Russiagate: o è un complotto o Trump è caduto nella trappola della sua arroganza

Negli Stati Uniti l'ipotesi di intralcio alla giustizia viene considerata tra le accuse più infamanti

Donald Trump e James Comey
Donald Trump e James Comey
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Diego Minuti Modifica articolo

15 Giugno 2017 - 12.56


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Delle due, l’una: o Donald Trump è al centro di un raffinatissimo complotto che vede, insieme, interi pezzi dell’intelligence americana ed anche degli apparati di giustizia, oppure il presidente è caduto nella trappola che gli hanno teso la sua stessa arroganza ed il modo di rapportarsi con quelli – tutti – che stanno uno o molti gradini sotto di lui. Solo che stare alla Casa Bianca, avere a portata di mano la mitica valigetta con i codici di lancio di testate nucleari, guidare la maggiore economia del pianeta (e quindi far dipendere dalle proprie decisioni il destino di milioni di lavoratori) non è un reality, non si può ridurre solo ad una ridda di insulti via twitter, senza mai fornire una risposta che sia una, che poggi su fatti concreti e verificabili e non invece nella richiesta di credergli per atto di fede.
In attesa che sia confermato lo scoop del Washington Post sulla incriminazione di Trump per intralcio alla giustizia, tutti gli scenari sono possibili e nessuno, anche in caso di un lavacro miracoloso che mondi il presidente da ogni addebito, è destinato a passare senza lasciare strascichi.
Negli Stati Uniti, al di là della formulazione, l’ipotesi di intralcio alla giustizia viene considerata tra le accuse più infamanti, perché sottintende il disprezzo verso l’unica vera dea dell’Olimpo a stelle e strisce, ben più dell’economia, ben più della politica.
Farsi beffa della Giustizia, ostacolandone il corso, è al di là del più malevolo dei pensieri, perché viola il principio fondante della democrazia americana, quello dell’uguaglianza di ogni cittadino, sia esso il più disperato dei senza casa che il presidente.
Forse – anzi, senza forse – il paragone tra Nixon e Trump è spericolato perché Dirty Dick si macchiò di una serie di atti concreti (sia per direttive date, sia per omissioni commesse) che, al momento, è solo ipotetico potere attribuire a Trump. L’ipotesi di incriminazione riguarda l’ipotesi che abbia tentato di convincere l’allora direttore dell’ Fbi, James Comey, dell’opportunità politica di non perseguire Michael Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale, nell’ambito delle indagini sulle presunte ingerenze russe nella politica americana.
Quindi, non una richiesta precisa, ma la messa in atto della più subdola moral suasion perché, a meno che il destinatario non abbia attributi al titanio, è ben difficile dimenticare d’avere di fronte il Presidente e, quindi, sfuggire alle sue pressioni. Che, secondo Comey, ci sarebbero inequivocabilmente state.
Come forse in molti temevano, il contenuto degli incontri e delle telefonate tra Trump e Comey e, quindi, il tentativo del presidente di condizionare l’inchiesta sono però venuti fuori.
Quando scoppiò lo scandalo passato alla storia come ”Watergate” (il tentativo di spiare le attività del comitato democratico messo in atto dai fedelissimi di Nixon) l’America si risvegliò dal sogno che niente e nessuno poteva intaccare la solidità della democrazia, dove tutti ne rispettano le regole, la più importante delle quali è la supremazia della legge (e quindi la tutela di ogni cittadino) . Il disprezzo mostrato per Nixon per le leggi, e quindi per la democrazia, gli aprì in uscita, sbarrandogliele alle spalle, le porte della Casa Bianca. Donald Trump non si trova nelle medesime condizioni, ma l’accusa si intralcio alla giustizia è politicamente e moralmente molto più grave della corrispettiva pena prevista. Il presidente pel di carota probabilmente non ha ancora colto le differenze tra l’essere il ceo di una società e il presidente degli Stati Uniti.
E forse ancora non s’è ancora spogliato del ruolo che aveva nel reality ”The apprentice”, quando, al pronunciare la fatidica frase ”You’re fired”, faceva scattare il plauso dei telespettatori.
Gli Stati Uniti del 2017 hanno bisogno di un presidente che sia al di sopra di ogni sospetto ed al di là di ogni accusa, non di un imbonitore.
Davanti all’offensiva del procuratore speciale Robert Mueller (che dovrà decidere se l’accusa di oltraggio alla giustizia sia fondata, ma sul quale già volano alti gli spettri di un licenziamento) , Donald Trum non potrà uscirne con la solita bordata di accuse, farcite di improperi che, per tradizione, non appartengono al presidente degli Stati Uniti, chi esso sia.
Dovrà difendersi davanti ad un intero Paese che, oggi più di ieri, si sta chiedendo se si merita un presidente che prende a calci la giustizia.

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