremmo dire di “oscuramento reputazionale”, cioè hanno avocato a sé quelle riforme che MbS pretende che il mondo creda che le abbia fatte lui.
A proposito di acquiescenza. Amnesty International Italia è stata fin dal primo giorno a fianco di Paola e Claudio Regeni, i genitori di Giulio, per chiedere verità e giustizia. La risposta la si è avuta dalla magistratura e non dalla politica, tanto meno dal Governo italiano. Anche qui vale la genuflessione ad un presidente, Abdel Fattah al-Sisi, che viene considerato, pure lui come Mbs, uno stabilizzatore del Medio Oriente?
Vale lo stesso discorso. Gli storici parlerebbero di “appeasement”, cioè di una politica basata sull’accettazione a tutti i costi dell’interlocutore. Sul dimenticare le violazioni dei diritti umani, sul mantenere buoni rapporti a tutti i conti ed evitare di disturbare. I risultati li abbiamo sotto gli occhi: da qualunque punto di vista si voglia esaminare, e torno ai tre Paesi menzionati, Egitto, Arabia Saudita, Turchia, c’è una complicità indiretta nel peggioramento della situazione dei diritti umani, in tutti e tre quei Paesi. Perché nel momento in cui non si parla di diritti umani, si fa il gioco dell’interlocutore che li inibisce nei modi più brutali. Nel caso dell’Arabia Saudita anche facendo a pezzi un giornalista dissidente, Jamal Khashoggi, il regime “rinascimentale” zittisce ogni forma di dissenso.