di Maria Luisa Angrisani*
Lo studio specialistico sulla Villa di Manlio Vopisco è stato assegnato dal Sindaco in occasione della costruzione del dossier di presentazione per la candidatura Unesco 2017 di Villa Gregoriana.
Metodo di ricerca: è stato effettuato l’esame filologico di gran parte delle testimonianze storico-linguistico-letterarie relative al testimonium principe, la descrizione encomiastica della Villa composta dal poeta di età domizianea Publio Papinio Stazio, la Selva terza del primo libro. Dopo aver fissato con buona approssimazione la data di composizione (il 92 p.Cr. è il terminus post quem per la pubblicazione), sono risalita alle notizie biografiche del proprietario della villa, iniziando dalla singolarità del suo nome, l’occasione della costruzione e, teste Plinio, della disastrosa alluvione che la coinvolse.
La Vulgata con cui è stata trasmesso questo testo è basata su codices recentiores che non hanno tenuto conto delle testimonianze indirette – che attestano la conoscenza della Villa dal tardo antico in poi -, asserendo che, fino alle scoperte di età umanistica, se ne era persa completamente traccia. In realtà la mia ricerca è riuscita a reperire testimonianze, echi e riprese fondamentali, a partire da Ausonio (310-395), Claudiano (370-404), Servio (fine IV secolo), Sidonio Apollinare (430-486 e che nomina espressamente Tibur Vopisci ), Dracontio (metà V secolo), Prisciano ( a cavallo tra V e VI secolo e con il quale questo testo circola addirittura a Costantinopoli), Boezio (476-525), Servio (IV sec.). Significative testimonianze della circolazione delle Silvae durante la rinascita carolingia attestate dal manoscritto di Berlino Diaz, b 66, catalogo parziale della biblioteca di corte di Carlo Magno. Echi e imitazioni anche da parte di funzionari di Aquisgrana: lo stesso imperatore, Alcuino di York e il contemporaneo Angilberto di St. Riquier
Estremamente significative le citazioni dei pre-umanisti bolognesi, a partire dal notaio e poeta Lovato Lovati (1241-1309) che scopre a Pomposa un manoscritto del 1290 contenente le Silvae. Negli scritti poetici del Lovati ma anche del suo allievo Albertino Mussati significative reminiscenze del passo delle Silvae sulla Villa di Manlio Vopisco (I 3,110).
Echi notevoli sono presenti nel romanzo Erec di Chretien de Troyes (1136-prima del 1190) e in Giovanni Boccaccio (1313-1375).
Una seconda, fondamentale testimonianza è apportata dalla conoscenza di un vetusto codice del X secolo (L 29, 32156) da parte di Poggio Bracciolini nel XV secolo, di tradizione carolingia, forse proveniente dalla Germania occidentale. Durante il concilio di Costanza del 1417 Poggio scoprì un antico manoscritto contenente, tra le altre opere, le Silvae di Stazio che fece copiare da un amanuense definito “ignorantissimusomniumviventium”. Alla morte di Poggio fu il Poliziano, appassionato revisore di testi antichi, a riportare una serie di varianti sui margini di una copia a stampa desunte da questa scorretta trascrizione; se ne servì per il suo primo anno di insegnamento allo Studio Fiorentino (1480-’81) fino alla stesura di una editio princeps che ebbe larga diffusione nell’ambito dell’AcademiaBessarionea. Le varianti, fondamentali per la corretta edizione del testo, si ritrovano singolarmente nel codice scoperto nel 1879 nella Biblioteca Nazionale di Madrid ( MatritensisM 31 = Matritensis3678) scritto all’inizio del secolo XV e che sono state oggetto di un mio particolare approfondimento, unitamente con il Commentario, in buona pare ancora inedito, del Poliziano stesso in cui è possibile evidenziare una serie di lezioni e di postille discordanti proprio nei punti di riferimento all’ekphrasis sulla Villa di Manlio Vopisco e su cui sto tuttora lavorando dopo l’arrivo della copia del codice direttamente da Madrid.
Dopo aver osservato che il manoscritto fu portato per un certo tempo in Italia dal conestabile del regno di Napoli (e dove, presumibilmente, fu ulteriormente trascritto) il complesso ma ininterrotto iter legato alla trasmissione di questo testo permette di enucleare l’incidenza, anche a carattere divulgativo, sulla curiositas rinascimentale relativo ad una Villa romana dalle caratteristiche del tutto particolare e che ho cercato di mettere nel debito rilievo anche a livello semantico.
Dopo essermi procurata copia del codice Matritensis, sono in attesa di quello conservato a San Gallo con il tentativo di risalire all’archetipo che potrebbe aggiungere altre testimonianze soprattutto sulle fonti antiche di Stazio, anche sulla base di un secondo Commentario da esaminare edito dall’umanista arcivescovo Niccolò Perotti (1430-1480).
Fortuna della Villa di Manlio Vopisco nei secoli
La conservazione dei ruderi della villa attribuita a Manlio Vopisco rende il luogo dove sorgerà la Villa Gregoriana di eccezionale valore storico-antiquario, coniugandosi la sua descrizione, operata dal poeta latino Stazio (40-96 d. Cr.) nel I libro delle Silvae, come preziosa fonte per la conoscenza del gusto e della vita del periodo domizianeo.
Il terzo carme del primo libro è dedicato a Manlio (o Manilio) Vopisco, ricco personaggio le cui uniche notizie biografiche si ricavano dalla praefatio e il cui prenomen è trasmesso da una iscrizione tiburtina (CIL 14, 4242 = Dessau 1044)concernente suo figlio, il console del 114. Non era originario di Tivoli (tribu Camilia).
Tra caverne calcaree e cascate, ci si imbatte nei resti in opera incerta di una villa, con una sequenza di vani aperti, che, rispettando ove possibile la parete rocciosa, dovevano rendere l’idea di cavità naturali; in uno di questi ambienti vi era verosimilmente una piscina destinata all’allevamento ittico, e si scorgono ancora delle anfore affogate orizzontalmente nel muro con la sola imboccatura emergente dalla parete.
Siccome l’alluvione distruttiva avvenne poco più di un decennio dopo la descrizione della villa da parte di Stazio (Silv. l, 3, 1-110), circa il 92, e dato che Vopisco fu console nel 114 è sicuro che l’evento descritto da Plinio abbia coinvolto la sua proprietà tiburtina.
Anche se la scoperta delle Silvae di Stazio avvenne nei primi anni del ’400, tuttavia abbiamo testimonianze che attestano che esse erano già conosciute dopo la morte dell’autore con esplicite citazioni alla villa di Vopisco.
Tra IV e V secolo poeti raffinati scrissero componimenti che riecheggiavano le Silvae, a partire da Ausonio (310-395).
Claudiano (370-404) risente dell’influenza delle Silvae soprattutto nel carme 26 Aponus, dove l’amenità classica del paesaggio è incorniciata da elementi provenienti dal mondo dell’architettura, dell’ingegneria e dell’arte.
Nel suo rapporto con le Silvae Sidonio Apollinare (430-486) ne suggerisce la funzione di modello primario. Nell’epist. 6, 2-4 scrive espressamente …neque Tibur Vopisci
Le Silvae furono anche modello di Draconzio, poeta di metà V secolo.
Il grammatico Prisciano (Vsec. ex. – VI in.) cita l’opera nel suo scritto grammaticale edito a Costantinopoli, sicchè le Silvae circolarono anche nella parte orientale dell’Impero. Fa allusione ad esse Boezio (476-525) mentre Servio (IV sec. ex.) ricorda Stazio come autore di poemi epici e delle Silvae.
I problemi della fortuna di Stazio sono collegati alla scomparsa dall’Europa di tutta la cultura latina a partire dal VII secolo. L’VIII secolo è privo di fonti. Nel IX secolo, periodo della rinascita carolingia, nell’elenco di autori conservato in un manoscritto di Berlino (Diez b 66) si può leggere il catalogo parziale della biblioteca di corte di Carlo Magno dove l’opera è presente tra i libri rari. Sicuramente il testo delle Silvae era nella biblioteca imperiale di Aquisgrana, perché sia l’imperatore (epist. ad Petrum et Paulum) sia Alcuino di York (735-804), suo consigliere, imitano chiaramente Silv. 4,4,1. Echi delle Silvae anche nel contemporaneo Angilberto di St. Riquier.
In un catalogo di codici della biblioteca di Donaueschingen (Donaueschingensis del IX secolo) tra gli item del catalogo c è una lista di autori con la dicitura Ovidi metamorfoseon Sili et Stacii volumen.
Con una generazione di anticipo sui suoi contemporanei il pre-umanista Lovato Lovati (1241-1309) mostra di aver conosciuto le Silvae di Stazio, presenti in un manoscritto del 1290 contenente sue poesie (British Museum, Add. 19906). Cita in Ep. II 80 Silv. I 3,110; ep. IV 32-32 Silv. III 1, 52-54. La scoperta venne a Lovato forse da Pomposa. Nei carmi dei preumanisti padovani (Lovato, Mussati) significative reminiscenze delle Silvae, soprattutto del passo sulla villa tiburtina (Silv. I,3,110).
Infine, al X secolo risale il manoscritto L 29,32156, di tradizione carolingia, che forse proviene dalla Germania occidentale e fu conosciuto da Poggio e Poliziano.
Da questo momento in poi le Silvae sembrano scomparire fino alla scoperta di Poggio Bracciolini nel XV secolo. Ma echi erano comunque presenti nell’Erec di Chretien de Troyes (1136 – prima del 1190) e in Boccaccio (1313-1375)
Il primo discendente datato del manoscritto di Poggio fu copiato a Roma nel 1463.
Il Poliziano commentò le Silvae durante il suo primo anno di insegnamento allo studio fiorentino (1480–81); se ne conserva copia inedita nella Bibl. Naz. di Firenze, Magl. VII 973, parzialmente autografo, mutilo alla fine. Questo commento fu molto usato nell’ambito dell’Accademia Romana, promosso da Pomponio Leto (1428-1498). Verso il 1470 fu edito un altro celebre commento dell’umanista arcivescovo Niccolò Perotti (1430-1480).
* già docente di letteratura latina all’Università la Sapienza di Roma.