Gli ultimi giorni: intervista a Brian Evenson
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Gli ultimi giorni: intervista a Brian Evenson

Che succede a un lettore alle prese con una storia che ruota intorno a una fantomatica “Confraternita della Mutilazione”, una setta di adepti all’auto-amputazione?

Gli ultimi giorni: intervista a Brian Evenson
Brian Evenson
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21 Aprile 2024 - 01.05


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di Rock Reynolds

Che succede a un lettore alle prese con una storia che ruota intorno a una fantomatica “Confraternita della Mutilazione”, una setta di adepti all’auto-amputazione? Raccapriccio e rigetto non rischiano di dissuaderlo? Lo abbiamo chiesto a Brian Evenson, autore americano di successo, in bilico tra horror e realismo macabro.

Il suo romanzo Gli ultimi giorni (Nottetempo, traduzione di Orso Tosco, pagg 251, euro 16) si apre con un colpo di genio: l’agente sotto copertura Kline, dopo che un uomo con una mannaia gli ha amputato una mano e lui se l’è cauterizzata da solo, vive da recluso. Un giorno, riceve l’inquietante telefonata di due tizi che sanno molto sul suo conto e che lo invitano ad andare con loro alla sede della Confraternita della Mutilazione, il cui capo gli chiede – o meglio, gli ordina – di indagare su uno stravagante omicidio.

Che impatto ha avuto il mormonismo sulla sua formazione culturale?

«Quando scrissi il mio primo romanzo, Altmann’s Tongue, insegnavo alla Brigham Young University, l’università dei mormoni, e quel libro fu all’origine di una controversia che mi costrinse ad abbandonare l’ateneo. Ne ricavai l’impressione che per qualcuno il mio libro fosse importante, magari senza esserne entusiasta. Ciò mi spinse a portare avanti le mie idee. In fondo, al cuore del mormonismo sta il binomio scelta-responsabilità.»

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Il fondatore del mormonismo, Joseph Smith, fu assassinato e Brigham Young, l’altra sua icona, dovette superare dure prove per portare la sua carovana di esuli nella Terra Promessa, lo Utah. Anche questo ha impattato su di lei?

«Il martirio di Joseph Smith è la storia per eccellenza dei mormoni. C’è un altro fatto curioso: è risaputo che un nipote di Brigham Young era un vero e proprio serial killer e il mio romanzo La colpa ne parla. E poi c’è un episodio inquietante, il massacro di Moutain Meadows: mormoni travestiti da pellerossa che uccisero coloni non mormoni, scaricando la responsabilità su indiani innocenti. Jon Krakauer ne ha scritto ne In nome del cielo, un libro sul rapporto tra violenza e mormonismo, un tema che mi ha sempre affascinato.»

La sua propensione per le mutilazioni le ha attratto parecchie critiche. Si è mai autocensurato?

«Nel mormonismo, di autocensura ce n’è tanta. Dunque, mi sono semplicemente chiesto come scrivere Gli ultimi giorni in modo efficace, senza far ricorso a scene di violenza gratuita. E ho evitato volutamente rappresentazioni grafiche e sanguinolente. Molti si sentono disincentivati dal leggere questo mio romanzo, sapendo che ha al centro la Confraternita della Mutilazione, ma io penso che sia un libro buffo, carico di ironia.»

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La sua presunta passione per le mutilazioni è un semplice artificio narrativo o c’è qualcos’altro?

«All’inizio del libro, cito un passo del Vangelo secondo Matteo: “E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala”. È il punto di partenza di una riflessione che ho fatto: cosa succederebbe se una persona prendesse alla lettera tale precetto? Le religioni spesso puntano all’astrazione dalla mondanità e, dunque, ho voluto esplorare l’estremizzazione pratica di tale idea.»

È stato mai tacciato di incitamento a violenza e autolesionismo?

«Qualche critica del genere l’ho ricevuta, soprattutto con il mio primo romanzo. Credo che chi mi ha rivolto tale critica lo abbia fatto perché la mia scrittura non gli piaceva e perché non voleva affrontare il mio libro. Non credo che nulla di ciò che ho scritto abbia mai provocato violenze e autolesionismo proprio perché i miei libri sono ironici, satirici. Se uno legge Gli ultimi giorni e si sente portato alla violenza, significa che lo ha frainteso totalmente e che ha qualche problemino. Peraltro, nulla di ciò che scrivo è particolarmente semplice e non credo che una personalità disturbata riesca a leggermi.»

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Si considera un autore horror?

«All’inizio della mia carriera, no. La prima persona che mi abbia mai definito horror, horror “letterario” per l’esattezza, fu Peter Straub, autore della prefazione de Gli ultimi giorni. Un’etichetta che al tempo mi parve bizzarra, ma poi mi accadde una cosa ancor più strana: vinsi un prestigioso premio letterario in ambito horror. E così lessi i libri di qualche autore caro a Straub e degli autori che si erano contesi il premio con me e mi resi conto di avere un’idea molto datata del genere horror. Oggi mi considero un autore con un piede nell’horror e uno nella scrittura innovativa.»

Qual è la letteratura che l’ha formata?

«Da bambino, fantascienza e fantasy, generi in cui molti autori mormoni – come Orson Scott Card e Brandon Sanderson e Stephenie Meyer – hanno avuto grande successo. Per qualche ragione, i mormoni ritengono accettabile immaginarsi mondi diversi, secondo certi criteri. Io, invece, sono un mormone scomunicato. E fondamentali sono stati Franz Kafka, che fu mio padre a farmi leggere, ed Edgar Allan Poe, che mia madre mi leggeva prima di spegnere la luce.»

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