La vita di genitori e figli è fatta spesso di cose non dette. Le cose non dette possono uccidere. Ma possono anche insegnare a vivere. Questa premessa per parlare di un film piuttosto straordinario che è appena uscito: “Monica” di Andrea Pallaoro, regista italiano che vive negli Stati Uniti, già autore di due film notevoli, “Medeas” (2013) e “Hannah” (2017), che valse la Coppa Volpi a Charlotte Rampling alla Mostra di Venezia.
Monica è una transessuale di una bellezza struggente che dopo tanti anni fa ritorno a casa dalla madre gravemente malata. La madre non sa che suo figlio è diventato una donna e non lo riconosce, quasi non lo nota neppure al suo capezzale.
Monica si aggira in quella casa senza trovarvi posto, come del resto le è sempre accaduto lungo la sua difficile adolescenza. La protagonista entra, esce, rientra, riesce e cerca inutilmente al telefono un qualche sollievo dal suo permanente disagio, aiutandoci a capire che ha il vuoto dietro di se’ e non soltanto davanti a se’. Consumerà anche un rapporto occasionale, anch’esso frustrante come tutti i rapporti occasionali.
Non vogliamo e non dobbiamo svelarvi il finale perché è la parte più mozzafiato di questo film così profondo e così intenso, interpretato da un’autentica transessuale, Trace Lysette, che meriterebbe un Oscar a se’, in una categoria da inventare. Ma tutti gli attori del film sembrano più veri del vero, a cominciare da Patricia Clarkson che interpreta da par suo la madre di Monica. “Monica” è un film che segna una tappa nella storia del cinema, perché il tanto chiacchierato tema della diversità sessuale ha finalmente trovato il suo bellissimo, perfetto manifesto poetico.
Andrea Pallaoro è un regista di quelli che non si fabbricano più, capace di far diventare il suo sguardo lo sguardo dello spettatore come un moderno Truffaut. Non è dato sapere se continuerà a fare film in America o in Italia, ma ovunque e comunque attendiamo con ansia il prossimo.
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