Secondo la storica Paula Marantz Cohen, la carriera di Alfred Hitchcock rappresenta un modo sintetico per studiare l’intera storia del cinema. Un’esagerazione, forse, che tuttavia contiene una dose di verità: nella sua cinquantennale carriera, il geniale regista inglese ha spaziato dal muto al 3D, cimentandosi con i più svariati generi cinematografici e lavorando con i maggiori artisti e produttori del Novecento. Dunque, la nuova biografia pubblicata dal Saggiatore Le dodici vite di Alfred Hitchcock, a firma di Edward White (traduzione di Camilla Pieretti, pp. 430, € 27), fornisce una gustosa occasione per ripercorrere un’esistenza unica e, appunto, una buona fetta di storia del cinema.
Libri dedicati a Hitchcock non mancano certo, a cominciare dalla celebre intervista di François Truffaut e dalla biografia autorizzata di John Russel Taylor. Questo volume però si segnala per la mole di dati e il punto di vista adottato: tratteggia infatti la figura di Hitchcock ben oltre l’ambito cinematografico, considerandolo “l’artista simbolo del XX secolo”, la cui vita e le cui opere “fanno emergere vividamente alcuni dei temi chiave della cultura occidentale, dei ruggenti anni Venti e dei travolgenti anni Sessanta”. White impiega le armi critiche della storia culturale e il suo approccio si rivela vincente: tramite la biografia e i film di Hitchcock si affrontano nodi che hanno caratterizzato l’intero Novecento: l’affermarsi degli Stati Uniti come colosso culturale, l’ascesa del femminismo, l’evoluzione del ruolo del sesso, la centralità della violenza e l’inconscia pervasività della religione nella cultura popolare, la dilagante influenza della psicanalisi, la diffusione della pubblicità e delle attività di promozione come forza culturale, l’annullamento della distanza tra arte e intrattenimento. Le pellicole del regista inglese sono considerate “pietre miliari della cultura, fondamenti del cinema, della televisione, dell’arte, della letteratura e della pubblicità”, e le pulsioni emotive che le animano (ansia, paura, paranoia, senso di colpa, vergogna), le ossessioni che vi vengono rappresentate (la sorveglianza continua, le cospirazioni, la sfiducia nelle autorità, la violenza sessuale) sono i leitmotiv della modernità novecentesca. Appare dunque ben condivisibile la considerazione che sottende questo saggio: “Se quando era in vita poteva sembrare un uomo fuori dal tempo, una reliquia vittoriana in pieno XX secolo, a decenni della sua morte la sua figura continua a vivere tra noi, sotto molteplici spoglie”.
Il libro rivela quindi in tutta la sua forza l’incidenza di Hitchcock sull’immaginario occidentale (e non solo) e sulla storia del cinema, rivelandosi più d’una mera biografia: è un documentato studio storico e socioculturale. Tra gli aspetti più interessanti vi è infatti l’attenta contestualizzazione di Hitchcock nella storia e nella cultura del suo tempo, soprattutto gli anni londinesi. Merito non da poco, poiché il periodo hollywoodiano ha oscurato quello inglese, che rimane invece di ineludibile importanza quanto a creatività e “lungimiranza pionieristica”. Già all’epoca la rilevanza culturale di Hitchcock si estendeva ben oltre l’aspetto cinematografico, e White dimostra i legami della sua opera con quella di altri celebri artisti britannici.
Ma non è l’unico suo pregio. La complessa personalità di Hitchcock è ancora oggi fonte di fascinazione e controversie, le contraddizioni che ne hanno caratterizzato vita e arte hanno prodotto interpretazioni antitetiche, e con tale premessa White propone dodici diversi ritratti del personaggio, tesi a rivelare un lato essenziale della sua poliedrica persona. Ognuna di queste “vite” – l’eterno bambino, l’assassino, l’autore, il donnaiolo, il grassone, il dandy, il padre di famiglia, il voyeur, l’intrattenitore, il pioniere, il londinese, l’uomo di Dio – copre vari decenni, con continui collegamenti tra l’Hitchcock giovane e l’adulto. Ed ecco delinearsi con grande vividezza gli aspetti contrastanti eppure compresenti nell’uomo e nel personaggio pubblico: un individuo dall’ego smisurato unito a una fragile autostima, sicuro del proprio talento e delle proprie opinioni eppure alla continua ricerca di conferme, che ostentava propria raffinatezza e sofisticazione e pour essendo sempre in lotta con i propri appetiti, orgoglioso eppure inorridito della propria mascolinità, uomo casto e timoroso ma a cui le donne non sapevano resistere, grassone disadattato ma anche dandy elegante, autore pionieristico e provocatorio pur se indissolubilmente legato all’industria del cinema. Insomma, come le linee della sua celebre silhouette, ogni capitolo ricostruisce un differente tratto della sua identità: solo guardandoli nell’insieme apparirà il quadro completo di un uomo che “aveva cercato di perfezionare la vita affrontandola come un’arte e un mestiere”.
Lodevole è inoltre l’attenzione riservata ai tanti collaboratori di Hitchcock (raramente da lui gratificati), che fu “sempre assistito dal talento dei membri dell’industria cinematografica” londinese e hollywoodiana, come il rilievo che in queste pagine assume la moglie Alma, figura fondamentale nella sua vita privata e artistica, da cui “trasse enorme forza, pur non riuscendo sempre a darle altrettanto”, nonché l’importanza concessa ad un aspetto non sempre considerato con la dovuta attenzione, cioè la grande sensibilità comica del grande regista, forse “l’elemento più ricorrente della sua carriera artistica, anche più della suspense su cui si fonda la sua leggenda”.
La corposa bibliografia testimonia l’ampiezza delle fonti usate, tra cui iconiche fotografie che ritraggono Hitchcock nella vita privata o sui set.
White è dunque abile a far dialogare filmografia e vita, a mettere in relazione personaggio pubblico e sfera privata, ed è davvero ammirevole la sua capacità di sondare le strutture profonde dell’arte, della cultura e della società, nonché i torbidi meandri di una mente brillante.