di Alessia de Antoniis
Scritto e diretto da Stefania Porrino, con Daniela Poggi e Mariella Nava, e supportato dalla Global Thinking Foundation, Figlio non sei più giglio, spettacolo teatrale che si inserisce nel dibattito urgente sui femminicidi e la cultura della violenza, è stato accolto alla Camera dei Deputati. Un’opera che nasce dall’incontro di tre donne – una scrittrice, un’attrice e una musicista – che, rifiutando di considerare normale il continuo susseguirsi di femminicidi, si pongono delle domande cruciali: Come prevenire? Come educare? Come trasformare i rapporti tra i sessi?
In un’alternanza di prosa e musica, la drammaturgia della Porrino cerca di superare gli stereotipi e le narrazioni semplificate che spesso riducono il problema della violenza di genere a una questione di malfattori o mostri, quando in realtà si tratta di un fenomeno che affonda le sue radici in una cultura collettiva da ripensare e rigenerare.
La guardavi negli occhi, mentre la colpivi, mentre lei gridava, la guardavi negli occhi. Non sei riuscito a vedere in quegli occhi di donna gli occhi di una madre così simili agli occhi di tua madre… recita una Daniela Poggi inorridita. C’è un elemento che, secondo Stefania Porrino, gioca un ruolo cruciale, oltre alla difficoltà della società di sviluppare una maturazione affettiva sana e all’incapacità di molti uomini di gestire le proprie emozioni. È la relazione possessiva e talvolta morbosa che alcune madri intrattengono con i propri figli maschi, una dinamica che potrebbe contribuire alla perpetuazione della violenza.
Colpevole, colpevole, figlio non più giglio. Figlio assassino di una donna come me. Il flusso del monologo addolcito dalla musica della Nava. Il potere del teatro, del monologo, di trascinare lo spettatore nel flusso di pensieri, emozioni, di domande lasciate aperte, e quello della musica di lasciar vibrare le emozioni. Una storia antica che si ripete: il teatro come il femminicidio. Ma ci sono figure che non vengono mai indagate: le madri dei femminicidi. Cosa prova la madre di un femminicida? Io non ti conosco, ma forse non ti ho mai conosciuto. … Ma tu conosci davvero il suo cuore, la sua mente?
Un coro a due voci, quella calda, vellutata di Mariella Nava e quella scura, dura – come il suo volto – gelida, di Daniela Poggi; morta come madre di un figlio che non è più giglio; con i suoi occhi vitrei, privi di ogni emozione – Il mio sole si è spento. Non ho più motivo di vivere.
Una Poggi che si aggira disorientata – Cosa non va in te? Cosa c’è di sbagliato in me? – chiusa nei ricordi di una donna rivolta al passato. Mentre la musica della Nava è sempre pronta a portare umanità, nostalgia, il calore dei ricordi, la luce dei sentimenti.
Stefania Porrino firma un testo immediato, in nome di ogni donna che ancora grida e ancora griderà. In nome di ogni donna che ancora nascerà. Una drammaturgia essenziale, senza fronzoli, che accende la luce su una donna non uccisa, madre perdente, fallita, incapace, tradita. Una donna piegata su se stessa alla quale una vita è rimasta. Ma che cosa me ne faccio di questa vita inutile? Sono io che chiedo perdono per averti messo al mondo.
Alla fine dell’emozionante testo della Porrino, una domanda resta: questi figli hanno solo una madre?
Presente alla replica presso la Camera dei Deputati, l’On. Martina Semenzato, Presidentessa della Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio e su ogni violenza di genere.
Il fatto di essere qui significa che non ci dobbiamo ricordare delle donne solo il 25 novembre?
La lotta ai femminicidi passa attraverso la sensibilizzazione continua. Oggi siamo in una giornata completamente decontestualizzata dal 25 di novembre, dall’8 di marzo, ma io sono la donna del 26 di novembre, sono la donna del 9 marzo, perché gli eventi quotidiani ci dicono che questa sensibilizzazione deve essere continua, deve essere costante.
Ecco perché mi preme portare all’attenzione di tutti il grande tema della corresponsabilità di famiglia, scuola, società civile e politica. E metto la politica all’ultimo posto, perché bisogna riappropriarci dei modelli educativi che nascono in famiglia. La scuola è un grande amplificatore dell’educazione, a cui non possiamo demandare tutta l’educazione, ma che può agire con interventi mirati. Un tema d’inchiesta della mia commissione è la violenza economica e l’indipendenza economica nel lavoro. Perché mentre si fa fatica ad individuare un’azione che elimini i femminicidi, possiamo invece pensare di intervenire sulla violenza psicologica, fisica e di natura economica, da cui origina la limitazione della libertà delle donne.
Perché ha deciso di supportare questo spettacolo?
Sono rimasta affascinata da questo progetto, perché noi parliamo sempre delle donne vittime di femminicidio, dei figli, degli assassini, mentre qui spostiamo l’attenzione su una madre di un femminicida.
Progetti simili penso siano fondamentali per destrutturare un fenomeno che è strutturale, che fa parte della nostra vita. L’arte, la musica, il teatro, la scrittura, i libri, sono linguaggi fondamentali di cui dobbiamo appropriarci per avere strumenti nuovi contro la violenza di genere; e che non siano solo quelli normativi. Strumenti normativi che non devono avere colore politico. Per questo sono pienamente soddisfatta che la commissione da me presieduta abbia approvato all’unanimità la relazione “Ricognizione degli assetti normativi in materia di prevenzione e contrasto della violenza di genere per la redazione di un testo unico”, strumento validissimo per tutti gli operatori ma anche, secondo me, uno strumento che possiamo usare, adattandolo, nelle scuole di ogni ordine e grado per spiegare dove affonda le radici la violenza di genere
Ha suscitato un forte dibattito il film Il ragazzo dai pantaloni rosa, inizialmente bloccato in alcune scuole di Treviso, su iniziativa di genitori, presidi e docenti. Andrea era un ragazzino di 15 anni che si è suicidato per violenza di genere, la cui radice è comune a quella verso le donne. Cosa riuscite realmente a fare, in questo momento storico, per portare questa cultura nelle scuole?
Le rispondo con il mio lavoro. Sono anche un promotrice di una legge per l’istituzione della giornata contro il body shaming, il 16 di maggio. Confermo che c’è una corresponsabilità della famiglia. L’educazione e il rispetto devono venire dalla famiglia, anche alle diversità, che non sono diversità ma la normalità della vita. Avevo sentito il sindaco di Treviso Mario Conte, che mi aveva detto che si sarebbe attivato per portare questo film nelle scuole e usarlo come strumento educativo. È importante come spieghiamo le cose, come le narriamo, come le raccontiamo, in primis come genitori, poi come scuola e poi come società civile. Non è solo la politica, non è solo l’istituzione. Non risolveremo il bullismo, la discriminazione e la violenza di genere solo con una legge, ma attraverso il cambiamento culturale. Dobbiamo cambiare prima di tutto noi, noi quarantenni e noi cinquantenni. I giovani hanno bisogno del dialogo, non di parlare attraverso il telefono, non di rimanere chiusi dietro un profilo social. Urge ritornare al dialogo, quello che avevamo noi nelle nostre famiglie, che era anche scontro, confronto, crescita con una visione diversa. Dobbiamo riappropriarci di quel dialogo familiare che sta sparendo.
Argomenti: femminicidio