di Antonio Salvati
Il volume di Guendalina Middei, Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera. L’arte di leggere i classici in dieci brevi lezioni (Feltrinelli 2024, pp. 208, € 16,00) è un libro pregevole perché vuole offrire un suggerimento importante per vivere il nostro presente, cosi invaso dai media e dai social. Propone, infatti, in tempi di comunicazione veloce e immediata, di ritrovare il tempo della lettura, o meglio della lettura dei classici, come elemento di forza – e potremmo dire di “ancoraggio” – in una società che si trova a vivere in una nuova dimensione: quella che Zygmunt Bauman definiva di “modernità liquida”. Si tratta quindi di un obiettivo ambizioso e in parte controcorrente: fare un appassionato elogio dei classici potrebbe sembrare anacronistico. Eppure non è così. L’autrice sostiene che «in tanti, oggi, credono che i classici non siano libri per tutti. Belli, sì, e profondi, ma rivolti soltanto a un certo genere di lettori. Ecco, lasciatemelo dire: sono sciocchezze! Amare la letteratura non è affatto un piacere “da persone strane”. Non fatevi sviare dal pregiudizio che esistano libri inaccessibili. La lettura è l’esperienza più democratica di tutte. Non conta chi sei, quanto possiedi o che lavoro fai: ci sei tu, ci sono le pagine che hai davanti e c’è la tua voglia di capire, immaginare, conoscere». I classici – ma potremmo dire la letteratura in generale – ci strappano da un “presentismo” fatto solo di emozioni e impressioni istintive e aiutano ad avere una vera coscienza del presente, “dilatata” e sostenuta dalle esperienze e dalle narrazioni di chi ci ha preceduto, facendoci partecipi di tutti gli avvenimenti presenti e passati.
Un grande pensatore eclettico che amo molto come Stefan Zweig definiva la cultura come il vero antidoto alla barbarie. Nel suo saggio, significativo fin dal titolo. Il libro come accesso al mondo, scriveva: «Il libro ha il potere di dilatare l’anima e costruire mondi nella nostra vita interiore». Si tratta di «apprezzare il miracolo che si rinnova ogni volta che ne apriamo uno». Il saggio, del 1931, lungi dall’essere uno scritto superato, è di sorprendente attualità e parla al nostro presente. Scriveva: «il libro non ha nulla da temere dalla tecnologia: giacche essa stessa non impara forse e non si perfeziona attraverso i libri? Ovunque, non soltanto nelle nostre vite individuali, il libro e l’alfa e l’omega di ogni sapere e l’inizio di ogni scienza. E quanto più si vive in intimità con i libri, tanto più profondamente si sperimenta la totalità della vita, perché colui che ama i libri, grazie al loro aiuto, vede e comprende il mondo in modo miracolosamente potenziato, non solo con i propri occhi, ma con lo sguardo di innumerevoli anime». Ho voluto riportare questa lunga citazione per valorizzare l’intuizione della Middei che spinge all’“elogio del classico”.
La giovane autrice invita il lettore, con passione e competenza, alla scoperta di nove giganti della letteratura (Leopardi, Tolstoj, Manzoni, Mann, Kafka, Dostoevskij, Austen, Tomasi di Lampedusa e Orwel) e, contestando l’idea che serva una cultura enciclopedica per comprenderli e amarli, lo contagia con il desiderio irresistibile di leggerli. Leggere un classico è per la Middei come entrare in profonda intimità con un estraneo. Nell’atto della lettura «crolla ogni barriera, ogni resistenza; cade ogni finzione, e quell’estraneo ti diventa caro come un vecchio amico. E così, i classici sono quei libri che non ti stanchi mai di leggere e rileggere, e che senti di dover sottolineare a ogni riga. Li ricordi anche a distanza di anni, perché ormai fanno parte del tuo essere».
Un classico ti spinge «a interrogarti su ciò che stai leggendo e, di riflesso, sulla tua stessa esistenza: “Perché Raskol’nikov ha ucciso?”, “Perché Elizabeth Bennet è incapace di accettare l’amore di Mr. Darcy?”, “Perché Thomas Buddenbrook odia così tanto suo fratello?”. Pensiamo a loro, a come sono, viviamo le loro storie… e intanto ragioniamo su noi stessi». Emblematicamente l’autrice ricorda l’esperienza della lettura del suo primo classico. Come molte quindicenni mi sentivo come una barca alla deriva, poi mi imbattei in questo tomo dall’aria vissuta. (…) Non riuscivo a smettere di leggere, perché quel libro, quelle parole, scritte più di un secolo prima da un autore russo dal nome quasi impronunciabile, esprimevano con incredibile precisione quello che non riuscivo a formulare in modo sensato neppure a me stessa. Era come se quel libro mi conoscesse da sempre. Mi assalì un brivido, e mi sentii più viva che mai: più consapevole di essere al mondo, di esistere e di non essere soltanto un’altra adolescente annoiata, senza scopo e senza rotta. Scoprii un mondo ben più vasto e ricco di quello che ero solita abitare: quel libro aveva destato in me qualcosa che neppure immaginavo esistesse». La Middei – che nella vita fa l’insegnante – tocca una questione nodale: quella di avvicinare i nostri giovani alla lettura. Non è infrequente leggere analisi impietose sulla progressiva perdita d’importanza della letteratura. Soprattutto tra i giovani, per molti dei quali è forte la convinzione che la letteratura sia qualcosa di inutile, in quanto non fornisce un profitto materiale, tangibile. Da qualche decennio i mezzi audiovisivi monopolizzano sempre di piu il tempo che gli esseri viventi dedicano allo svago e al divertimento sottraendolo alla lettura. Non sono pochi coloro che prefigurano, come possibile scenario storico del futuro, una società tecnologicamente avanzata e affollata di dispositivi per restare perennemente connessi, e senza libri o, meglio, in cui i libri – la letteratura – diviene una curiosità anacronistica, praticata da esigue minoranze. Ho sempre creduto che ci sono cose che solo la letteratura può dire con i suoi mezzi espliciti. Anche in un mondo sempre più dominato dai social e dalla rete e possibile utilizzare lo spazio letterario per interrogare sé stessi, per capire la propria soggettività e il proprio tempo. Da insegnante credo che la letteratura riesce a soddisfare il bisogno e il desiderio degli studenti – quando opportunamente stimolati – di entusiasmarsi e perdersi dietro dei romanzi, magari coinvolgendo tecnicamente anche social e rete. Se opportunamente interessati – anche quando non ne avessero piena coscienza – seguono con entusiasmo, anche negli istituti scolastici periferici o emarginati. Senza la letteratura siamo tutti più poveri. Quando i giovani non sono in possesso di adeguati strumenti linguistici (per ragioni di vario tipo: sociali, economiche e familiari) – direbbe Gianrico Carofiglio – «mancano le parole che dicono la paura, la fragilità, la differenza, la tristezza, manca la capacità di nominare le cose», mancano le emozioni e, conseguentemente, «un meccanismo di controllo sulla realtà e su sé stessi». Si è riproposta più volte l’annosa questione se è opportuno obbligare i ragazzi alla lettura. Conosciamo la frase di Gianni Rodari per la quale il verbo leggere non sopporta l’imperativo, resa celebre in seguito
da Daniel Pennac. Effettivamente quando si viene obbligati a una certa attività, si finisce spesso con lo sviluppare avversione nei suoi confronti. Tuttavia, credo fermamente, come scriveva saggiamente alcuni anni fa lo storico della letteratura Vittorio Spinazzola, che «nessuna programmazione educativa può far a meno di un aspetto impositivo. La questione è di equilibrarlo con un aspetto di rispondenza agli interessi mentali, la sensibilità espressiva, i codici di valori delle giovani generazioni nella stagione formativa». La lettura, a scuola ma non solo, spesso rappresenta la preziosa occasione di dialogo tra le generazioni. Leggere – spiego spesso ai miei allievi – ci pone infatti a contatto, e a confronto, con vite, reali o immaginate, diverse dalla nostra: quale migliore educazione all’alterità? Leggere, poi, ci fa provare emozioni. Sempre narrare ha costituito una fondamentale facoltà sociale: ogni cultura ha affidato alla narrazione, al racconto, al mito, il senso di una memoria condivisa. È attraverso le parole che si connettono in un racconto che possiamo capire chi siamo, che cosa viviamo, che cosa pensiamo, i nostri sentimenti, le nostre paure, le nostre attese. L’attività-inattiva in cui consiste l’atto di leggere – ha acutamente osservato Corrado Augias – è un’operazione comunque innaturale. Tutto ciò che nel lettore «si agita avviene nei pochi centimetri cubi del suo cervello. La sollecitazione delle cellule nervose, gli scambi tra le sinapsi gli danno eccitazione erotica, commozione sentimentale, divertimento, partecipazione, nella sua mente s’accendono ideali, balenano nostalgie, ci si commuove, si ride, affiorano ricordi sepolti». Comprendo che oggi molti giovani abbiano poca voglia di leggere, almeno sulla carta. Oggettivamente i grandi capolavori della letteratura ottocentesca, che permettono di sondare la natura umana meglio delle scienze cognitive, richiedono un poderoso impegno per essere letti. Un’attività troppo intensa, considerando la velocita con la quale e abituato a correre un giovane del XXI secolo. Guardare è decisamente più semplice, compresa la visione per interposto telefonino o tablet. Leggere richiede non solo tempo – spiega Augias – «ma un’attenzione concentrata, guardare invece si può fare in molti modi, compreso quello di guardare senza vedere». In tanti anni di insegnamento – e di lettura – ho compreso che per insegnare la letteratura occorre fornire indicazioni sulla lettura. La lettura, quella vera, quella che in termini tecnici è detta “lettura profonda”, ha bisogno di tempo e di silenzio sia per acquisirla come abilità, sia per non perderla. Si tratta di una competenza importante, da salvaguardare perché non innata e diversa dalla varietà di esperienze digitali caratterizzate da velocità, superficialità e frammentarietà che, come sostiene Maryanne Wolf, impediscono la formazione di processi cognitivi lenti quali il pensiero critico, la riflessione, l’immaginazione e l’empatia. A differenza della lettura digitale, quasi tutta “utilitaristica”, finalizzata all’informazione immediata e alla comunicazione personale, la lettura profonda è importante, perché porta a vivere esperienze ed emozioni diverse e a sentirsi più liberi. Essa regala un tempo “altro” che, allontanando per un po’ il lettore dalla sua realtà contingente, gli offre una storia che placa la sua «sete di racconto», lo mette in relazione diretta con l’autore, gli permette di capire, gli regala intimità con i suoi stessi pensieri. Spetta alla scuola un’importante e impegnativa sfida: avvicinare i nostri giovani alla letteratura che non è proprio in cima ai pensieri degli studenti. Come coinvolgerli ed interessarli? Alcuni insegnanti, soprattutto quelli come me con decenni di insegnamento alle spalle, lamentano che in passato, forse, si poteva dare per scontata una diffusa familiarità con l’esperienza letteraria. Oggi mi sforzo di far sì che le letture che propongo interagiscano con le loro coscienze, ovviamente nei modi propri della letteratura. Certamente non ci riuscirò con la maggior parte di loro; gioisco quando ci riesco con qualcuno. Tuttavia, da tutti pretendo che comprendano la densità del testo letterario, la pregnanza dell’uso delle parole e l’importanza dei temi toccati.