di Margherita Degani
Il 3 maggio 1469 nasce a Firenze Niccolò Machiavelli, celebre storico, diplomatico e filosofo italiano che operò nell’ambito della Repubblica fiorentina. L’aggettivo machiavellico, deriva dalla figura appena citata. La vera problematicità della parola, però, non dipende tanto da quest’associazione, quanto dal significato improprio che ha assunto nel tempo.
L’Enciclopedia Treccani ci dice l’aggettivo: “conforme alle dottrine di Niccolò Machiavelli, come sono state spesso interpretate, soprattutto in passato, ossia con enfasi particolare sul cinismo e sulla spregiudicatezza che sarebbero giustificati in un governante il quale persegua il fine della conservazione del proprio potere. Il termine è riferito in particolare ai comportamenti e alle strategie di chi non rifugge dall’usare l’’inganno e la violenza per ottenere vantaggi politici, ed è più in generale usato per connotare modi di pensare e di agire astuti e subdoli, o persone prive di scrupoli”.
Si tratta di un’evidente interpretazione critica della sua dottrina politica, in gran parte riassunta dall’abusata espressione “il fine giustifica i mezzi” che la vulgata gli attribuisce. In realtà, questa frase non è mai stata pronunciata da Machiavelli e sembra invece provenire da un’annotazione fatta da Napoleone all’interno della propria copia.
Niccolò Machiavelli poté osservare da vicino i meccanismi del potere e del governo di cui parla ampiamente nei suoi testi. I primi passi dell’opera più conosciuta, il Principe, risalgono al 1513 ed è questo il testo che forse riassunse maggiormente le sue esperienze degli anni politici. Pubblicato solo cinque anni dopo la morte dell’autore, già all’epoca non venne accolto con calore ed in breve fu incluso nell’Indice dei libri proibiti. Solo durante l’Illuminismo ottenne nuova attenzione.
Qui Machiavelli espone le sue idee riguardo al concetto di “ragion di stato” e tratta il valore dei comportamenti tanto crudeli quanto pietosi, perché il libro avrebbe dovuto essere, secondo le sue intenzioni, un trattato pratico su come esercitare efficacemente il potere.Si ispirò soprattutto alla figura di Cesare Borgia, che per lui aveva incarnato le virtù necessarie allo scopo; queste ultime non devono essere per forza positive o morali, ma assicurare al meglio il potere. Contrariamente alla vulgata, ciò non implica che non esistano delle importanti questioni etiche da considerare.
L’autore stesso ne era be consapevole, infatti si domanda con preoccupazione se un governante debba essere primariamente amato oppure temuto. L’ideale, ci spiega, sarebbe riuscire ad interiorizzare entrambe le posture, ma nell’eventualità che le circostante portino ad una scelta obbligatoria, allora «è molto più sicuro per il principe essere temuto che amato, quando fosse assente uno dei due. Perché, degli uomini si può dire in generale questo: che sono ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori dei pericoli, desiderosi di guadagno.E, mentre fai loro del bene, sono tutti tuoi, ti offrono il sangue, la roba, la vita, i figli, quando il bisogno che tu hai di loro è lontano; ma, quando esso si avvicina,essi si rifiutano e si ribellano. E il principe, che si è fondato sulla loro parola, trovandosi senza altra difesa nel momento del pericolo, va incontro alla rovina». Specifica anche che è stata la crudeltà di Borgia a portarlo al successo in Romagna, “unitola, ridottola in pace e in fede”.
Altrettanto celebri sono le metafore animalesche impiegate per descrivere le due caratteristiche principali del suo governatore ideale, quella del leone e della volte, sinonimi di astuzia e forza da mostrare e dissimulare in base alla necessità. Tutto questo potrebbe condurci a credere nella corretta definizione del termine, per come presentata in apertura. A ben vedere, però, quanto detto non significa che per Machiavelli la crudeltà sia auspicabile, anzi è un atteggiamento da usare solo con buona misura. E ribadisce che chiunque raggiunga la posizione di potere attraverso mezzi crudeli, appena possibile debba anche cambiare il suo modo di agire, conquistando il favore dei sottopostiin altri venerabili modi.
Tirando le somme, che l’accezione moderna faccia riferimento ad atteggiamenti e modalità di pensiero particolarmente sottili, intriganti e spregiudicati è un’inesattezza. Proprio da questa forzatura e dallo sfasamento di significato che si è cercato di riportare nasce l’associazione dell’ideale politico di Machiavelli ai concetti di cinismo, esasperata furbizia ed acritica spregiudicatezza. Tanto più che l’autore, a quell’altezza temporale, si stava anche dedicando ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, squisitamente legati ad una forma di governo completamente diversa, la repubblica, che pure molto amava. Sebbene sia stato reso l’antonomasia dell’uomo subdolo e senza scrupoli, ci scordiamo troppo spesso che Machiavelli è stato – e resta- soprattutto un teorico della politica.
Dopotutto potrebbe avere ragione Foscolo, che all’interno dei Sepolcri cita «quel grande/ che temprando lo scettro a’ regnatori/ gli allor ne sfronda, ed alle genti svela/ di che lagrime grondi e di che sangue». Colui che fondò la moderna scienza della politica.