«La vita è fatta di movimento, movimento di persone, movimento di idee. La vita è fatta di migrazione. Lei non sarebbe italiano se le persone non fossero migrate e, se le persone non fossero migrate, io non sarei una donna africana. Noi siamo perché altri sono migrati e altri saranno perché siamo migrati noi». Lo ha detto via Zoom Koyo Kouoh a Mattia Feltri sulla Stampa di mercoledì 4 dicembre nella sua prima intervista ai media italiani a ridosso della nomina a direttrice della Biennale arti visive del 2026 da parte dell’ente veneziano presieduto da Pietrangelo Buttafuoco.
Nata nel 1967 a Douala in Camerun, emigrata nel 1980 a Zurigo con i genitori, la curatrice anche parla italiano appreso in Svizzera e «ascoltando Battiato», spiega nella conversazione con la Stampa. Fatto inconsueto nel mondo dell’arte, è laureata in economia, ha lavorato in banca piantando però quel posto sicuro rischiando economicamente per lavorare in settore molto più insicuro, in termini di retribuzione certa. Quando ha lasciato quel posto sicuro per l’arte, ricorda, sua madre «ha pianto per giorni».
La nomina conferma che l’Africa, il continente con la popolazione più giovane del pianeta, viene sempre più spesso riconosciuta anche dalla cultura italiana e da un parterre occidentale. Cittadina camerunense e svizzera, cosmopolita, Koyo Kouoh non è la prima direzione di origine africana della Biennale.
Il primo è stato il curatore, scrittore e giornalista nigeriano Okwui Enwezor, nel 2015, scomparso purtroppo nel 2019 a 55 anni, che approntò una mostra molto politica, d’ispirazione anche marxista. A seguire è del 2023 la direzione della Biennale d’architettura della ghanese-scozzese Lesley Lokko.
Adesso è la volta della direttrice esecutiva e principale curatrice dello Zeitz Museum of Contemporary Art Africa (Zeitz Mocaa) a Città del Capo, in Sudafrica, il più grande museo d’arte africana contemporanea, autrice di numerosi saggi e curatrice di mostre internazionali. Come dice la biografia della Biennale, vive e lavora tra Città del Capo, Dakar, Basilea, ha lavorato a Bruxelles, in Irlanda, Mosca, Londra New York, Berlino, è un’intellettuale pienamente inserita nel circuito internazionale.
Com’è il museo Zeitz di Città del Capo. Al riguardo, per intuire il lavoro della critica d’arte, possiamo riferirvi che il museo si trova in un gigantesco ex silos nella zona completamente ammodernata presso il porto di una delle tre capitali sudafricane (sono tre, divise per sfere di competenza, le altre sono Pretoria e Johannesburg). L’architettura è impressionante: l’interno con il cemento a vista, l’altezza dei vani, le dimensioni dell’edificio possono evocare scenari futuribili alla Blade Runner e invece è il presente. Visitato nell’autunno del 2022, lo Zeit Museum si è dimostrato ben adatto alle espressioni di artiste e artisti del continente africano dotate di forte vitalità, di capacità inventiva tra installazioni, film, fotografia e pittura.
In mostra nel 2022 allo Zeitz Museum. Le foto di Zanele Muholi e gli scatti di Isaac Julien da un suo film, le installazioni di Joel Andriano Mearisoa e di Nicola Hlogo, Tracey Rose che con la personale “Shooting Down Babylon”, curata proprio da Kouoh, affronta con immaginazione e spirito pungente argomenti maschilismo e imperialismo attraverso foto, pittura, video, sono solo alcune delle opere che hanno reso ricca e illuminante la visita. Se questo era l’indirizzo estetico dello Zeitz Museum nel 2022, si può ben sperare sulla Biennale 2026. Come sempre, però, si potrà dire solo vedendo.
Non ultimo, è giusto registrare un implicito messaggio politico-culturale sulla scelta della curatrice. L’ha proposta al cda dell’ente Buttafuoco, presidente nominato dall’attuale governo di destra, intellettuale e scrittore di destra convertitosi all’Islam: con questa scelta, conferma essere come più intellettuali lo hanno descritto, ossia figura non allineata, dotato di indipendenza, come di essere pronto ad affrontare eventuali polemiche nazionaliste dal fronte destro se putacaso scatteranno.