di Nina Lepori
Ho impiegato parecchi anni a liberarmi dalla morale socialpatriottica del De Amicis di “Cuore”. La mia maestra delle elementari lo idolatrava e fece del libro “Cuore” la bibbia della nostra formazione. Lo leggevamo ogni mattina a voce alta in classe, ciascuno una pagina.
Il mio primo libro. Il libro che mi insegnava cos’era il bene e il male.
L’etica del perbenismo, l’ideologia borghese del “dovere”, l’educazione al “sacrifizio” e all’obbedienza (fortificata poi con la lettura di Collodi!). Ci metti una vita a liberartene.
Eppure scopri per caso, leggendo qua e là, un romanzo inedito (praticamente introvabile in libreria) che ti fa rivalutare completamente l’autore, ne mette in evidenza una “vena rivoluzionaria” che mai gli avresti attribuito: “Primo Maggio”, il romanzo che avrei voluto fosse, quello sì, il mio primo libro di lettura…
Rivalutato Edmondo De Amicis, posso permettermi di condividere questa sua poesia strappalacrime, “Gli emigranti”: scritta nel 1882, ma potrebbe averla scritta stamattina. L’ho trovata su Internazionale e inizia così:
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave
Come s’ascende il palco de la morte.
Tutto quel che possiede su la terra.
Altri un misero involto, altri un patito
Bimbo, che gli s’afferra
Al collo, dalle immense acque atterrito.
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.
Sulla ricca e gentil Genova arresta,
Intento in atto di stupor profondo,
Come sopra una festa
Fisserebbe lo sguardo un moribondo.
Sulla gelida prua morsa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane.
Vanno, oggetto di scherno allo straniero,
Bestie da soma, dispregiati iloti,
Carne da cimitero,
Vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.