di Antonio Capitano
“Nella cava cui danno il nome delle Caprine sulla direzione di Monticelli il travertino è di color bianco giallognolo più duro e compatto di qualunque altro. Nella cava chiamata delle Fosse ch’è ne piani di san Clemente si estrae il travertino più chiaro, più tenero e più bucherato: questa cava fu scelta dal cavalier Lorenzo Bernini per estrarre i travertini impiegati nella costruzione del celebre colonnato della piazza Vaticana, ed ivi per comodo degli operai fu eretta una grande fabbrica che anche a dì nostri porta il nome di Casal Bernini. Finalmente fra la tenuta di Martellone ed i monti di Tivoli, e precisa mente nella contrada chiamata il Varco, si vedono ancora le vestigia di altra cava usata dagli antichi romani la quale non è in attività perché produce travertino troppo compatto, e che non può lavorarsi se non con molta fatica e molta spesa. Vitruvio parlando del travertino così si esprime. Le pietre tiburtine, e quelle che sono della stessa specie resistono a tutto, sì al peso, sì ancora alle ingiurie del tempo, ma non sono sicure dal fuoco, che anzi ap pena ne sono tocche scoppiano e si scheggiano, poichè il fuoco penetrando pe’ vacui nell’interno, e scacciatane con la sua attività l’aria vi prende forza e comunica alle parti la stessa sua ardente qualità. L’anfiteatro Flavio, il teatro di Marcello e molti altri avanzi delle antiche fabbriche dimostrano che il travertino esposto all’aria non solamente resiste alle ingiurie del tempo, ma anzi diviene più saldo e compatto, e giustificano l’asserzione del dotto architetto”
Ecco allora Gian Lorenzo Bernini che sceglie il travertino migliore che servirà a creare dei capolavori universali.
Un acquerello di Marianna Scibetta ci restituisce una nuova pagina e soprattutto una scena mai vista prima. La storia continua, come il mistero che rende ancora più stimolante la ricerca e non ci rimane che ricostruire insieme una bella storia da raccontare ancora! Questa è la vicenda di un casale pieno di storie conosciute e nascoste. Si trova a Villalba di Guidonia e deve il suo nome ad un episodio ancora tutto da scoprire o da approfondire. Ma quando le fonti sono poche o incerte è compito degli appassionati dare vita, attraverso le immagini e le parole, ad una rappresentazione che potrebbe essere verosimile e che mira ad accendere o riaccendere una luce su una pagina davvero intrigante e affascinante intorno a questo “Huomo raro, ingegno sublime, e nato per disposizione divina”
Tra i vapori delle acque solfuree, provenienti dai vicini laghi Regina e Colonnelle, l’alba nel casale annunciava un giorno memorabile. Gli anonimi lavoratori del “lapis tiburtinus” non potevano immaginare di consegnare alla storia un “materiale” eterno. Quella pietra “locale”, che aveva causato e causava morte e disperazione per la pericolosità della sua estrazione, era l’unica faticosissima fonte di sopravvivenza ma, al tempo stesso, ammirata dall’intera umanità per il suo utilizzo nell’arte e nell’architettura.
Nella cava, illuminata dal primo sole, c’era attesa e fibrillazione per accogliere non un comune committente, ma l’ingegnoso Gian Lorenzo Bernini che si recò, nella località chiamata Le Fosse tra Roma e Tivoli, per scegliere personalmente il travertino per la realizzazione del Colonnato di San Pietro. Al suo arrivo le maestranze lo venerarono come una divinità e in un luogo che sembrava dimenticato si accese all’improvviso una luce universale, nel secolo dei lumi. Uno dei cavatori, incredulo, cominciò a incidere – con un arnese appuntito su una lastra ben levigata – i principali momenti di quella visita.
Una pianta della Piazza Vaticana fu notata dallo stesso in tutto il suo splendore: semiaperta lasciava intravedere, ancor prima dello sguardo dell’umanità, la grande opera. Verso sera il rischio di mettersi in viaggio era troppo alto e pochi i blocchi idonei per essere poi modellati e trasformati in colonne. Il maestro cenò, con un atteggiamento confidenziale e paritario, insieme alla sua squadra e con la manovalanza del posto. Rimase nella improvvisata “locanda” due giorni; un tempo necessario per avviare il trasporto per l’antica via Tiburtina, a bordo di barozze, del travertino migliore. Alla partenza Bernini salutò in segno di gratitudine e riprese il suo cammino insieme a quello della storia. Nulla sappiamo di quel giovane ma la sua cronaca, incisa sulla preziosa pietra, si salvò sotto la protezione di un pino dalle forti radici per essere narrata insieme a quella del Casale che – in onore dell’illustre passaggio, dalla fine del seicento – fu denominato Casal Bernini.
Ora il profilo dell’edificio risente dei segni del tempo, ma deve il suo nome a colui che vive eternamente tra le Colonne Divine.