Le storie minime dello sport di Paolo Patui: un viaggio tra ironia, umanità e piccoli grandi protagonisti
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Le storie minime dello sport di Paolo Patui: un viaggio tra ironia, umanità e piccoli grandi protagonisti

Paolo Patui, con *Contro. Dieci storie minime di sport*, racconta con ironia e sensibilità vicende di protagonisti anonimi, esplorando il lato umano dello sport lontano dai riflettori del professionismo.

Le storie minime dello sport di Paolo Patui: un viaggio tra ironia, umanità e piccoli grandi protagonisti
Paolo Patui
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20 Febbraio 2025 - 22.27


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di Rock Reynolds

C’era una volta il racconto, la forma più primitiva di narrazione, quella orale per intenderci, solitamente tramandato di generazione in generazione, concepita per portare sollievo a serate gelide o torride e a momenti difficili della vita oppure, semplicemente, per scandire lo scorrere implacabile del tempo, dandogli una parvenza di senso e struttura. C’era una volta, perché le raccolte di racconti sono sempre più rare e spesso sono viste con estrema diffidenza dai responsabili di questa o quella casa editrice che le considerano poco appetibili al pubblico e, dunque, per lo più le scansano.

Fortunatamente, di eccezioni che sfatano il trend non ne mancano. Ecco cheil friulano Paolo Patui, con il suo Contro. Dieci storie minime di sport (Bottega Errante Edizioni, pagg 158, euro 17), si inserisce a pieno titolo nella frangia minoritaria, ultimamente un po’ reietta di quegli autori che vanno controcorrente. E la sua casa editrice si distingue per il coraggio nell’appoggiare tale scelta.

Eppure, lo sport è forse la materia per eccellenza che si presta alla forma breve del racconto, considerato che la narrazione primaria che se ne fa è quella degli articoli di giornale e, ancor più, delle chiacchiere di bar del giorno dopo. Paolo Patui, però, compie una seconda, netta scelta di campo: non troverete in Contro personaggi celebri e momenti di sport leggendari. Dunque, niente finali della Coppa del Mondo di calcio, niente Olimpiadi, niente tornei di tennis del Grande Slam, gran premi di Formula Uno, grandi giri ciclistici e via dicendo. Le sue sono “storie minime”, storie di tutti i giorni, raccontate però con garbo, passione, conoscenza della materia e ironia. Insomma, gli ingredienti giusti, dosati con sapienza proprio per non far sentire al lettore la mancanza del grande campione con le sue gesta epiche. Di ammantato di mito in queste storie c’è davvero poco, ma non se ne avverte minimamente la nostalgia, grazie all’immediatezza con cui l’autore ci fa capire in cosa stiamo per imbarcarci. Lo sport, oggi più che mai, è vittima di una narrazione immancabilmente e inevitabilmente viziata dai grandi interessi economici del professionismo e sempre meno aperta al lato genuinamente umano dello sforzo fisico, dell’impegno quotidiano, dell’emotività individuale. Con il piglio creativo di chi sa scrivere e comunicare, Paolo Patui compie un’operazione letteraria di qualità, coniugando le vicende personali di protagonisti anonimi – sarebbe interessante sapere quanto frutto della sua inventiva e quanto di incontri reali – che potrebbero non essere affatto degli sportivi per risultare interessanti e le storie connesse alla disciplina in questione.

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C’è Lupo, l’austero accompagnatore di un gruppetto di ragazzini in una sorta di colonia estiva, che «si chiamava così perché tutti lo chiamavano così, e… sembrava più alto dei pini». E C’è Dodo, che «nessuno avrebbe immaginato che avesse avuto un avventuroso passato da partigiano e nemmeno da atleta» e che «respirava a fatica, si muoveva con l’agilità di un pinguino… si trascinava dentro una vecchia e ridicola tuta sportiva, imprecando e zoppicando lungo quella pista di atletica che era il suo regno». Ma ci sono pure Chiquito, «uno sbaglio della natura… piccolo, debole, sgraziato… “Dieci e lode in stupidità”» e Remo, «figlio di migranti» che «non aveva più parlato» da quando i nonni se lo erano riportato, orfano, in Toscana, ancora bambino. E poco conta che sport praticano i personaggi che si ha la sensazione che stiano per elevarsi leggermente sopra le righe, ma che finiscono per tornare al proprio destino di anonimato assoluto, se non di vera e propria aurea mediocrità. «Cristina giocava a calcio in modo divino… Nonostante il suo corpo non avesse nulla di mascolino» e, quando le veniva consentito di giocare con i maschi, li metteva in frequente imbarazzo. A quale maschietto non è capitato, in fondo, di provare vergogna di fronte a una compagna di giochi decisamente più brava di lui su un campo da calcio o su un parquet del basket o della pallavolo? Difficile ammettere le proprie debolezze, i propri imbarazzi, persino di fronte a un prete a cui, per decreto divino, è affidato il compito di sentire le confessioni delle sue pecorelle e pdier infondere in loro un po’ di sano ottimismo cristiano. Come don Dino, «un prete mite soltanto in apparenza e per niente muto». Persino nella grigia provincia, sul campo da tennis di un torneo senza grandi pretese, può presentarsi una delle tentazioni attraverso cui Satana fa tremare le coscienze degli uomini (e donne) di sport: una partita truccata. Paolo Patui sembra essere un buon conoscitore della natura umana. Quando si pensa a una palestra di arti marziali o di pugilato, è quasi inevitabile tenere conto di chi decide di frequentarle allettato dalla prospettiva di potersi difendere da un malintenzionato se mai ce ne fosse la necessità o, ancor più, di dare una bella lezione a chi gli ha mancato di rispetto. Ma una donna dal «gancio sinistro formidabile» che voglia prendersi una rivincita su un carabiniere che, celandosi dietro la protezione dell’uniforme, ne ha pestato il fratello durante il G8 di Genova? E c’è pure una donna che quel senso di rivalsa vuole esprimerlo contro l’allenatore della squadra di canottaggio femminile più interessato a portarsi a letto ogni nuova atleta che a ottimizzarne le prestazioni in acqua. E se ad animare i propositi agonistici di una ragazza che decide di cimentarsi con la bicicletta fosse la voglia di essere superiore almeno in una cosa alla propria amica del cuore, più bella e più brava, una che viaggiava «con le carezze del vento sulla schiena?».

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C’è tanta leggerezza tra le pagine di Patui e non manca, tra un sorriso e l’altro, qualche amara riflessione a riequilibrare la bilancia della profondità. Perché la vita è un racconto e ha i suoi alti e bassi.

Basterebbe ricordare solo qualche grande scrittore, contemporaneo o passato, che abbia fatto della forma del racconto breve un punto di forza assoluto: Joe R. Lansdale dichiaratamente ha un debole per il racconto dato che gli consente il massimo della libertà espressiva; non tutti sanno che i racconti di Francis Scott Fitzgerald hanno un’immediatezza quasi sempre assente nei suoi celebri romanzi; Franz Kafka e Giovanni Verga non hanno bisogno di presentazioni, sotto quell’aspetto. Ancor oggi, esiste un premio letterario molto ambito, uno dei più seri tuttora attivi, l’O’Henry Prize, assegnato ogni anno a un racconto di pregio e intitolato a O’Henry, pseudonimo di William Sydney Porter, grande narratore statunitense vissuto tra il 1862 e il 1910 che si fece particolarmente apprezzare per i suoi racconti divertentissimi e un po’ iconoclasti. E, per restare nel Triveneto e nel mondo del calcio, A pedate di Marco Ballestracci è un’ottima raccolta di storie brevi.

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