di Arianna Scarselli
“La musica può aprire i cuori ed essa può davvero portare un cambiamento”. Sono state queste parole di Papa Francesco ad aprire l’esibizione sul palco dell’Ariston delle cantanti Noa, israeliana, e Mira Awad, israeliana con origini palestinesi da parte di padre.
Il festival che non doveva essere politico lo è diventato molto in fretta.
Il duo che doveva rappresentare l’unione tra Palestina e Israele, la vicinanza di due popoli oltre la guerra, si è rivelata per ciò che è sempre stato abbastanza in fretta: una messa in scena con un’anima poco intraprendente.
Mira Awad, presentata come cantante palestinese, in realtà è cittadina israeliana e ha anche rappresentato Israele all’Eurovision proprio insieme a Noa nel 2009. Grande cantante sì, quindi, ma rappresentante palestinese non saprei.
Quella portata all’Ariston è una Imagine riscritta, l’inglese è affiancato dall’arabo e dall’Israeliano, con un piccolo stacco in italiano. Ed è proprio qui che la Awad si inserisce con un pensiero personale e condiviso dalle due cantanti ospiti. “Noi artisti – hanno detto – non abbiamo il compito di descrivere la realtà, ma di immaginare quello che vogliamo creare. Immaginiamo l’intera famiglia umana in sicurezza in libertà; immaginiamo prosperità e riconciliazione e che fra un anno torneremo qui a festeggiare un vero accordo di pace”.
Prosperità tra le macerie di Gaza? Libertà quando Trump stringe la mano a Netanyahu immaginando una Riviera del Medio Oriente spuntando alla memoria delle decine di migliaia di donne e bambini uccisi nell’ultimo anno?
Certo la Awad ha criticato le parole di Trump e gli artisti fanno bene ad immaginare ciò che vogliono o ciò che la società civile vuole creare, ma restare con i piedi saldi a terra, raccontare il mondo ed esprimersi su ciò che accade attorno a noi è necessario.
Non ci resta, insomma, che sperare che il mondo più giusto e fraterno che sogna e immagina papa Francesco arrivi presto davvero.