La prossima settimana il Parlamento europeo è chiamato ad esprimersi sull’inclusione del gas fossile e dell’energia nucleare nella tassonomia, e già solo il fatto che si sia arrivati ad una situazione del genere ha dell’assurdo. Cerchiamo di capire meglio come si possa essere giunti a questo punto.
La Tassonomia è il regolamento dell’Ue, adottato nel 2020, che stabilisce un sistema di classificazione per le attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale. Per essere identificate come sostenibili, queste attività devono soddisfare criteri scientifici che dimostrino il loro contributo sostanziale a uno dei sei obiettivi ambientali (mitigazione del clima, adattamento al clima, economia circolare, protezione e ripristino della biodiversità, prevenzione e controllo dell’inquinamento, uso sostenibile e protezione delle risorse idriche) e allo stesso tempo garantire che non danneggino in modo significativo nessuno degli altri obiettivi. Ai sensi del regolamento sulla tassonomia, la Commissione europea ha il compito di elaborare l’elenco effettivo delle attività sostenibili attraverso atti delegati. E qui nasce il problema.
A marzo 2022, infatti, cedendo alla pressione delle lobby delle energie fossili e nucleari, e ai ricatti di Francia e Germania, la Commissione ha approvato un atto delegato complementare alla tassonomia che include l’energia nucleare e il gas fossile nell’elenco delle attività economiche sostenibili, senza condurre una previa consultazione pubblica né una valutazione d’impatto.
Classificare il gas fossile e l’energia nucleare come investimenti sostenibili sconfessa platealmente il Green Deal europeo – che mira ad accelerare la transizione ecologica e a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 – nonché i percorsi già intrapresi per sostenere la decarbonizzazione dell’economia europea. L’etichetta di sostenibilità per gas e nucleare rischia infatti di dirottare miliardi di euro da investimenti in rinnovabili ed efficienza energetica verso quelli in fonti di energia inquinanti, costose e pericolose, mettendo a repentaglio il raggiungimento degli obiettivi climatici di medio e lungo termine.
La Banca centrale europea ha rilevato che i prezzi del gas sono stati moltiplicati per sei nel 2021 e che il gas è un fattore chiave della crisi inflazionistica. Oggi, i prezzi delle rinnovabili sono di gran lunga inferiori a quelli del gas, mentre le nuove centrali nucleari impiegano 15-20 anni dalla pianificazione al funzionamento e si stima che siano 4 volte più costose di nuovi impianti solari od eolici onshore. La promozione di nuovi impianti a gas e nucleari non porterebbe alcuna soluzione alla crisi dei prezzi dell’energia, anzi rischierebbe di aggravarla.
Ma c’è di più. La guerra in Ucraina e la crisi dei prezzi dell’energia hanno cambiato radicalmente il contesto in cui la tassonomia verrà attuata, perché è ormai evidente a chiunque che il gas fossile è una fonte di insicurezza energetica e di rischio geopolitico per tutti i paesi europei. Prolungare – o peggio aumentare – la nostra dipendenza ci renderà ancora più sottomessi alle importazioni dall’estero, e dalla Russia, che infatti potrebbe guadagnare fino a 4 miliardi di euro in più all’anno grazie all’estensione della tassonomia. Non è infatti un mistero che società energetiche russe come Gazprom, Lukoil e Rosatom hanno fatto un lobbying feroce (almeno 18 incontri con la Commissione europea) per influenzare la classificazione di gas fossile e dell’energia nucleare come sostenibili.
Secondo un recente studio, infatti, la Russia potrebbe guadagnare 4 miliardi di euro in più all’anno da un’espansione della capacità di gas grazie alla tassonomia, per un totale di 32 miliardi di euro entro il 2030, mentre l’inclusione dell’energia nucleare consentirebbe a Rosatom (ndr società di stato russa con forti legami commerciali con l’industria nucleare europea) di assicurarsi una quota di circa 500 miliardi di euro di potenziali investimenti in nuove capacità nucleari dell’UE.
Non sorprende quindi che lo stesso mondo finanziario non sia a favore di una misura del genere. Banche e fondi di investimento hanno infatti bisogno di certezze di lungo termine e informazioni chiare e affidabili sull’impatto ambientale delle attività che intendono finanziare, e difatti l’attuale mercato globale dei green bond già esclude chiaramente gas e nucleare. Molti investitori istituzionali e istituti di credito e pensionistici hanno criticato l’etichettatura di gas e nucleare come sostenibili, additandola come controproducente. Lo stesso Presidente della Banca europea per gli investimenti ha condannato l’atto delegato della Commissione, riconoscendovi un grave rischio di minare la fiducia degli investitori.
Se poi guardiamo al nostro Paese, il sostegno che alcuni partiti vorrebbero dare a gas e nucleare in tassonomia appare non solo sconsiderato sul piano ambientale, geopolitico, sociale ed economico, ma anche palesemente insensato. L’analisi dei criteri dell’atto delegato per l’inclusione del gas fossile mostra infatti chiaramente che in Italia quasi il 40% delle centrali a gas sarebbero escluse. In confronto, la Germania vedrebbe incluso il 100% dei suoi impianti a gas. Sorge quindi spontanea una domanda: a chi giova?
E su questo è importante demistificare quanto spesso sostenuto da chi è a favore dell’uso di gas fossile e nucleare. La tassonomia classifica le attività economiche sulla base delle loro prestazioni ambientali e stabilisce esclusivamente requisiti di informazione e divulgazione. Come tale, l’esclusione dalla tassonomia non blocca evidentemente alcun investimento in questi settori, che potrebbero a tutti gli effetti continuare ad essere finanziati, ma semplicemente senza ricevere l’etichetta di sostenibilità.
Sarebbe in realtà interessante capire poi per quale ragione vi siano ancora partiti che sostengono questo tipo di investimenti in quanto più affidabili rispetto alle rinnovabili. La crisi idrica legata alla siccità – di cui stiamo subendo le drammatiche conseguenze anche in Italia – sta infatti mettendo a rischio la produzione di energia nucleare, che necessita di acqua per garantire il raffreddamento dei reattori. Se guardiamo cosa succede in Francia, già nel 2019 le ondate di caldo hanno costretto a ridurre la produzione di energia nucleare di circa il 10%, con buona pace di chi continua a proporre il nucleare come fonte sicura e costante.
A fronte delle innumerevoli ragioni per respingere con forza e convinzione una retromarcia così sfacciata nella lotta alla crisi climatica, come Verdi europei ci siamo mobilitati immediatamente per fermare l’azione scellerata della Commissione. Insieme ad altri deputati dei maggiori gruppi politici al Parlamento europeo, a maggio abbiamo presentato una proposta di opposizione all’atto delegato, che ha già ottenuto l’approvazione della Commissione parlamentare per l’Ambiente e di quella per l’Economia. Ora è il momento del passaggio cruciale al voto in plenaria, per questo ci stiamo battendo al fine di assicurare una solida maggioranza che impedisca a gas fossile e nucleare di entrare nella tassonomia. Gli atti delegati della Commissione europea, adottati senza seguire la procedura legislativa ordinaria, possono infatti essere bloccati dal Consiglio o dal Parlamento. Le speranze sul primo sono vane, visto il sostegno al nucleare da parte della Francia e dei Paesi dell’est europeo, o il solito assoggettamento italiano all’industria dei fossili, e soprattutto del gas, che non è certo un mistero. Tutto si gioca quindi nell’aula parlamentare: la battaglia sarà dura, ma non ci sottrarremo, perché in ballo ci sono la credibilità dell’Unione europea come mercato leader per la finanza sostenibile e soprattutto il nostro futuro, che vogliamo sostenibile, giusto e genuinamente verde.