di Alessia de Antoniis
E’ morta Lucy Salani, la transessuale sopravvissuta al campo di concentramento di Dachau aveva 99 anni. In quest’intervista del 2022, la donna raccontava la sua vita in occasione dell’uscita del biopic “C’è un soffio di vita soltanto”, film diretto da Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, e presentato in anteprima al Torino Film Festival.
Novantotto anni, mani rugose che compiono gesti antichi, una dimora semplice dai muri scrostati, attenzioni da donna di casa di una volta. Una nonna come tante. Lei che andava in giro indossando solo un paio di slip piccolissimi e una pelliccia lunga fino ai piedi. Lei che è stata la prima transessuale in Italia. Lei che è tornata dall’inferno di Dachau. Lei che è scampata alla pena di morte per diserzione dall’esercito nazista. Lei che è stata costretta a bruciare nei forni crematori cadaveri e esseri umani in fin di vita che avevano ancora solo la forza di agitare una mano. Lei che, durante la prima confessione, “il prete mi fa sedere sulle sue ginocchia, poi mi mette le mani tra le gambe, mi infila un dito nel sedere e lo annusa”. Ma quello che colpisce di Lucy è la serenità, o forse la saggezza, con cui dice grazie per la sua vita: “Vivere per me è stato un miracolo, perché io sono già morta a Dachau”.
C’è un soffio di vita soltanto. Lo userebbe per raccontarmi un pezzetto della sua vita che le sta a cuore?
Il film di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini è ciò che mi sta a cuore e ci tengo a regalarvi la poesia che gli dà il titolo. L’ho scritta da adolescente, a 14 anni per la precisione e mai avrei sognato ed immaginato che dopo ottant’anni due ragazzi in gamba avrebbero fatto un film sulla mia vita. La vita può dare sempre delle soddisfazioni, anche quando da essa non ti aspetti più niente. La mia poesia fa così:
Ritorna nel piccol giardino l’autunno, con dolce tristezza, le rose vermiglie accarezza, poi sfiora durante il cammino. Mutato è il color delle aiuole e i fili che paiono d’oro ascoltano l’ultimo coro di rondini in cerca di sole. E tutto si muta d’incanto, riposan le foglie ingiallite su un mondo di cose appassite, c’è un soffio di vita soltanto.
Come è arrivata a Londra per farsi operare?
Eravamo negli anni ’50. Accompagnai due amici in Inghilterra che volevano sottoporsi all’operazione. Dopo essere arrivati a destinazione, decisi di farlo anche io. Ho tanti ricordi di quel periodo, ma in particolare ricordo l’attimo prima di chiudere gli occhi, quando lessi la scritta “man” sul separé. Al mio risveglio comparve la scritta “woman”. Fu una grande emozione. Tra gli altri ricordi non mancano anche quelli meno piacevoli come, ad esempio, il forte dolore per le cure post operazione. Ai tempi non c’era molta attenzione a ricostruire la sensibilità dei genitali e la perdita del piacere è stata una vera e propria sofferenza, nonostante avessi già sessant’anni. Se mi chiedessero: lo rifaresti? Direi di no.
Ha subito abusi da un prete ed è sopravvissuta a un campo di sterminio. Come ha fatto a non impazzire e come ha trasformato questa immane sofferenza?
E’ vero. Ho subito abusi dal sacerdote di Fossano, la città in cui sono nata. Era il periodo in cui mi preparavo per la prima comunione e lui faceva di tutto per restare solo con me. In quel momento ho perso la fede ed ho smesso di credere. Un Dio non avrebbe mai potuto permettere tutto quello che ho subito. Ma non sono impazzita, anzi, la sofferenza mi ha aiutato a capire che dovevo rimboccarmi le maniche e continuare per la mia strada. Volevo sentirmi libera e avere una vita che non privasse della libertà di chi mi stava intorno. Dopo il campo di concentramento ho capito ancora di più che ognuno dovrebbe essere e fare ciò che si sente, sempre nel rispetto della comunità.
Come ha vissuto la sua omosessualità a Dachau?
Non esisteva alcun istinto sessuale a Dachau. Quel posto ti annullava completamente come individuo. L’identità veniva soffocata e ogni istinto vitale era ridotto in cenere. Riuscivamo a malapena a stare in piedi tanta era la fame e tanta era la fatica. Il sesso, che sia omosessuale o eterosessuale, è un’espressione della vita, ma lì di vivo non c’era più niente, eravamo come morti che si trascinavano con le ultime forze rimaste.
Nel film parla di sua figlia. Come è arrivato questo dono nella sua vita?
Mia figlia Patrizia è la cosa più bella che ho avuto. Rimase orfana di entrambi i genitori da ragazzina. Veniva a casa mia spesso e quando iniziò a chiamarmi mamma, ero la donna più felice del mondo. Credo che anche chi non abbia figli biologici possa costruirsi ugualmente una splendida famiglia ed io e Patrizia lo abbiamo fatto. C’era la tipica complicità di una madre e una figlia che si amano.
Ha vissuto due dittature, quella fascista e quella nazista, le battaglie degli anni Sessanta, lo sdoganamento del mondo gay degli anni Ottanta. Ora vive un ritorno della destra omofoba e dell’integralismo cattolico, con il fallimento del DDL Zan. Cosa prova e che bilancio fa delle battaglie per i diritti LGBT in Italia?
Ho visto tante cose nella mia vita, è vero, ma quello che vedo in questo periodo mi sembra assurdo, soprattutto dopo tanti anni di battaglie e di vittorie da parte da parte della nostra comunità. Certo, sono stati fatti molti passi in avanti, ma a volte la propaganda di certi partiti politici o quell’intolleranza che molte persone nascondono dentro di loro frenano il processo che ci farà diventare una società più civile. Mi dispiace che non ho abbastanza tempo per vedere, finalmente, un mondo in cui chiunque sarà libero di esprimere la propria identità e di poter amare chi vuole, senza che ci sia qualcuno a considerarti un cittadino di serie B.
Nel biopic dice: “Il dio siamo noi. È la nostra volontà che comanda il mondo”. Il dio Lucy che mondo ha contribuito a creare?
Sono riuscita a crearmi quello di cui avevo bisogno nella vita: quel pizzico di libertà di poter essere quello che volevo, senza compromessi. È stata dura e forse la maggior parte delle volte non ci sono riuscita, ma quando ho raggiunto questo obiettivo mi sono sentita felice e libera.
Dice anche: “Io sono un intruglio”. Non ha mai pensato, invece, di essere semplicemente uno dei tantissimi tipi di fiori che nascono su questo pianeta, bella così com’è?
Sì, mi sono definita un “intruglio” perché dentro di me fin da bambino prevaleva la mia parte femminile. Mi hanno cresciuta con l’idea che ero un maschio e dovevo fare i giochi da maschio ma a me piacevano le bambole. Soffrivo molto perché non rispecchiava la mia vera natura. Sono andata avanti così per tanto tempo, vivendo una specie di doppia identità, ma alla fine ho capito che ho sempre desiderato essere donna.