Italia e i migranti: la visione securista che uccide la sinistra

Esternalizzazione delle frontiere: questo imperativo per i governi “contiani” porta con sé l’accettazione dei lager in Libia, e magari pure in Tunisia, nei quali vengono deportati i migranti respinti in mare

Migranti in Libia
Migranti in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

31 Luglio 2020 - 16.26


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Esternalizzare e securizzare: sono i due dogmi anti-migranti che legano il Conte I al Conte II. Disposti a tutto pur di non farli approdare in Sicilia. Disposti a non far uscire le motovedette della nostra Guardia costiera fuori dalle acque territoriali italiane, per lasciare “mare libero” all’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica. Esternalizzazione delle frontiere: questo imperativo categorico per i governi “contiani” porta con sé l’accettazione di fatto dei lager in Libia, e magari pure in Tunisia, nei quali vengono deportati i migranti respinti in mare.

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Il prezzo dell’esternalizzazione

L’Italia – annota Annalisa Camilli, in un documentato report su Internazionale ha attive in Libia quattro missioni militari: la missione bilaterale di supporto alla Libia, il supporto alla guardia costiera libica, nsmil (la missione dell’Onu in Libia) ed Eubam (la missione dell’Unione europea per il controllo delle frontiere). Inoltre è presente nel Mediterraneo centrale con le operazioni marittime Mare sicuro della marina militare, con la missione europea Eunavfor Med Irini e con la missione Nato Seaguardian. Dal 2017 Roma ha speso in Libia un totale di 784,3 milioni di euro, di cui 213,9 in missioni militari. Nel complesso i fondi sono aumentati di anno in anno con il doppio obiettivo di fermare l’arrivo di migranti e di accrescere l’influenza italiana nell’ex colonia nel caos dal 2011, dopo la caduta dell’ex dittatore Muammar Gheddafi. Per l’addestramento e il sostegno alla guardia costiera libica lo stanziamento di fondi è passato dai 3,6 milioni di euro nel 2017 ai dieci milioni previsti nel 2020. In questi anni è cambiato in sostanza solo l’impegno su Eunavfor Med. La missione navale europea Sophia (attiva dal 2015) è stata sostituita nel 2019 dalla missione Irini, che ha cambiato obiettivo e si è concentrata sul pattugliamento della parte orientale della costa libica. Alcune funzioni che prima erano di Sophia sono state passate alla Guardia costiera libica.  Per quanto riguarda Mare sicuro si legge nel documento che “a seguito dell’evoluzione della crisi libica, si rende necessario potenziare il dispositivo aeronavale, al fine di contribuire ad arginare il fenomeno dei traffici illeciti e rafforzare le capacità di controllo da parte delle autorità libiche, con assetti con compiti di presenza, sorveglianza, sicurezza marittima, raccolta informativa e supporto alle autorità libiche”.

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“In Libia – denuncia Oxfam in un recente report- al momento si trovano oltre 620 mila migranti e rifugiati, in buona parte vittime di rapimenti, detenzioni arbitrarie, stupri e lavori forzati ad opera di bande armate e fazioni in lotta. Si registrano già oltre 1.400 contagi da coronavirus, ma potrebbero essere molti di più. Da tre anni denunciamo, insieme ad altre organizzazioni umanitarie, gli orrori dei lager libici che avvengono con la connivenza e il finanziamento italiano. Eppure il governo continua ad aumentare le risorse a favore delle autorità libiche e della Guardia costiera che da molte inchieste risulta direttamente collegata al traffico di esseri umani. Una vergogna che si ripete. Migliaia di disperati sono sottoposti a condizioni igieniche disumane nei centri di detenzione, ammassati uno sull’altro e dunque esposti al contagio da Covid-19. L’Italia dovrebbe lavorare a livello europeo per ripristinare le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, non lasciandole alla sola gestione delle organizzazioni umanitarie che si battono ogni giorno per salvare vite in mare. Allo stesso tempo serve un immediato Piano di evacuazione dai centri di detenzione, come lo stesso ex ministro dell’interno Marco Minniti, tra gli ideatori dello sciagurato accordo Italia-Libia, ha tra l’altro più volte proposto”.

“Da tre anni denunciamo, insieme ad altre organizzazioni umanitarie, gli orrori dei lager libici che avvengono con la connivenza e il finanziamento italiano. –  afferma Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Eppure il Governo aumenta le risorse (47,2 nel 2017, 51,3 nel 2018, 56,3 nel 2019 e 58,3 del 2020) a favore delle autorità libiche e della Guardia costiera che da molte inchieste risulta direttamente collegata al traffico di esseri umani”.

Oxfam chiede inoltre l’immediata istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta che faccia luce sui naufragi avvenuti nel Mediterraneo centrale, sulle palesi violazioni dei diritti umani compiute in Libia e sulle responsabilità politiche italiane a queste collegate. Chiede infine che ogni forma di futura collaborazione sia subordinata ad un più ampio negoziato internazionale, in grado affrontare la questione della detenzione arbitraria e di tutelare i diritti fondamentali di migranti e rifugiati. 

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Nei giorni scorsi, l’Associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione e il Cairo institute for Human rights studies hanno presentato una denuncia contro Italia, Malta e Libia presso il Comitato per i diritti umani dell’Onu. La denuncia è stata depositata per conto di due migranti il cui diritto di fuggire dalla Libia è stato violato dall’intercettazione e dal respingimento effettuati dalla cosiddetta Guardia costiera libica sotto la responsabilità delle autorità italiane e maltesi. Una pratica ormai diffusa che si sta ripetendo anche in queste settimane. A sostegno della causa si sono schierate le ong Alarm phone, Sea Watch e Mediterranea saving humans.

L’analisi di Livi-Bacci

L’opinione pubblica è disorientata, frastornata dall’uso partigiano che da anni viene fatto della questione migratoria, intimorita da immaginari spettri, disinformata. La classe dirigente, ma non mi riferisco solo a quella politica, è esitante, e lo è anche quella parte che considera l’immigrazione un vantaggio, e non un pericolo, per la società. Può darsi che l’epidemia, e lo spettro delle sue conseguenze catastrofiche, induca l’opinione pubblica a guardare al fenomeno migratorio con maggiore realismo e permetta alla politica di trovare il coraggio di fare ciò che deve essere fatto nell’interesse di tutti. E’ più facile però che si trovi un compromesso al ribasso”, dice a Globalist uno dei più autorevoli demografi italiani e internazionali: il professor Massimo Livi Bacci.

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Docente di Demografia alla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Firenze, dal 1973 al 1993, Livi-Bacci  è stato segretario generale e presidente della International Union for the Scientific Study of Population (IUSPP), società scientifica di studi demografici nota in tutto il mondo, di cui è poi divenuto presidente onorario. Tra i suoi numerosi saggi, ricordiamo “In cammino. Breve storia delle migrazioni” (Il Mulino, 2019); “Storia minima delle popolazioni del mondo” (Il Mulino, 1016); “Il pianeta stretto”( Il Mulino, 2015).

“C’è un caleidoscopio di forze politiche, in Italia e in Europa, che manipola la questione migratoria a puri fini elettorali – rimarca ancora Livi-Bacci,  Che distorce i fatti, alimenta la paura per bassi fini elettorali.  E che spesso, purtroppo, è vincente. Che deliberatamente confonde il normale fenomeno migratorio, mosso da fattori economici e di convenienza, e attratto da una forte domanda di lavoro da parte delle famiglie e delle imprese, con l’eccezionalità dei flussi provocati dalle guerre e dai conflitti. Facendo di ogni erba un fascio. Ora, sulla prima forma di migrazione, che sicuramente va governata bene, sono legittimi punti di vista anche molto diversi. E’ legittimo chiudersi, ed è legittimo aprirsi, e il dibattito politico deve prodursi soppesando le convenienze delle varie posizioni. Ma sul secondo tipo di migrazione – quella prodotta dalla fuga dalla guerra – non c’è dibattito che tenga: le convenzioni internazionali, e prima di esse, il senso di civiltà, impongono la civile accoglienza”.

Milioni di persone continuano a fuggire dall’inferno di guerre, sfruttamento, pulizie etniche, regimi sanguinari, povertà assoluta. Di fronte a questo dato di realtà, non è riduttivo  – chiediamo al professor Livi-Bacci – continuare a parlare di “emergenza” umanitaria?

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“Guardiamo la carta geografica – risponde l’illustre demografo -: l’Europa confina a oriente e a sud con una vastissima area dove i conflitti armati sono di casa, oramai da anni, dall’Ucraina all’Iraq, dalla Siria alla Libia.. Un’area che a sua volta è contigua con vaste regioni altrettanto lacerate e instabili: Afghanistan, Yemen, Sudan, Corno d’Africa, e altri Paesi della fascia sub-sahariana. I milioni di rifugiati o dislocati, e le masse impoverite dai conflitti cercano disperatamente vie di uscita alla loro situazione disperata. Giordania e Libano, con una popolazione uguale a quella della Lombardia, ospitano più di 2 milioni di rifugiati, e il loro numero è in aumento. L’Italia e l’Europa debbono rendersi conto che non stiamo vivendo una “emergenza” destinata a riassorbirsi in poco tempo, ma una situazione quasi strutturale che è destinata a protrarsi – magari con modalità e numeri diversi – per parecchi anni.  E’ fin troppo scontato dire che occorre prepararsi con un’azione che si dispieghi nel lungo periodo e non con interventi “emergenziali”. Ovviamente l’azione deve essere politico-diplomatica, ma anche organizzativa. Non sarei sorpreso se il numero di rifugiati in Europa si trovasse raddoppiato o triplicato nel giro di poco tempo.

L’ipocrisia europea

Livi-Bacci non è tenero con Bruxelles. E ne ha ben donde. Sui migranti, l’Unione europea è la culla dell’ipocrisia, delle lacrime di coccodrillo, degli impegni proclamati e mai portati a termine, di conferenze spacciate per risolutive e mai rivelatesi tali.

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L’ultima, in ordine di tempo ma non di gravità, è questa dichiarazione: “Non ci sono respingimenti dei migranti da parte dell’Italia o di Malta verso la Libia. La guardia costiera libica interviene nelle sue acque di competenza, e la collaborazione dell’Unione europea con la guardia costiera libica ha l’obiettivo di salvare vite”. Così un portavoce della Commissione Ue, ribadendo che l’Unione non considera la Libia come un Paese “sicuro”, e proprio per questo motivo sta lavorando per trovare una soluzione politica alla crisi nel Paese. 

“Siamo al corrente” dell’intensificarsi degli sbarchi di migranti in Sicilia, e “seguiamo da vicino” anche quanto accade anche nei centri di accoglienza. “A Lampedusa in particolare le difficoltà sono significative”, ha proseguito il portavoce della Commissione Ue rispondendo ad una domanda. “In prima battuta è chiaramente compito dello Stato membro occuparsi di tali difficoltà – ricorda il portavoce – ma la Commissione europea, che ha già dato sostegno all’Italia, resta disponibile se ci saranno ulteriori richieste”.

La Commissione europea prosegue “nel coordinamento dei ricollocamenti dei migranti salvati in mare. Attualmente stiamo coordinando una serie di operazioni. I contatti con gli Stati membri sono in corso”, ma “non c’è un numero sostanziale di Paesi che partecipano. Vista l’urgenza di continuare a trovare soluzioni nel periodo estivo, incoraggiamo fortemente tutti gli Stati a partecipare”.

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Siamo al copia-incolla di dichiarazioni ripetute decine di volte, soprattutto di estate, quando le rotte del Mediterraneo si affollano di barche e gommoni stipati di disperati alla mercé dei trafficanti di esseri umani, spesso in combutta con le autorità libiche.

 Il drammatico record di mortalità

Migliaia di rifugiati e migranti muoiono e molti subiscono gravi violazioni dei diritti umani durante i loro viaggi lungo le rotte dall’Africa occidentale e orientale alle coste nordafricane del Mediterraneo, tra le più mortali al mondo. E ciò che si evince dal rapporto pubblicato dall’agenzia Onu per i rifugiati Unhcr, con la collaborazione del Mixed Migration Centre (Mmc) del Danish Refugee Council, intitolato “In questo viaggio, a nessuno importa se vivi o muori”.  Per gli episodi denunciati si leggono espressioni come “inenarrabili brutalità” e “disumanità”.

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Il rapporto segnala che almeno 1.750 migranti e rifugiati hanno perso la vita nel 2018 e nel 2019 durante questi viaggi. Si tratta di un tasso di almeno 72 decessi al mese, un andamento che rende la rotta una delle più pericolose al mondo per rifugiati e migranti. Per quanto riguarda il 2020, sebbene la maggior parte delle testimonianze e dei dati siano ancora in fase di ricezione, è certo che siano almeno 70 i rifugiati o migranti che hanno già perso la vita nell’arco dell’anno, tra cui almeno 30 persone uccise per mano di trafficanti a Mizdah, in Libia, a fine maggio. Secondo il rapporto, circa il 28 per cento delle morti registrate nel 2018 e nel 2019 lungo questa rotta si è verificato nel corso dei tentativi di traversata del deserto del Sahara. Altre località potenzialmente mortali comprendono Sebha, Cufra, e Qatrun nella Libia meridionale, l’hub del traffico di esseri umani Bani Walid a sud-est di Tripoli, e numerose località lungo la parte di rotta che attraversa l’Africa occidentale, tra cui Bamako e Agadez.

Ps. Mentre nel Mediterraneo e nei lager libici si continua a morire, la maggioranza di governo è alla ricerca, forse raggiunta, di un faticoso compromesso per la modifica dei famigerati decreti sicurezza voluti da Matteo Salvini, a quei tempi ministro dell’Interno, e dal suo allora sodale e collega di Governo Luigi Di Maio. E pensare che la sinistra, quando non era stata ancora colpita dal virus del “governismo” aveva sostenuto che quei decreti andavano cancellati.

 

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