Noury: "Il governo cambi strategia con chi calpesta i diritti umani: basta dare armi all'Egitto"

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia sull’ultima provocazione della Procura egiziana sul caso Regeni: "Va anche richiamato l'ambasciatore"

Paola e Claudio Regeni
Paola e Claudio Regeni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Dicembre 2020 - 16.09


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L’ultima provocazione egiziana. Globalist ne parla con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.

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Qual è il tuo giudizio sull’ultima provocazione della Procura egiziana sul caso Regeni?

Io non sono sorpreso in linea generale, ma sono meravigliato da alcuni dettagli. E cioè l’idea che si torni a parlare del depistaggio principale, quello dell’aprile 2016, con una presunta banda di rapinatori, di cittadini stranieri, e lo riproponga la Procura egiziana come la sua verità. Questo l’ho trovato offensivo nei confronti naturalmente del lavoro della Procura di Roma, e ancora di più nei confronti della famiglia Regeni.

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A proposito di Paola e Claudio Regeni, i genitori di Giulio. In una nota, hanno stigmatizzato quanto affermato dalla Procura egiziano, e hanno ribadito, con la determinazione e la sobrietà che hanno sempre caratterizzato il loro agire, che questa battaglia di verità e giustizia riguarda anche i tanti Giuli incarcerati in Egitto. Ti chiedo: cosa è lo Stato egiziano sotto al-Sisi in quanto a rispetto dei diritti umani?

Possiamo fare un ossimoro: uno Stato di emergenza permanente o uno Stato di eccezione normalizzato. Così possiamo descrivere un sistema repressivo a tutto tondo, che sta riducendo al silenzio ogni voce dissidente e che in queste ultime settimane si sta accanendo in particolare con le organizzazioni per i diritti umani, una, soprattutto, Iniziativa egiziana per i diritti della persona, una delle più prestigiose Ong egiziane, nata nel 2002, i cui dirigenti, a partire dalla metà di novembre, sono stati via via arrestati in 3, compreso il direttore generale, Gasser AbdelRazak, in quella che è apparsa in tutta evidenza un’azione di rappresaglia giudiziaria per un incontro che questa Ong aveva avuto con una decina di rappresentanti di ambasciate occidentali all’inizio del mese. Un incontro nel quale evidentemente si era parlato della situazione dei diritti umani in Egitto. E siccome la strategia repressiva del Governo egiziano si basa sul non consentire che si parli di quello che accade nel Paese con media internazionali, con rappresentanti diplomatici, ecco che è scattata questa rappresaglia. E sono tuttora in carcere, i nostri 3 colleghi e amici, con accuse di terrorismo. Questo è un fatto gravissimo. Sono difensori dei diritti umani, non terroristi! Il problema è che anche per loro inizia questo stillicidio di udienza in cui si rinnova la detenzione preventiva, e la cosa possibilmente ancora più grave è che se una Ong è accusata di terrorismo, tutti coloro che hanno collaborato o ruotato attorno a questa Ong, sono raggiungibili se non già raggiunti dalla stessa accusa. Mi riferisco, in particolare a Patrick Zaki. Nelle ultime settimane c’è stato un salto di qualità in questa escalation repressiva, di cui sembra che il Governo italiano non tenga minimamente conto, non si renda conto dell’urgenza e della gravità della situazione.

A proposito del Governo italiano. Nell’audizione lo scorso luglio alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Regeni, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha affermato, cito testualmente: “L’obiettivo è far incontrare le due Procure (di Roma e del Cairo, ndr) dal vivo, questo è il nostro prossimo obiettivo. Incontro che deve far progredire l’inchiesta. C’è un percorso che portiamo avanti come Governo, non dobbiamo lasciare soli i nostri inquirenti”. Come si dovrebbe tradurre questa affermazione del titolare della Farnesina, alla luce degli ultimi eventi?

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Considerare un passo avanti il passaggio dall’online all’offline mi sembra quanto meno un po’ riduttivo. Il comunicato congiunto delle due Procure di ieri, che mai è stato così disgiunto perché contiene due approcci completamente opposti, due conclusioni totalmente opposte, dovrebbe sollecitare il Governo italiano ad abbandonare completamente quella strategia improduttiva basata sul manteniamo rapporti con il nostro partner “ineludibile”, e qui cito l’ex ministro degli Esteri Alfano, perché poi qualcosa di buono succederà. Qualcosa di buono non è mai successo, al contrario sta accadendo qualcosa di estremamente negativo. E’ ora di cambiare strategia, iniziando con l’interrompere ogni fornitura di materiale militare, all’Egitto, proseguendo con un richiamo, temporaneo per il tempo che sarà necessario, dell’ambasciatore Cantini, e manifestando ogni segnale possibile di malcontento. Segnali che non sono mai arrivati. In questi mesi ci è stato sempre detto no, ma noi nei parliamo con la nostra controparte egiziana, non manca occasione in cui solleviamo dossier sui diritti umani. I risultati sono zero, completamente.

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