Fredy Franzutti e il Balletto del Sud omaggiano Fokine
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Fredy Franzutti e il Balletto del Sud omaggiano Fokine

Fredy Franzutti: "La danza deve comunicare qualcosa. L’astrattismo, che ha caratterizzato il Novecento, è nella forma, non nei contenuti"

Il Cigno - Balletto del sud - Alice Leoncini e Ovidiu Chitano - ph Carlotta Bodini - intervista a Fredy Franzutti di Alessia de Antoniis
Il Cigno - Balletto del Sud - Alice Leoncini e Ovidiu Chitano - ph Carlotta Bodini
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31 Gennaio 2025 - 10.54


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di Alessia de Antoniis

L’8 e il 9 Febbraio 2025 si conclude la stagione di danza del Teatro Apollo di Lecce con Il Cigno, ispirato a Michel Fokine e dedicato al M° Beppe Menegatti. A marzo, poi, due date straordinarie per Romeo e Giulietta: al Politeama Italia di Bisceglie il 7, e al Politeama greco di Lecce il 9.

Fredy Franzutti è un professionista con un raro pregio: riuscire a spiegare con semplicità anche i tecnicismi del mondo del balletto e non far sentire inadeguato chi, quel mondo, lo vede sempre come una bambina col naso attaccato alla finestra di un luogo irraggiungibile.

Hanno danzato per lui artisti del calibro di Carla Fracci, Luciana Savignano, Lindsay Kemp. Ha coreografato, tra gli altri, per l’Opera di Roma, l’Opera di Montecarlo, per il Bolshoi. Ma la sua intelligenza e la sua cultura non lo rendono un divo: Fredy è semplicemente un amante della sua vita e della sua arte: i miei studi, le mie riflessioni, sono la mia vita – dice di sé Fredy – Tutto quello che non riesco a dire con la parola, lo dico con la danza.

Con la sua compagnia, il Balletto del Sud, chiude la stagione invernale con Il Cigno e Giulietta e Romeo.

Il Cigno è uno spettacolo speciale – racconta entusiasta Fredy Franzutti – un esempio di arti integrate. Pittura, musica, teatro, danza: tutto si fonde per evocare un’epoca unica. Romeo e Giulietta, invece, si confronta con tutte le altre edizioni. Noi abbiamo scelto di puntare su una grande messa in scena, costumi spettacolari e un’impostazione teatrale forte.

Le coreografie de Il Cigno sono ispirate a Michel Fokine. Quali sono state le sfide per reinterpretare la tradizione in modo creativo?

Abbiamo cercato di recuperare e ricostruire l’atmosfera del mondo fantastico dell’inizio del Novecento a Parigi, dove la danza divenne centrale. Per ricostruire le coreografie, ho lavorato come un ebanista che costruisce un mobile in stile. Le coreografie di Fokine, essendo del Novecento, non sono completamente perdute. Non è come quando ho portato in scena Caterina la figlia del Bandito, di Cesare Pugni, la cui ultima edizione era del 1890… di Fokine ci sono anche delle tracce video.

Quale è la filosofia che sottende la creazione dello spettacolo?

La mia operazione è stata quella di ricostruire le strade e creare un piccolo abstract di tutti i suoi capolavori. Però, a differenza di un puro collage, ho costruito una struttura drammaturgica scritta da Walter Prete. Lui ha avuto veramente un’idea geniale: raccontare la storia di Fokine attraverso i suoi stessi ricordi. Ha ripreso un fatto realmente accaduto e l’ha trasformato in un racconto scenico.

Come è strutturato Il Cigno?

L’idea è basata su un fatto realmente accaduto: Fokine, dopo aver lasciato la compagnia di Diaghilev, torna a Parigi, dopo anni, e va all’Opéra; ma non ha nemmeno un biglietto per vedere il suo stesso spettacolo, la Sylphides. Lo mandano via, non lo fanno entrare. Torna in albergo dalla moglie e, durante il tragitto, ripercorre la sua carriera e racconta al pubblico (nel ruolo il bravissimo Andrea Sirianni, nda) le sue creazioni e le sue delusioni; quello che è successo con Djagilev, i dissidi avuti con lui e i motivi ispiratori dei suoi capolavori. Abbiamo voluto ricreare la Parigi bohémien del Novecento, quella di Picasso, Stravinsky, Satie, Hemingway. Dove Joséphine Baker ballava con abiti creati da Coco Chanel. La Parigi del Ballets russes di Djagilev, dei teatri minori, un po’ notturni, d’avanguardia: un mondo parallelo al grande teatro de l’Opera di Parigi. La Parigi dove per la prima volta Picasso dipingerà le scene di un balletto. Dove c’era una forte attrazione per una cultura russa che appariva esotica.

Perché hai affidato a Walter Prete la scrittura del testo?

Prete è un autore salentino con esperienza alla Biennale di Venezia. Credo che sia un errore che i coreografi siano anche autori: un coreografo può rielaborare un concetto, ma la scrittura è una professionalità a parte. Così come Romeo e Giulietta: è stato scritto da Shakespeare e non dal coreografo. Un balletto deve avere una base narrativa ben scritta.

Il tuo approccio include arti e professionalità diverse. Un modo originale di creare in un mondo dove, dalla danza al cinema, tutti vogliono essere l’unico deus ex machina dello spettacolo…

Credo che il progetto unitario debba essere il mio, ma mi piace confrontarmi con altri artisti. Non sono il ballerino che ha bisogno di stare sotto i riflettori, sono passato dall’altra parte del palco già a 24 anni. Il mio ego danza con i ballerini e quando loro prendono l’applauso, lo ricevo anch’io.

Come reagisce il pubblico alle rivisitazioni?

Le rielaborazioni, a dire il vero, non sempre funzionano in un contesto di livello medio. Funzionano bene con un pubblico colto, che conosce, come nel caso di Romeo e Giulietta, sia Shakespeare che Masuccio Salernitano; oppure con un pubblico che non conosce nessuno dei due e approccia con curiosità a qualcosa di nuovo. Il livello medio, che conosce solo Shakespeare, magari superficialmente, è quello più difficile da affrontare, perché è convinto di sapere già tutto.

Nel Romeo e Giulietta, ad esempio, il pubblico si sente tradito dalla tua rielaborazione attraverso la storia di Masuccio Salernitano?

Semmai è Masuccio che dovrebbe sentirsi tradito. È Shakespeare che riprende la storia di Masuccio. L’ho fatto anche con La bella addormentata recuperando la storia originale di Basile. Semplicemente il pubblico scopre che storie, rese famose da altri, in realtà nascono nell’Italia meridionale. Da questo punto di vista, considero la mia attività con il Balletto del Sud un’operazione culturale.

Il Balletto del Sud ha nel suo repertorio molti balletti narrativi. È un modo di coreografare più efficace per un pubblico generalista?

Il nostro repertorio è al 50%, e penso che la comprensione sia legata alla mediocrità. Non è l’astrattismo che preclude alla cultura. Gli spettacoli più colti che faccio, sono quelli senza narrazione; quando opto per il narrativo è perché devo affrontare teatri con duemila posti: usi i grandi titoli per affrontare le grandi città con i grandi teatri.

Oltre alla coreografia, ti occupi anche della formazione…

La scuola del Balletto del Sud è diretta da Carlos Montalvan, nostro ex primo ballerino. Siamo l’unico riferimento della provincia per chi cerca una formazione professionale. È un faro per la formazione di tutta l’area geografica grazie alla compagnia annessa.

Qual è la situazione della danza oggi?

Sicuramente la danza non è l’arte del 21mo secolo: era l’arte dell’Ottocento in forma professionale e del Novecento in forma amatoriale. Sembra che tutti vogliano ballare, ma in realtà sono sempre le stesse persone che ballavano già da giovani. Il problema è il ricambio generazionale. La danza richiede disciplina e sacrificio, mentre oggi i ragazzi ottengono un successo facile sui social. Perché devo faticare ore al giorno se mi basta fare un reel e ottenere migliaia di like? Il mio ego è soddisfatto senza studio, allenamenti e sacrifici. Format come Amici sono programmi di valore, dietro ai quali c’è tanto lavoro, ma non sono rappresentativi della realtà.

A volte organizzi incontri con critici e intellettuali prima degli spettacoli

Perché voglio mettere la danza in una sfera culturale più alta. Facciamo tre o quattro incontri l’anno con critici, studiosi, autori. Alcune volte vengono dieci persone, altre cinquanta, altre ancora tre. Ma non importa, l’importante è seminare idee.

Ex ballerino, coreografo, seminatore di nuovi talenti. Cos’è la danza oggi? E un coreografo?

La danza deve essere un mezzo di comunicazione. Se un coreografo non ha una visione culturale o politica, il pubblico non riceverà nulla. La danza deve dire qualcosa. Il problema è che molti giovani pensano che la danza sia solo estetica. Una forma di espressione legata a una sequenza dei passi: mi piego, mi stendo, mi rotolo, mi alzo, mi giro, è figo, non è figo.  Ma se non hai niente da dire, il pubblico non riceve niente. L’astrattismo, che ha caratterizzato il Novecento, è astratto nella forma, non nei contenuti

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