"Giulia mia cara! Giorgio": Maria Mauti racconta Giulia Lazzarini

Presentato alla Festa del Cinema di Roma il ritratto inedito di Giulia Lazzarini tra le lettere di Strehler e il Piccolo Teatro di Milano

Giulia Lazzarini e Giorgio Strehler - intervista a Maria Mauti per Giulia, mia cara! Giorgio - di Alessia de Antoniis
Giulia Lazzarini e Giorgio Strehler - Piccolo Teatro di Milano
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5 Novembre 2024 - 16.17


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di Alessia de Antoniis

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Presentato in anteprima al Maxxi nella sezione Freestyle della Festa del Cinema di Roma, Giulia mia cara! Giorgio di Maria Mauti offre un ritratto intimo e inedito di Giulia Lazzarini, una delle più grandi attrici italiane. Il film, prodotto da Ladoc e FIilmmauti in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, segue la messa in scena di uno spettacolo basato sulle lettere che Giorgio Strehler scrisse alla sua attrice simbolo.

Giulia mia cara! Giorgio. Così iniziano e finiscono le lettere che Giorgio Strehler scrive all’attrice Giulia Lazzarini, prima o dopo uno spettacolo. Le ultime raccomandazioni, gli ultimi cenni d’amore e di paura per i suoi attori. Poi Giulia resta sola in scena, lei e i suoi personaggi. Il film parte da questo dialogo elettivo tra il regista e una delle attrici più importanti nel panorama italiano. Insieme alle lettere, Giulia torna a dare vita a frammenti di monologhi memorabili: Beckett, Shakespeare, Jouvet, Ginzburg e Brecht. “Il teatro è la parabola del mondo”, le scrive Strehler: un mondo che Giulia Lazzarini attraversa con straordinaria sensibilità, rivelando sul palco, come nelle sue parole, la potenza di un’arte che riesce a incarnare la condizione umana.

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E sullo sfondo una Milano che sembra diventare uno dei protagonisti.

Sì, Milano è una protagonista del film – racconta la regista Maria Mauti – È la città di Giulia, dove è nata e vive, e ha un’importanza significativa anche per il mondo teatrale. Nella pellicola si vedono i teatri di Milano, dal centro alla periferia, che per me, amante del teatro, rappresentano luoghi di resistenza e memoria. Ho scelto di riprenderli nelle prime ore del giorno, quando la città è vuota e deserta. Questa idea mi è venuta anche ispirandomi al finale di Roma di Fellini: volevo un’immagine della città di notte, che non fosse edulcorata o idealizzata. In questi momenti di solitudine, i teatri assumono una presenza autonoma, diventando personaggi assoluti, senza distrazioni attorno.

Come è riuscita a bilanciare gli aspetti intimi delle lettere di Strehler con il materiale pubblico d’archivio?

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Le lettere avevano già una vita pubblica: le ho conosciute attraverso il libro in cui sono pubblicate, non tramite Giulia. Io e Giulia ci siamo incontrate per il mio film precedente, L’amatore, sul grande architetto milanese Pietro Portaluppi. Lì ho visto da vicino la sua dedizione e il suo approccio meticoloso al lavoro mentre lavorava al testo di Scurati. Questo percorso insieme ha fatto crescere la nostra intesa. In seguito, durante la pandemia, ho sentito il desiderio di raccontare Giulia come attrice, ma non attraverso un film biografico. Amo gli archivi, ma non volevo fare un film su un’attrice da ricordare, perché Giulia è ancora attiva; poche settimane fa era sold out al Teatro Studio Melato. Ho voluto mostrarla in azione, come interprete al presente. Le lettere rappresentano una finestra che rende possibile questa esplorazione senza invadere troppo il lato privato. Una lettura di lettere provate in maniera teatrale: questo è il taglio che volevo dare al film; come se stessimo provando uno spettacolo. La fatica maggiore, per Giulia, è stata forse quella di stare dentro e fuori, nello stesso momento, a un materiale che è sia pubblico che privato: entrare in questi materiali d’archivio che chiedono di tornare ad essere vivi attraverso la sua voce, come se i personaggi che lei ha interpretato nella sua carriera volessero venir fuori e parlare al presente.

Strehler era un personaggio dominante. Nel film, mi sembra di cogliere una tensione tra la delicatezza di Giulia e la personalità imponente di Strehler…

Giulia è una donna raffinata ed esile, ma con una forza interiore straordinaria. Nel rapporto con Strehler, era consapevole del proprio ruolo: assorbiva e trasformava le sue indicazioni, senza subire passivamente. C’era un’intesa profonda tra di loro, una condivisione della ricerca artistica. Come dice nella prima lettera: “noi ci siamo sempre, non c’è bisogno di dire tra noi, capiamo”. In una scena, ad esempio, vediamo questo processo in azione: Giulia prende le indicazioni di Strehler e le rende proprie, interpretandole a modo suo. Questo equilibrio tra il loro dialogo e la forza di Giulia come interprete emerge anche in Elvira.

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C’è una scena in cui Strehler scrive a Giulia: “Giulia mia cara, come sei eternamente piccola”. È una frase che rispecchia la percezione che Strehler aveva di lei?

Quella frase è emblematica. Strehler capiva che, nonostante la delicatezza apparente di Giulia, lei aveva molte possibilità interpretative. L’ha spinta a esplorare ruoli molto diversi tra loro, come quello di Madre Coraggio, personaggio spietato e violento. Giulia ha dato vita a tutte le passioni umane attraverso i personaggi, anche a quelle più lontane dal suo aspetto esteriore.

Non stiamo parlando di un’attrice sottomessa che assorbe, ma di un’attrice consapevole che sapeva che lui l’avrebbe aiutata a trovare ogni volta il meglio. Lei assorbe quello che lui le dà e lo trasforma. C’è una grande forza di Giulia anche nel resistere a questo processo; lo vediamo con Ariel, dove dietro ai movimenti che fa Giulia, la voce, l’espressione, si vede un lavoro incredibile che nasce naturalmente da questo dialogo con un regista capace di avere una visione potente.

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Cosa l’ha spinta a scegliere Giulia per interpretare le lettere di Strehler?

Sentivo che solo Giulia poteva rendere il vero significato delle parole di Strehler. Anche se le lettere sono pubbliche, portano con sé un insegnamento teatrale unico, che solo lei poteva trasmettere. L’ho percepito come un atto necessario per onorare questo legame e il suo valore profondo. Sapevo che nessuno poteva leggerle come lei.

Nonostante il film sia su Giulia, è inevitabile che Strehler rimanga una presenza dominante. Come ha affrontato un simile gigante?

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Strehler è una presenza inevitabile, certo, come un’assenza che torna al presente, quasi come un fantasma. Anche solo ascoltare la sua voce durante una trasmissione radiofonica mi aveva impressionato: con poche parole, apriva un mondo. La voce ha questa potenza unica, capace di riportare una persona al presente in modo quasi più forte di una fotografia. Strehler è una presenza sempre viva, specialmente nelle scene in cui non lo vediamo ma lo sentiamo, come se fosse lì a spingere Giulia a raggiungere il massimo delle sue possibilità interpretative.

Giulia si è sempre riferita a Strehler come “Dottore”, nonostante il loro lungo rapporto professionale e personale. È un dettaglio che racconta molto del loro rapporto. Anche se erano legati da una grande amicizia artistica e umana, Giulia ha sempre mantenuto quel distacco. Credo che questo rispetto reciproco abbia contribuito alla straordinaria qualità delle interpretazioni di Giulia, che hanno saputo rispecchiare in modo unico la visione di Strehler.

Lei ha fatto un film che potremmo definire un estratto del testamento di Strehler, quando lui dice: “Ho vissuto come tanti della mia generazione, resistendo, per quanto possibile, alla demenza, alle atrocità che diventavano sempre più universali” (…) opere che  “sono diventate, e lo erano già allora, il simbolo di una lotta inconciliabile per la difesa di alcuni valori dello spirito, della ragione dell’uomo contro la barbarie, la follia e la crudeltà che stavano invadendo, con i loro mostri, l’Europa e il mondo. Quei mostri però, sono sempre pronti ad essere partoriti oggi, domani come ieri, dal ventre fecondo dell’intolleranza, della tirannia, dell’ingiustizia e della mancanza d’amore

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Il senso del film è lì. Questo teatro che sopravvive sembra scritto oggi e raccontato a noi nel 2024. Ho detto a Giulia: questo film non è per le persone che ti conoscono già. Tutti quelli del Piccolo riconosceranno qualcosa. Anche di testi come La Tempesta, che io non ho visto. Questo è un film fatto per chi non conosce Giulia e il lavoro di Strehler e del Piccolo Teatro. Che racconta di un teatro che Giulia incarna ancora. “Contro la barbarie e ogni mancanza d’amore”: lì c’è tutta l’urgenza di questo film. Attraverso Giulia, attraverso questa storia, il film vuole parlare alle nuove generazioni di attori,  ma anche a chi non conosce il teatro, dove si incontrano personaggi che vanno al di là della storia in sé, che parlano dell’esistenza umana; di un resistere, di passare la notte e di un nuovo giorno. Raccontare il teatro attraverso il cinema è semplicemente un modo per diffonderlo di più. E comunque cinema e teatro, pur diversi nella messa in scena, sono simili nel processo creativo.

Quando Strehler dice: ci sono due modi di fare teatro, uno è superficiale e uno è proiettato in profondità, in altezza, verso l’infinito. Questo vale per tutto, non solo per il teatro; parla a tutti, qualsiasi cosa tu faccia, qualsiasi missione tu ti senta nella vita.

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