Caro Lucio ti scrivo…così mi distraggo un po’ da questo pianeta intossicato dal Covid, dai cambiamenti climatici e naturalmente anche dalle guerre.
“I russi, i russi, gli americani…” che cantavi nel 1980 in quel capolavoro di “Futura” continuano a darsele di santa ragione oggi come allora, quando scrivevi pure “qui tutto il mondo sembra fatto di vetro e sta cadendo a pezzi come un vecchio presepio…”.
Eravamo in piena guerra fredda in un mondo diviso nei due blocchi, quello occidentale con la Nato e quello orientale del Patto di Varsavia. Le tue parole risuonano forti e drammaticamente attuali in questi giorni in cui ricorre il decimo anniversario della tua improvvisa partenza, giorni che coincidono con la più grande crisi europea dopo il 1945.
Il tuo primo LP lo pubblicasti nel 1966 e si chiamava 1999, nel pezzo omonimo immaginavi un mondo consumato dall’uomo in cui l’unico superstite ha finalmente trovato la pace:
“…E’ bruciato/ anche l’ultimo fiore/ grigio fumo/ è il colore del sole/ sono solo/ in un mondo che tace/ finalmente/ è scoppiata la pace/ Aspettavo/ che venisse il momento/ ora parlo/ solamente col vento/ finalmente/ questo mondo è più bello/ il fratello/ più non odia il fratello…”.
Ma sono tanti nelle tue canzoni i richiami alla pace, all’amore e alla guerra, come in una canzone che non è fra le più famose, contenuta in un disco di splendide perle, purtroppo poco conosciute, quel disco e quel brano richiamava nel titolo un altro anno, il 1983, mentre pensavi a quel 1943, anno di guerra ma pure anno della tua nascita:
“…nel ’43 la gente partiva, partiva e moriva e non sapeva il perché
ma dopo due anni tutti quanti perfino i fascisti aspettavano
gli americani come a Riccione aspettano i turisti…”
E ti ricordi poi alla fine del pezzo, quando ti rivolgevi al presente del 1983, con parole che oggi mi fanno pensare a noi del 2022 all’uscita dal lungo tunnel della pandemia e al probabile abbandono delle mascherine:
“…ehi ’83 sei lì come uno specchio ci fai sentire diversi nessuno sa perché
né meglio né peggio ma tutti quanti, perfino i più tristi
aspettiamo di svegliarci insieme, di guardarci di toccarci e di guardarci
come non ci fossimo mai visti…”.
Il 1977 fu l’anno che chiuse un irripetibile decennio di lotte e conquiste, l’anno in cui ti lanciasti nella scrittura totale dei versi e non era facile, visto che i tuoi tre precedenti dischi portavano la firma di un poeta come Roberto Roversi. Ne uscì incredibilmente quello che forse è rimasto il più bello e vario dei tuoi album, “Com’è profondo il mare”, dove mescolavi le istanze libertarie di quel ’77 di lotte e di repressione con i primi aneliti di ambientalismo:
“…E’ chiaro/ Che il pensiero dà fastidio/ Anche se chi pensa/ E’ muto come un pesce
Anzi un pesce/ E come pesce è difficile da bloccare/ Perchè lo protegge il mare
Com’è profondo il mare
Certo/ Chi comanda/ Non è disposto a fare distinzioni poetiche/ Il pensiero come l’oceano
Non lo puoi bloccare/ Non lo puoi recintare/ Così stanno bruciando il mare…”.
Qualche anno dopo, era il 1986 e, proprio mentre Gorbaciov iniziava a modernizzare l’Unione Sovietica con la sua perestrojka, ti divertisti a sognare di essere un angelo che piscia sulle fabbriche di missili:
“Se io fossi un angelo/ chissà cosa farei/ alto, biondo, invisibile/ che bello che sarei
e che coraggio avrei/ sfruttandomi al massimo/ è chiaro che volerei/ zingaro libero
tutto il mondo girerei/ andrei in Afganistan/ e più giù in Sudafrica/ a parlare con l’America
e se non mi abbattono/ anche coi russi parlerei/ angelo se io fossi un angelo
con lo sguardo biblico li fisserei/ vi do due ore, due ore al massimo/ poi sulla testa vi piscerei
sulle vostre belle fabbriche/ di missili, di missili…”.
Qualche anno dopo, era il 1993, quando, in piena guerra nella ex-Jugoslavia e con i tanti fermenti che si agitavano nel vecchio blocco dei paesi ormai ex-comunisti dell’Europa dell’Est, pubblicasti “Henna”, con due brani che parlano di guerra e pace. “Henna” la cantasti due volte davanti al papa “polacco” e l’hai poi cantata per anni in apertura dei concerti, quasi come una preghiera per la pace e l’amore, in contrapposizione alla guerra e al dolore:
“…Troppo sangue qua e là sotto i cieli di lucide stelle/ Nei silenzi dell’immensità
ma chissà se cambierà oh non so se in questo futuro nero buio
Forse c’è qualcosa che ci cambierà/ Io credo che il dolore è il dolore che ci cambierà
Ma quello che considero il tuo pezzo più inquietante e visionario, caro Lucio, lo hai scritto sempre in quel 1993, parlo di “Treno”, il tuo immaginario viaggio da incubo, dalla Jugoslavia in fiamme verso la Russia:
“…Eccola lì la Jugoslavia quanti alberi come è verde
Ha un qualcosa che mi piace
Va corre in fila verso il duemila
Ma il treno non si ferma, anzi a vedere come corre
Va sempre più lontano,
Passa le foreste dell’Europa i ponti, le case…
Più in là c’è un ponte sul fiume con migliaia di soldati
Ed alcuni carri armati…
…Passano il confine tra l’Austria e l’Ungheria
Il treno corre per l’Europa tra due ali di fascisti
Vecchi, nuovi misti
Poi sotto un cielo nucleare, mai visto, irreale
Passa un gruppo di montagne siamo in Russia
E io che volevo telefonare, non ho niente da mangiare
Come nevica
Teresa son qui dentro un sogno
Dentro un sogno tutto bianco sopra un treno e sono stanco
Non lo so mi stan guardando, sono in tanti qui
Han la faccia e le mani degli zingari sono tanti come il vento sono liberi
Sono i pensieri della notte, tra le nuvole della notte
…Ma corre in fila il treno verso il duemila…
E si, Lucio, avevi previsto tutto, anche i nuovi fascisti nell’Europa orientale. Ci manchi da dieci anni, eppure sei “Per sempre presente” (2003):
“…E se questo momento è un granello di sabbia in una spiaggia
Che è guerra fa niente
Tienilo sempre presente…
…Quando mi sembra che questa vita segua una strada
Che non ha via d’uscita
Per sempre presente”.