di Antonio Capitano
Entrare, dopo tanto tempo, all’interno della Chiesa di San Giovanni Evangelista di Tivoli è stata una autentica emozione. Una targa apposta all’esterno “annuncia” la presenza di un ciclo di affreschi realizzati da Antoniazzo Romano. L’eccellente artista non poteva sfuggire all’occhio vigile del Vasari meritando una definizione che già rende bene l’idea dello spessore di questo dipintore ritenuto “dei migliori che fussero allora in Roma”. L’incisione sulla targa, ormai quasi “scolpita”, sembra aver tolto ogni residuo dubbio sulla attribuzione degli affreschi i quali hanno avuto, nel tempo, ipotesi verosimili ma non del tutto suffragate da prove schiaccianti. Pertanto, il rimando a Melozzo da Forlì o al più generico “Maestro di Tivoli” sembrerebbe ancora un caso aperto, ma forse ancora a caso, di quelli che incidentalmente si affrontano quando si effettua una inversione di marcia, avendo cura di percorrere la strada più giusta e non la più breve.
Una cosa è certa: non ci troviamo di fronte a un pittore minore, ma semplicemente a uno meno blasonato o meno approfondito. La suggestione che si prova all’interno della Chiesa è quella della progressiva scoperta di un valore segreto, piacevolmente nascosto delle pieghe della storia. E qui si compie un’operazione (termine che pare indicato) di vedere la bellezza all’interno di un luogo di cura, ma anche di sofferenza. Stiamo parlando dell’annesso e omonimo Ospedale che un recente e distruttivo incendio ha portato all’attenzione della cronaca nazionale. La frenesia che anima coloro che sono costretti a usufruire della struttura, recentemente riaperta alla piena funzionalità, mette quasi in secondo piano l’edificio religioso, eppure la bellezza dell’arte ivi contenuta potrebbe essere terapeutica con quel potere dell’arte di cancellare, anche per pochi istanti, la bruttezza di diversi accadimenti. In questo prestigioso ciclo di affreschi presenti nella città di Tivoli, si distinguono tutti i tratti del maggior pittore romano del Rinascimento, il quale, se ha saputo guardare al citato Melozzo da Forlì, a Benozzo Gozzoli, al Perugino e a Piero della Francesca, ha saputo ispirare giganti quali il Pinturicchio solo per dare conto di una star dell’epoca, ancora oggi in voga poiché più nota al grande pubblico.
In questa piccola chiesa quattrocentesca, con una sola navata, spicca il presbiterio, con volte a crociera decorato da affreschi di Antoniazzo al secolo Antonio di Benedetto degli Aquili (1430-1435 circa – Roma, 17 aprile 1508.
Al centro della volta Cristo benedicente nelle vele: un Evangelista e un dottore della chiesa, in coppia; alla parete sinistra Assunzione della Vergine, in un’amigdala sorretta da quattro angeli, mentre in basso, in un paesaggio collinare, presenziano gli Apostoli; alla parete di destra la Nascita del Battista e S. Zaccaria che ne impone il nome; “incastonate” nell’arco trionfale, dodici Sibille e S. Domenico. Gli affreschi risalgono al 1475. E tra le dodici, la Sibilla Tiburtina, si distingue per bellezza e importanza.
Come non pensare alla Legenda aurea di Jacopo da Varazze secondo la quale, la Sibilla Tiburtina mostra all’imperatore Ottaviano Augusto l’apparizione della Madonna col Bambino, esortandolo ad adorare l’unico vero Dio. Qui la scelta dell’artista è quella di una scena che ci fa pensare alla bellezza “estratta” da questa sublime dozzina che identifica il ciclo dello zodiaco con tutto il fascino del noto e dell’ignoto. Il senso di appartenenza impone, dunque, di ricostruire una storia ma anche una classicità modello di riferimento ancora oggi per richiami artistici, universali.
E se il nostro lo sguardo ricerca e si posa sulla nostra protagonista, si distingue la Sibilla Tiburtina anche nel capolavoro del Perugino : “L’Eterno con profeti e sibille” affresco, per poco coevo, realizzato nel 1500 che si può ammirare presso il Collegio del Cambio a Perugia. Qui Pietro Vannucci realizza le sibille con un portamento elegante e ornate di cartigli dal misterioso fascino. Forse c’è un collegamento. Ci piace pensarlo perché coincidenze e somiglianze spesso non sono legate al caso, ma concatenate da una serie di eventi che si possono capire attraverso il gusto della scoperta o della riscoperta. Antoniazzo Romano dovrebbe essere riscoperto per aver lasciato a Tivoli una indelebile traccia della sua maestria e per trovare in queste pareti magistralmente affrescate tutta la centralità di un messaggio ancora valido e vivo.